Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13158 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. III, 14/05/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 14/05/2021), n.13158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15000/2019 proposto da:

BERKSHIRE HATHAWAI INTERNATIONAL INSURANCE LIMITED, SI INSURANCE

EUROPE SA, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIUSEPPE MERCALLI

80, presso lo studio dell’avvocato ROMEO MASSIMO, che le rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SCIPIONI MASSIMILIANO;

– ricorrenti –

contro

M.S., A.A., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIALE CARSO 67, presso lo studio dell’avvocato TAGLIAFERRO CHIARA,

rappresentati e difesi dall’avvocato BONFIGLIO MICAELA;

C.A., T.G., T.F., quali eredidi

T.P., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE MARESCIALLO

PILSUDSKI 118, presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI FRANCESCO,

rappresentate e difese dall’avvocato BOVETTI DANIELA;

GENERALE DE SANTE TOSCANA SRL, IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, F.D., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA DEL CIRCO MASSIMO 9, presso lo studio

dell’avvocato INNOCENTI FRANCESCO, rappresentate e difese

dall’avvocato BRILLI FIAMMETTA;

BCC ASSICURAZIONI SPA, CATTOLICA DI ASSICURAZIONE SOCIETA’

COOPERATIVA, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38,

presso lo studio degli avvocati COLETTI PIERFILIPPO, e COLETTI

STEFANIA, che le rappresentano e difendono;

– controricorrenti –

e contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, ALLIANZ SPA;

– intimate –

nonchè da

BCC ASSICURAZIONI SPA, CATTOLICA DI ASSICURAZIONE SOCIETA’

COOPERATIVA, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38,

presso lo studio degli avvocati COLETTI PIERFILIPPO e COLETTI

STEFANIA, che le rappresentano e difendono;

– ricorrenti incidentali –

contro

C.A., T.G., T.F., quali eredi di

T.P., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE MARESCIALLO

PILSUDSKI 118, presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI FRANCESCO,

rappresentate e difese dall’avvocato BOVETTI DANIELA;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

e contro

M.S., A.A., GENERALE DE SANTE TOSCANA SRL IN

LIQUIDAZIONE, F.D., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA,

ALLIANZ SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1083/2018, depositata il 28/06/2018, della

CORTE DI APPELLO di GENOVA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/03/2021 – tenutasi ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23,

comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020

– dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione del giugno 2007, M.S., in proprio e in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio A.A., convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di La Spezia, i medici aiuto-chirurgo Fe.Ma., il chirurgo Co.Gi. e l’anestesista T.P., nonché la struttura sanitaria la Generale de Santé Toscana s.r.l. (già Casa di Cura Santa Rita) e la relativa direttrice sanitaria, F.D., per chiedere l’accertamento della responsabilità dei convenuti e il risarcimento dei “danni patrimoniali, personali, morali, esistenziali sia iure proprio sia iure hereditatis” sofferti in conseguenza della morte di A.P. (rispettivamente, coniuge della M. e padre di A.), verificatasi il (OMISSIS) per “insufficienza acuta cardiocircolatoria per scompenso cardiaco” in occasione dell’intervento di meniscectomia praticato al ginocchio sinistro, all’esito del quale, accusata una ipotensione arteriosa, poco dopo l’uscita dalla sala operatoria, veniva accompagnato di nuovo nella medesima ove, nonostante le terapie praticate, decedeva dopo pochi minuti.

1.1. – Si costituirono in giudizio i medici convenuti T., Fe., Co., i quali, chiedendo di esser manlevati, per il caso di soccombenza, dalle relative compagnie assicuratrici (rispettivamente Allianz S.p.A. e Unipol Sai S.p.A.; Ina Assitalia S.p.A. e Aurora assicurazioni S.p.A.), contestarono la fondatezza della domanda attorea.

