Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14304 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 25/05/2021), n.14304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34737-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

Contro

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MICHELE MARTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 632/4/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza n. 632/04/2019, depositata il 12 aprile 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Grosseto, che aveva accolto il ricorso di S.E., titolare di omonima ditta individuale di impresa edile, contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno d’imposta 2009, all’esito di verifica fiscale e di accertamenti bancari.

Il contribuente si è costituito con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Il contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo l’Amministrazione deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.; del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2; e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2.

Assume infatti la ricorrente Agenzia che il giudice a quo, nel rigettare il relativo motivo d’appello erariale, ha erroneamente ritenuto che la giustificazione dei movimenti bancari di cui alle indagini che hanno preceduto l’accertamento potesse essere ravvisata in un’acritica comparazione per masse, senza analitico riferimento alla relativa documentazione, e senza che quest’ultima fosse stata esaminata criticamente dal giudice del merito.

Inoltre, la ricorrente censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui la CTR ha ritenuto che fosse inesigibile, nei confronti del contribuente, l’assolvimento puntuale ed analitico dell’onere di fornire la giustificazione delle singole movimentazioni bancarie.

Infine, il ricorso censura anche l’irrilevanza, ai fini della verifica del superamento, da parte del contribuente, della prova legale relativa della quale si avvale l’Ufficio in materia di indagini finanziarie, dell’annotazione della CTR relativa alla congruità dei ricavi dichiarati avuto riguardo allo studio di settore.

2. Il motivo è ammissibile, in quanto, al contrario di quanto eccepito dal controricorrente, esso -sia nell’intestazione formale, che nel contenuto sostanziale- concerne l’errore di diritto attribuito alla CTR in ordine all’interpretazione ed all’applicazione delle norme che regolano l’attribuzione, ed il contenuto, dell’onere della prova in tema di indagini bancarie. Pertanto, il mezzo proposto è esclusivamente quello di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Non sussistono quindi i presupposti dell’applicabilità dell’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5, in tema di “doppia conforme”. Nè ricorre quell’indistinta sovrapposizione nell’unico contesto di diversi motivi di ricorso, tra loro inconciliabili, alla quale si riferisce l’eccezione del contribuente.

Tanto meno il motivo, come pure eccepito dal controricorrente, difetta di specificità ed autosufficienza, essendo invece comprensibile, dalla lettura dell’intero mezzo, quali siano i fatti e gli atti rilevanti e quale la censura proposta.

3. Il motivo è fondato.

Infatti, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4829 del 11/03/2015).

Tale prova contraria, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11102 del 05/05/2017)

Se dunque il contribuente, al fine di adempiere all’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, deve dimostrare in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, anche il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10480 del 03/05/2018).

Nel caso di specie, la CTR non si è conformata a tali principi, purchè ha considerato assolto, da parte del contribuente, l’onere della prova contraria, ma non analiticamente, con riferimento alle singole operazioni di cui all’accertamento, ma “globalmente per gli anni di riferimento” e “per un gran numero di operazioni”, non meglio identificate. Mentre per altre operazioni, a loro volta imprecisate, ha affermato che l’analitica giustificazione, sebbene inequivocabilmente richiesta dalle citate norme, “non possa essere fornita, nè pretesa (…) a distanza di tanti anni dalle operazioni”, così assolvendo, senza fondamento normativo, il contribuente dall’onere della prova contraria che la legge gli attribuisce.

Tanto premesso è quindi sufficiente a palesare l’evidente errore di diritto commesso dalla CTR nell’interpretare ed applicare le norme in tema di presunzione legale relativa derivante dalle indagini bancarie e di contenuto della prova liberatoria gravante sul contribuente, che deve essere necessariamente ed effettivamente analitica (non essendo sufficiente che sia apoditticamente definita tale) e non può limitarsi a generiche considerazioni su “masse” di movimenti bancari, peraltro indeterminate perfino dal punto di vista cronologico, rispetto all’atto impositivo, relativo all’unico anno d’imposta 2009, come emerge univocamente dalla stessa sentenza impugnata.

Giova peraltro aggiungere che neppure è analitica la considerazione, da parte della CTR, degli elementi indiziari richiamati a mero sostegno dell’assolvimento dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente.

Invero, “In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta.” (Cass., Sez. L -, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018).

Nel caso di specie, il ragionamento inferenziale censurato dalla ricorrente appare privo dei caratteri della gravità e della precisione laddove si fonda sul presupposto, definito nella motivazione “logico” ed “evidente, ma in realtà del tutto apodittico, che i ricavi percepiti “negli anni” (e dunque neppure con riferimento univoco all’anno d’imposta sub iudice) “non potevano che essere transitati dai conti correnti oggetto di verifica”.

Neppure costituisce, poi, l’esito espresso di un ragionamento inferenziale la considerazione, conclusiva della motivazione, in ordine alla circostanza che i “risultati gestionali” del contribuente sarebbero stati considerati dall’Amministrazione “in linea con gli studi di settore”. Si tratta invero di un argomento al quale la CTR non attribuisce rilevanza determinante, definendolo meramente “rafforzativo” delle conclusioni già raggiunte. Inoltre, esso rimane assolutamente indeterminato sotto il profilo cronologico (non essendo specificato se si intenda riferito specificamente all’anno d’imposta controverso, o ad altri degli “anni di riferimento” dei quali più volte fa menzione la CTR) e del tutto slegato dal resto degli elementi valutati.

Inoltre, tutti gli elementi indiziari ai quali si riferisce la motivazione peccano, comunque, di analitica correlazione con le singole operazioni specificamente contestate all’esito delle indagini.

Va quindi accolto il ricorso e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto, che non possono essere compiuti in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

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