Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14331 del 25/05/2021

Cassazione civile sez. II, 25/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 25/05/2021), n.14331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24946-2019 proposto da:

A.Y., elettivamente domiciliato in Vicenza, Contrà Santo

Stefano n. 15, presso lo studio dell’avv.to MICHELE CAROTTA che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto pubblicato il 26 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da A.Y., cittadino del Niger, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di aver dovuto abbandonare il proprio paese a causa del conflitto tra cristiani e musulmani, egli infatti, era musulmano in un’area a prevalenza cristiana e a seguito del conflitto aveva perso i contatti madre e sorella, mentre il padre era stato ucciso. Egli era andato a vivere con lo zio che poi lo aveva cacciato per dissapori con il padre.

In sede di audizione dinanzi al giudice delegato dal Tribunale il richiedente aveva confermato sostanzialmente quanto narrato dinanzi la commissione territoriale precisando che lo zio lo aveva cacciato perchè non voleva lavorare oltre le sue forze.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, confusa e piena di contraddizioni. In particolare, egli non aveva fornito alcun dettaglio neppure sui luoghi dove aveva vissuto.

Pertanto, non potevano ritenersi sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale nè con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, nè a quella di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Dalle fonti internazionali, infatti, emergeva che nella zona a nord del Niger non sussisteva alcun conflitto armato nel senso richiesto ai fini della suddetta protezione.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non avendo questi raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale neanche allegato e che peraltro non potrebbe da solo giustificare l’accoglimento della domanda non potendosi ravvisare un rischio individuale in caso di rientro nel paese d’origine, anche perchè il racconto non era credibile.

2. A.Y. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato.

La censura ha ad oggetto la violazione del dovere di cooperazione istruttoria soprattutto nella disamina della situazione del paese di origine del richiedente. Il Tribunale di Venezia si è limitato a ritenere insufficiente e contraddittoria la dichiarazione delle prove portate dal ricorrente a sostegno delle proprie richieste, senza aver contribuito in alcun modo all’attività di indagine e di informazione circa la vicenda narrata pur avendone i poteri.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, situazione della zona a sud-est del Niger circondario di Diffa.

Nel provvedimento impugnato sarebbe stato erroneamente collocato il luogo di provenienza del richiedente al Nord del paese sicchè nel sud-est. Peraltro, dallo stesso provvedimento emergerebbe come il sud-est del Niger sia una zona particolarmente provata dalla presenza terroristica.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: illegittimità della sentenza in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14 e T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per l’utilizzo di criteri erronei ed illegittimi nella valutazione dei fatti rappresentate nella documentazione allegata nè le dichiarazioni rese dal richiedente ai fini della concessione della protezione umanitaria.

La censura è ripetitiva delle precedenti in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria o umanitaria.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Il Tribunale ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che la Niger non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019). Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

Il ricorrente lamenta l’erroneo riferimento geografico effettuato nella sentenza e, tuttavia, non indica alcuna fonte idonea a porre in discussione il giudizio di non riconducibilità della zona di provenienza del ricorrente ad una situazione di conflitto armato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), fondato peraltro sul rapporto del Segretario Generale del Consiglio di sicurezza dell’Onu del dicembre 2018.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso, con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, l’esistenza di una situazione di integrazione da cui derivare una sua particolare vulnerabilità in caso di rientro forzoso. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta, in modo peraltro del tutto generico, una diversa interpretazione delle risultanze di causa. In particolare, deve nuovamente evidenziarsi che il ricorrente non ha allegato alcuna effettiva condizione di integrazione e che la condizione di vulnerabilità è stata esclusa sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo e che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2021

 

 

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