1.3 – Si sostituiscono, altresì, la Casa di Cura Generale de Santé Toscana s.r.l. e la relativa direttrice sanitaria F., contestando in linea principale, la sussistenza di responsabilità dei sanitari convenuti e formulando, in via subordinata, domanda di regresso nei confronti dei medesimi; svolsero, per il caso di soccombenza, domanda di manleva nei confronti delle proprie compagnie assicuratrici Sompo Japan Insurance Company of Europe LTD (poi SI Insurance Europe SA), Cattolica coop. a.r.l. e Cattolica Aziende S.p.A., poi costituitesi anch’esse.

1.4. – Svolsero, inoltre, intervento volontario A.K. e M., in qualità di figli del de cuius nati da precedente matrimonio, chiedendo iure proprio e iure successionis, il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti.

1.5. – Con sentenza del giugno 2011, il Tribunale, espletata C.T.U. medico-legale, rigettò la domanda attrice e degli intervenienti.

2. – Con atto di citazione dell’ottobre 2011, notificato al T., alla Generale de Santé Toscana s.r.l. e alla F., la M. e A.A. – divenuto, nelle more del giudizio, maggiorenne – formulavano appello avverso la sentenza del Tribunale di La Spezia, per ottenerne, previa rinnovazione della c.t.u. medico-legale, la riforma integrale.

2.1. – In forza di intervento volontario anche A.K. chiedeva l’integrale riforma della sentenza gravata.

2.2. – Si costituiva T.P. chiedendo la conferma della sentenza di primo grado o, comunque, di essere manlevato, per il caso di condanna, dalle compagnie d’assicurazione chiamate in giudizio.

2.3. – Si costituivano la Generale de Santé Toscana s.r.l. e la F. chiedendo il rigetto del gravame, con riproposizione, in linea subordinata, della domanda di regresso nei confronti dei medici

convenuti, nonché di garanzia verso le compagnie assicurative, con richiesta di integrazione del contraddittorio in favore dei medici Co. e Fe., nonché delle compagnie assicuratrici, tutti, poi, costituitisi.

2.4. – Nelle more del giudizio, in cui veniva espletata nuova c.t.u. medico-legale, interveniva accordo transattivo fra gli appellanti M. e A.A., da un lato, ed Allianz assicurazioni S.p.A. (anche per Unipol Sai S.p.A.) dall’altro, per il versamento “in via definitiva”, in favore dei congiunti del defunto, di Euro 280.000,00, a titolo di risarcimento danni ascritti alla condotta di T.P..

2.5. – Con sentenza non definitiva n. 1274 del 26 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Genova, dichiarato inammissibile l’appello incidentale di A.K., in quanto tardivo, e respinte le domande o di regresso svolte dalla Generale de Santé , dalla Dott.ssa F. e dalla Sompo Japan, nei confronti del Co. e del Fe., accertava, sulla scorta dei rilievi della rinnovata c.t.u., la sussistenza di colpa nella condotta del T., per sovradosaggio di anestetici con la tecnica del Bi-Block, e per aver avviato il paziente al ritorno in reparto, omettendo adeguato controllo post-operatorio per un tempo più opportuno.

La Corte territoriale, con rimessione della causa in istruttoria, disponeva la prosecuzione del giudizio sulla questione dell’inadeguato monitoraggio post-operatorio imputabile alla casa di cura e alla direttrice sanitaria, dovuto alla mancata predisposizione di adeguata “sala risvegli”.

2.6. – Con atto del gennaio 2017, interveniva la compagnia assicuratrice Berkshire Hathaway International Insurance LTD, in qualità di cessionaria del portafoglio assicurativo della Sompo Japan Nipponkoa Insurance Company of Europe LTD, incorporata, a sua volta, da SI Insurance Europe SA.

