Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15581 del 04/06/2021

Cassazione civile sez. III, 04/06/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 04/06/2021), n.15581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 560/2018 proposto da:

INIZIATIVE AGRICOLE SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268-A, presso lo studio dell’avvocato PIERO FRATTARELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MATTEO URBINATI, IVAN BAGLI;

– ricorrente –

contro

ENI SPA, in persona del procuratore speciale ing. C.L.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 7, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO TARTAGLIA, rappresentata e difesa dagli

avvocati MARCO DALLA VERITA’, MICHELE PETRELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 574/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata in data 1/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

p.q.r., con particolare riferimento al primo motivo;

udito l’Avvocato PIETRO FRATTARELLI, per delega;

udito l’Avvocato ANDREA COLANTUONI per delega.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Iniziative Agricole S.p.a., proprietaria di un terreno ad uso non abitativo sito in (OMISSIS) e locato a ENI S.p.a., con atto del 17 settembre 2015, intimò sfratto per finita locazione alla conduttrice, per intervenuta scadenza trentennale del contratto, contestualmente citandola in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna per la convalida e per il rilascio dell’immobile.

Si costituì in giudizio ENI S.p.a. ed eccepì l’improponibilità della domanda, rappresentando che il Ministero dello Sviluppo Economico aveva emesso in proprio favore, relativamente all’immobile di Iniziative Agricole, il decreto di occupazione temporanea del 23 settembre 2015, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 49 e 50.

Il Tribunale di Ravenna ordinò ad ENI S.p.a. il rilascio del terreno e dispose il mutamento del rito, fissando termine per il deposito di memorie integrative ex art. 426 c.p.c..

Con le memorie, Iniziative Agricole dedusse la cessazione degli effetti del contratto di locazione e chiese la disapplicazione del provvedimento amministrativo, previa valutazione di legittimità.

ENI S.p.a. chiese il rigetto delle domande attoree e la revoca dell’ordinanza di rilascio.

Il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 1281/2016, dichiarò scaduto il contratto di locazione alla data del 2 maggio 2015 e condannò ENI S.p.a. all’immediata restituzione del terreno in questione.

Avverso tale decisione interpose appello ENI S.p.a., deducendo, con un unico motivo di gravame, l’illegittimità della sentenza del giudice di prime cure per aver il Tribunale pronunciato condanna all’immediato rilascio pur avendo preso atto dell’esistenza del decreto di occupazione temporanea quale titolo legittimante la detenzione dell’immobile.

Si costituì Iniziative Agricole S.p.a., che chiese la conferma della sentenza e propose, altresì, appello incidentale affinchè la Corte territoriale si pronunciasse per la disapplicazione del decreto di occupazione temporanea.

La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 474/2017, in accoglimento dell’appello principale e in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna, revocò la statuizione di condanna di ENI S.p.a. all’immediata restituzione del terreno nella disponibilità di controparte; condannò ENI S.p.a. al pagamento, in favore di Iniziative Agricole S.p.a., dell’importo di “Euro 145,14 oltre ad interessi legali dalle singole scadenze al saldo”; rigettò, altresì, l’appello incidentale di Iniziative Agricole S.p.a. e regolò tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Iniziative Agricole S.p.a., sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso ENI S.p.a..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione L. n. 2248 del 1865, art. 4 e art. 5, all. E, artt. 1571 e 1590 c.c. e art. 111 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., punto n. 3”, la ricorrente propone doglianze sotto vari profili.

Tale motivo, nel suo complesso, censura la statuizione della Corte di appello nella parte in cui ha ritenuto rilevante il decreto di occupazione temporanea già menzionato e ha revocato la condanna alla restituzione del terreno pronunciata dal Tribunale nei confronti di ENI S.p.a..

Ad avviso della ricorrente, l’atto amministrativo, considerato dalla Corte territoriale come ostativo alla condanna alla restituzione del bene, sarebbe, invece, totalmente irrilevante ai fini dell’azione svolta dalla locatrice, non sussistendo “in alcun modo il problema della sua disapplicazione”.

Seguendo tale errato ragionamento, la Corte di appello avrebbe violato il combinato disposto degli artt. 1571 e 1590 c.c., secondo cui, alla scadenza del contratto, il conduttore ha l’obbligo di restituire il bene locato.

La ricorrente deduce, altresì, la violazione dell’art. 111 Cost. (e non art. 111 c.p.c., come – per evidente lapsus calami – indicato in rubrica), perchè la statuizione della Corte territoriale costringerebbe Iniziative S.p.a. a iniziare un giudizio ex novo peraltro secondo il rito ordinario, meno celere rispetto a quello locatizio – all’esito dell’eventuale annullamento in sede amministrativa del decreto di occupazione, per ottenere la condanna al rilascio del terreno, con evidente diseconomia processuale.

Afferma ancora la ricorrente che il provvedimento amministrativo avrebbe potuto “operare tutt’al più sul piano esecutivo in quanto parallelo e diverso motivo di tirolarità alla detenzione dell’immobile”.

