Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15309 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 38681-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.P., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce

al controricorso, dall’avv. Giovanni de ROSIS MORGIA, presso il cui

studio legale, sito in Roma, alla via Donatello, n. 75, è

elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2516/03/2018 della Commissione tributaria

provinciale della CALABRIA, depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 11/03/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

Con la sentenza in epigrafe indicata, decidendo nel giudizio di impugnazione proposto da S.P., esercente la professione di agronomo e consulente agrario, avverso l’avviso di accertamento di maggiori redditi desunti da documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica fiscale, la CTR rigettava l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado rilevando il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento che faceva confusione in ordine alla qualificazione del contribuente, che veniva indicato quale “titolare di ditta individuale”, quindi “lavoratore autonomo” ed inoltre “professionista”, che faceva riferimento anche a “società” e che era privo di idonea motivazione in ordine alle ragioni giuridiche e ai presupposti di fatto e di diritto della maggiore pretesa erariale, e a cui non erano allegati gli atti richiamati nello stesso.

Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’intimato con controricorso.

Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni del controricorrente di inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate perchè proposto tardivamente e perchè non autosufficiente.

La prima eccezione è infondata in quanto la sentenza impugnata risulta pubblicata il 13/09/2018 e, pertanto, poichè il termine semestrale di impugnazione andava a scadere il 13/03/2019, ovvero nell’arco temporale di cui al D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. n. 136 del 2018, esso andava differito al 13/12/2019 per effetto della sospensione legale di nove mesi prevista dalla citata disposizione.

L’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza è pure infondata atteso che il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a porre questa Corte in grado di avere piena cognizione della controversia.

Venendo al merito, con il motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, art. 42 e art. 39, comma 2, lett. d), e degli artt. 2730 e 2700 e segg. c.p.c..

Il motivo è fondato.

E’ orientamento assolutamente consolidato di questa Corte quello secondo cui l’avviso di accertamento, rappresentando l’atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi, può essere motivato “per relationem”, anche con il rinvio pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio e la scelta in tal senso dell’Amministrazione finanziaria non può essere di per sè censurata dal giudice di merito, al quale, invece, spetta il potere di valutare se, dal richiamo globale all’atto strumentale, sia derivata un’inadeguatezza o un’insufficienza della motivazione dell’atto finale (cfr. Cass. n. 2907 del 2010; Cass. n. 16976 del 2012 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Si è quindi precisato, che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 08/11/2017, Rv. 646218, in tema di imposta comunale sugli immobili).

Ciò posto, osserva il Collegio che nella specie l’atto impositivo, riprodotto per autosufficienza nel ricorso, è idoneamente motivato indicando espressamente che l’accertamento era effettuato nei confronti del contribuente quale “ditta individuale ” S.P. Agriproget””, sicchè nessuna confusione poteva ingenerarsi sulla “qualificazione del soggetto accertato” (come sostiene la CTR) e riportando in maniera analitica la documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica fiscale, dando altresì atto dell’avvenuta notifica al contribuente del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F..

A ciò aggiungasi che è insegnamento di questa Corte quello secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, sancito dall’art. 7 del cd. Statuto del contribuente, deve essere interpretato avendo riguardo ai canoni di leale collaborazione e buona fede, espressi dal successivo art. 10, la cui portata deve essere ricostruita alla luce dei principi di solidarietà economica e sociale e di ragionevolezza, rispettivamente espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009), atteso che la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11052 del 09/05/2018, Rv. 648361).

Nella specie, pur soprassedendo sul fatto che l’atto impositivo era comunque idoneamente motivato riportando il contenuto essenziale del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., dalla sentenza della CTR neppure emerge che il contribuente abbia prospettato le ragioni per le quali l’omessa comunicazione o allegazione all’atto impositivo di quel documento avrebbe comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo.

In sintesi, all’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR territorialmente competente per l’esame delle questioni rimaste assorbite e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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