2.7. – Escussa prova testimoniale sulle condizioni delle dotazioni strutturali della casa di cura, in particolare sulle “dimensioni e minima o strumentazione necessaria” della “sala risvegli”, la Corte d’Appello di Genova, con sentenza definitiva n. 1083 del 28 giugno 2018, dichiarata cessata la materia del contendere fra agli appellanti e T.P. e respinta la domanda di regresso formulata, nei confronti di quest’ultimo, dalla struttura sanitaria, dalla direttrice sanitaria, nonché dalla compagnia assicuratrice Sompo Japan (sul rilievo per cui “la Generale de Santé e la Dott.ssa F. sono state evocate in giudizio sull’assunto di una loro responsabilità propria, dipendente dalle carenze della struttura (…) e non siccome responsabili per l’operato dei sanitari di cui la Casa si avvaleva”; sicché , il T. “non può rispondere di carenze che sono proprie della struttura e che non derivano dalle proprie inadempienze”), dichiarava la responsabilità per fatto “proprio” della struttura e della direttrice sanitaria per il decesso di A.P., per non aver i convenuti predisposto adeguata “sala risvegli” al fine del monitoraggio del paziente nella fase post-operatoria.

2.7.1. – In particolare, sulla scorta degli accertamenti della c.t.u., che aveva fatto propri gli atti dell’indagine penale, e della prova testimoniale, la Corte territoriale osservava che: a) “non é tanto in discussione la tempestività dei soccorsi che sono stati prestati quando l’ A., avviato al proprio reparto, ebbe a rientrare in sala operatoria, quanto la necessità di sottoporre quel paziente ad un più adeguato e protratto monitoraggio dopo l’intervento, specie considerato che già vi era una manifestazione di ipotensione; b) ove “il paziente fosse stato ancora monitorato, anche dopo l’uscita dalla sala operatoria, nella cd. sala risveglio la sua situazione di sofferenza sarebbe stata prontamente percepita, mentre di un monitoraggio dopo l’uscita dalla sala operatoria, non risulta alcuna prova”; c) “se davvero la sala risvegli fosse stata dotata delle adeguate strumentazioni, non si spiega la ragione per cui l’ A., non solo non era rimasto più a lungo sotto monitoraggio in tale sala (…)ma soprattutto perché , una volta riportato in fretta indietro dall’infermerie, non sia stato soccorso in tale sala risveglio ma sia stato necessario, invece, reintrodurlo in sala operatoria, da cui era stato allontanato il sig. Ma., che era già stato lì collocato e che, per di più, aveva già ricevuto l’anestesia”; d) per cui, secondo quanto rilevato nella c.t.u., “con elevata probabilità sussiste un nesso di causalità tra l’anestesia loco-regionale, in particolare per gli effetti tossici cardiovascolari degli anestetici usati, e l’arresto cardiocircolatorio: l’incidenza, al termine dell’intervento chirurgico di una ipotensione arteriosa, non dovuta all’intervento e comunque correttamente trattata, doveva far sospettare l’ipotesi di un effetto tossico degli anestetici locali sulla funzione cardiovascolare e consigliare un temporaneo ricovero in sala risvegli”; e) “se vi fosse stato un ambiente debitamente attrezzato” – la c.d. “sala risvegli”, sulla cui “corretta funzionalità ed adeguatezza” doveva vigilare la direttrice sanitaria – “l’ A. avrebbe potuto essere monitorato per un periodo adeguato, e ciò avrebbe consentito di percepire tempestivamente la situazione e il malore non avrebbe avuto esiti letali”; f) doveva, quindi, “escludersi che i convenuti abbiano fornito prova sufficiente, su di loro incombente, circa l’adeguatezza della sala risvegli, sicché deve ravvisarsi” (per l'”inesatto inadempimento delle rispettive obbligazioni”, sussistendo il “nesso causale tra tale inadempimento e la morte del sigr. A.”) “anche la responsabilità della struttura e della direttrice sanitaria”, quest’ultima, in quanto “risponde delle carenze della struttura proprio in ragione degli oneri che incombono sul Direttore Sanitario”; g) “poiché non sussistono elementi per individuare un grado di responsabilità diverso fra questi soggetti”, la responsabilità per l’evento lesivo era da attribuirsi “in pari misura al T., da una parte, ed alle manchevolezze strutturali della Casa di Cura dall’altra, di cui devono rispondere in ugual misura tra loro Generale de Santé e la Dott.ssa F.”.