La Corte territoriale avrebbe, quindi, ad avviso della ricorrente, violato il principio per il quale il problema della disapplicazione dell’atto amministrativo si pone solo se l’atto amministrativo sia rilevante ai fini del giudizio. Per tale ragione, quella Corte avrebbe dovuto, secondo Iniziative Agricole S.p.a., preliminarmente chiedersi se l’atto amministrativo avesse rilevanza ai fini della decisione; in caso di risposta positiva a Ce domanda, interrogarsi se rilevare, d’ufficio, la disapplicazione; infine, valutare la tempestività della richiesta di disapplicazione avanzata da Iniziative Agricole S.p.a.. Ed invece, la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto rilevante l’atto amministrativo in parolà, non si sarebbe posta il problema della disapplicabilità dell’atto in questione d’ufficio, ammessa, ad avviso della ricorrente, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ed avrebbe, in violazione della L. n. 2248 del 1865, art. 4 e art. 5, all. E, errato nel ritenere l’eccezione non tempestivamente sollevata, non essendo la richiesta di disapplicazione assimilabile ad una domanda di revoca.

2. Il secondo motivo è così rubricato: “Violazione L. n. 2248 del 1865, art. 4 e art. 5, all. E e art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., punto n. 3”.

Sostiene la ricorrente che, nella denegata ipotesi in cui l’atto amministrativo fosse ritenuto rilevante ai fini della decisione, la disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo dovrebbe essere condotta dal giudice officiosamente, e, quindi, a prescindere da un’eccezione della parte interessata in tal senso.

La Corte di appello avrebbe, pertanto, violato della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, laddove dispone che l’Autorità Giurisdizionale Ordinaria applica l’atto amministrativo solo se conforme alla legge; nonchè l’art. 112 c.p.c., laddove stabilisce che le eccezioni debbono intendersi rilevabili d’ufficio, salvo che la legge espressamente le riservi al rilievo di parte.

Evidenzia la ricorrente, di aver, nella specie, a fronte dell’eccezione sollevata da Eni S.p.a., circa l’esistenza dell’atto amministrativo quale fatto impeditivo alla condanna alla restituzione del fondo, controeccepito, in subordine, rispetto all’irrilevanza di tale atto, la sua disapplicabilità, e sostiene che, in difetto di specifica previsione normativa, secondo cui la disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo debba essere eccepita dalla parte, varrebbe il principio generale in base al quale il rilievo in parola rientrerebbe nei poteri officiosi.

La ricorrente, infine, deduce che la rilevabilità d’ufficio della disapplicazione renderebbe superflua la disamina dell’ulteriore profilo relativo alla ritenuta – dalla Corte territoriale – tardività della richiesta di disapplicazione e contesta l’equiparazione – operata da quella Corte – tra disapplicazione e revoca dell’atto amministrativo.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., punto n. 3, sostenendo che la Corte di appello, ove avesse ritenuto la rilevanza dell’atto amministrativo ai fini della decisione, avrebbe dovuto sospendere il giudizio innanzi a sè, posta la contestuale pendenza del giudizio di annullamento del decreto di occupazione temporanea proposto da Iniziative Agricole S.p.a. innanzi al TAR dell’Emilia Romagna ed avendo quella medesima Corte ritenuto l’atto amministrativo un antecedente logico-giuridico della propria decisione in sede civile.

4. I tre motivi, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati unitariamente.

4.1. Rileva il Collegio che la questione posta dal ricorso, in estrema sintesi, essere così riassunta: il decreto di occupazione provvisoria emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 49 e 50, impedisce al Giudice Ordinario, adito dal locatore, di pronunziare la condanna al rilascio nei confronti del conduttore?

Certamente il decreto in parola può costituire autonomo titolo legittimante alla detenzione del bene, oltre i limiti temporali del contratto scaduto e, quindi, potrebbe, in tesi, essere ostativo al rilascio del bene in parola.

Va, tuttavia, rimarcato che, avendo il ricorrente agito in questa sede sul piano privatistico, il Giudice adito ben possa – come in effetti avvenuto – accertare l’avvenuta cessazione del rapporto di locazione tra le parti e debba, altresì sulla base della domanda proposta, emanare l’ordine di rilascio, essendo venuto a scadenza il titolo negoziale.

Il decreto amministrativo in parola opera, invece, sul piano pubblicistico; pertanto la rilevanza di tale atto viene in rilievo in sede di esecuzione, come pure evidenziato dal P.G. durante la discussione.

Le considerazioni che precedono assorbono ogni altra questione, pure sollevata dalle parti.

5. Conclusivamente, il ricorso va accolto per quanto di ragione e nei termini sopra evidenziati; la sentenza impugnata va, in relazione, cassata.

6. Non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito e, alle luce ragioni espresse in particolare nel p. 4.1. che precede, va ordinato il rilascio dell’immobile in questione alla ricorrente.

7. Le spese del primo e del secondo grado del giudizio di merito nonchè quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

8. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ordina il rilascio dell’immobile in questione alla ricorrente; condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio che liquida, per il primo grado, in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% e agli accessori di legge, per il secondo grado in complessivi Euro 3.800,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% e agli accessori di legge, e, per il presente giudizio di legittimità, in Euro 7.800,00, per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2021

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