Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16000 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 09/06/2021), n.16000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5429/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

The World s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., rapp.to e

difeso dall’avv. Gianluca Iazeolla come da mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

World s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6241/26/17 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, depositata il 5/7/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12 gennaio 2021 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. con sentenza n. 6241/26/17, depositata il 5 luglio 2017, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 435/1/16 della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui era stata richiesta una maggiore imposta di registro, in relazione ad un atto di cessione di ramo di azienda, il cui valore di avviamento, dichiarato in Euro 330.000,00, era stato elevato ad Euro 810.599,00 sulla base del volume di affari del triennio precedente e dei dati emersi dallo studio di settore;

3. la CTP aveva accolto il ricorso rilevando che l’Agenzia aveva valutato i valori dell’intera azienda e non del solo ramo ceduto; la CTR aveva rigettato l’appello dell’Ufficio confermando che l’avviso di liquidazione riportava la media del volume di affari riferito all’intero complesso aziendale, senza che fosse stata fornita prova documentale del riferimento della cessione all’intero complesso aziendale e non solo ad un ramo della stessa;

4. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 5 febbraio 2018, affidato ad un unico motivo; il contribuente resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con un unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata, denunciando la nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la CTR si sarebbe limitata a confermare la decisione di primo grado senza tener conto dei dati documentali offerti a sostegno del fatto che l’azienda fosse costituita dalla sola attività oggetto di cessione.

Osserva che:

1. Il ricorso, fondato sulla sola critica del vizio di motivazione apparente, non merita accoglimento.

1.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).

Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6″ (Vedi Cass. 13248 del 2020).

1.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).

2. Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di confermare quanto statuito dai giudici di primo grado in ordine ad una errata valutazione da parte dell’Agenzia dell’intero complesso aziendale anzichè del solo ramo ceduto.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti.

2.1 La CTR ha esaminato nel merito gli elementi posti a fondamento della valutazione dell’Ufficio ed ha concluso per l’insufficienza dei dati documentali offerti per provare che la cessione avesse avuto come oggetto l’azienda nel suo complesso e non solo parte di essa.

Ne consegue che, non sussistendo i profili di apoditticità censurati col motivo in esame, la motivazione non può ritenersi viziata in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. n. 5315 del 2015).

2.2 Rileva inoltre che le doglianze dell’Ufficio si incentrano in realtà sulla mancata valorizzazione di fatti, ritenuti idonei a suffragare un accoglimento del gravame, che, nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., andavano articolate censurando la decisione o ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti avessero integrato direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta, e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione idonea a supportare la dedotta legittimità della rettifica.

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.

3.1 Segue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte,

rigetta il ricorso;

condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla controricorrente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, da remoto, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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