2.8. – Quanto ai danni, la Corte territoriale riconosceva alla M. e ad A.A. il risarcimento del danno parentale, determinato dallo “sconvolgimento della vita familiare”, nella misura (massima prevista dalle tabelle del Tribunale di Milano complessivi Euro 663.840,00, precisando che “poiché l’importo versato per il T. (in base all’intercorsa transazione) é inferiore alla sua quota ideale di debito, Generale de Santé e la Dott.ssa F., quindi, devono essere condannate, in solido tra loro a rispondere del 50% del complessivo importo di Euro 663.840,00, e così dell’importo di Euro 331.920,00”, oltre interessi e rivalutazione dalla data della sentenza e sino al soddisfo. La Corte di appello condannava, altresì, la casa di cura e la direttrice sanitaria alla “rifusione” di Euro 3.651,24, oltre interessi, a titolo di danno patrimoniale.

3. – Per la cassazione della sola sentenza definitiva n. 1083/2018 della Corte di appello di Genova ricorrono SI Insurance (Europe) SA e Berkshire Hathaway International Insurance LTD, affidando le sorti dell’impugnazione a nove motivi.

Resistono con rispettivi controricorsi, da una parte, M.S. e A.A., nonché , dall’altra, C.A., T.F. e G., in qualità di eredi di T.P..

Con controricorso, Generale de Santé Toscana s.r.l. e F.D. aderiscono ai motivi fatti valere col ricorso principale dalle relative garanti compagnie assicuratrici.

Svolgono ricorso incidentale, sulla base di tre motivi, Cattolica Assicurazioni soc. coop. a.r.l. e BCC assicurazioni S.p.A., cui resistono, con controricorso, C.A., T.F. e G., in qualità di eredi di T.P..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede le intimate Allianz S.p.A. e Unipolsai Assicurazioni S.p.A..

Le ricorrenti principali SI Insurance (Europe) SA e Berkshire Hathaway International Insurance LTD, le ricorrenti incidentali Cattolica Assicurazioni soc. coop. a.r.l. e BCC assicurazioni S.p.A., nonché i controricorrenti M.S. e A.A. hanno depositato memoria.

Il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto di entrambi ricorsi, principale e incidentale.

La decisione é stata resa in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della forma di sentenza in forza dell’art. 375 c.p.c., u.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale di SI Insurance (Europe) Sa e Berkshire Hathaway International Insurance Limited.

1. – Con il primo mezzo é denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2043,2049 e 2055 c.c., nonché artt. 40 e 41 c.p., per aver la Corte territoriale statuito, con “mera petizione di principio”, la responsabilità per fatto proprio della casa di cura e della direttrice sanitaria, in relazione al presunto inadempimento costituito dal non aver allestito adeguata “sala risvegli” ove l’ A. potesse esser assistito nel risveglio post-operatorio, omettendo di rendere autonomo accertamento, con giudizio controfattuale, del nesso di causalità tra la condotta omissiva specificamente imputata alla struttura sanitaria e l’evento lesivo-morte.

La Corte territoriale, inoltre, avrebbe errato a ritenere, richiamando il precedente di cui a Cass., 16 gennaio 2009, n. 975, che, in occasione di intervento chirurgico routinario, il nesso di causalità risulta, di per sé , provato, in quanto un siffatto orientamento andrebbe riferito unicamente alla “responsabilità per l’attività medica in senso stretto, non anche (a) quella della struttura per eventuali carenze organizzative o strutturali”.

2. – Con il secondo mezzo é dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per aver la Corte territoriale affermato la responsabilità per fatto proprio della Generale de Santé s.r.l. e del suo direttore sanitario, omettendo del tutto di motivare sul nesso di causalità “tra la morte del signor A. e specifica condotta omissiva” ad essi imputata o, comunque, avendo reso una motivazione meramente apparente, non idonea a rendere comprensibile le ragioni della decisione.

2.1. – Il primo e il secondo motivo, da scrutinarsi congiuntamente in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

2.2. – Infondata é , anzitutto, la doglianza mossa con il secondo motivo, che, per priorità logica, va scrutinata per prima.

L’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, é violato – tanto da potersi concretare una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tra le molte, Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., 25 settembre 2018, n. 22598).

Nella specie, la motivazione resa dal giudice di appello ha, in sintesi (rinviandosi integralmente al p. 2.7.1. dei “Fatti di causa”, ove la motivazione é in buona parte trascritta), evidenziato che: a)

sussisteva, in termini di “elevata probabilità”, il nesso causale tra anestesia non corretta e arresto cardicocircolatorio dell’ A., dovendo l’effetto tossico degli anestetici locali sulla funzione cardiovascolare “consigliare un temporaneo ricovero in sala risvegli”; b) era necessario, quindi, un monitoraggio del paziente dopo l’intervento, al termine del quale vi era stata una manifestazione di ipotensione; c) il monitoraggio in “sala risvegli”, dopo l’uscita dalla sala operatoria, avrebbe consentito di percepire prontamente la “situazione di sofferenza”; d) la “sala risvegli” era carente di “adeguate strumentazioni”, tanto che l’ A. era stato riportato in sala operatoria, peraltro già occupata, nelle more, da altro paziente; e) una “sala risvegli” debitamente attrezzata – sulla cui “corretta funzionalità ed adeguatezza” doveva vigilare la direttrice sanitaria -, dove “l’ A. avrebbe potuto essere monitorato per un periodo adeguato, (…)avrebbe consentito di percepire tempestivamente la situazione e il malore non avrebbe avuto esiti letali”.

Non é , quindi, affatto ravvisabile il denunciato vizio di motivazione apparente nell’impianto argomentativo della sentenza impugnata, che dà, con sviluppo articolato, intelligibile contezza del ragionamento logico-giuridico tramite il quale la Corte territoriale é giunta ad affermare il nesso di causalità tra la carente adeguatezza funzionale della c.d. “sala risvegli” e il decesso dell’ A. e, quindi, fondare il giudizio di responsabilità della casa di cura e della sua direttrice sanitaria, tenuti, rispettivamente, ad apprestare strutture sanitarie funzionali ed adeguate e a vigilare che fossero presenti che tali strutture.

2.3. – Le censure avanzate con il primo motivo – che si articolano sotto due distinti profili – deducono l’erroneità in diritto del ragionamento della Corte territoriale.

2.3.1. – Il primo profilo di censura – con cui ci si duole di un accertamento sul nesso causale privo di giudizio controfattuale – é infondato.

Posto che, in tema di verifica del nesso causale tra fatto illecito civile ed evento lesivo, l’error iuris, sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, é soltanto quello che attiene all’individuazione della regola giuridica (artt. 40 e 41 c.p.; art. 1127 c.c., comma 1) in base alla quale il giudice deve procedere a quell’accertamento, (Cass., 25 febbraio 2014, n. 4439; Cass., 24 maggio 2017, n. 13096), va anzitutto rammentato che, in base agli artt. 40 e 41 c.p., un evento é da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, dovendosi, altresì, avere riguardo al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili (Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576).

Ove, poi, un siffatto accertamento abbia ad oggetto una condotta omissiva, esso si viene a sostanziare nella verifica della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto.

Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana)” (Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576; Cass., 8 luglio 2010, n. 16123; Cass., 27 settembre 2018, n. 23197).

La decisione del giudice di appello (cfr. sintesi al p. 2.2. che precede, nonché p. 2.7.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia integralmente) é resa in armonia con i ricordati principi di diritto, essendo stata accertata, con giudizio controfattuale – in base alla regola probatoria di funzione del “più probabile che non” (già deponendo in tal senso gli esiti della c.t.u. medico-legale, che si esprime in termini di “elevata probabilità”), applicata, correttamente, in forza di una analisi complessiva delle acquisite risultanze probatorie in rapporto alla singolare vicenda di danno, come tale permeata di una non ripetibile unicità (tra le altre, Cass., 21 luglio 2011, n. 15991; Cass., 20 febbraio 2015, n. 3390) – l’idoneità lesiva della condotta omissiva imputata alla casa di cura e alla sua direttrice sanitaria (concorrente eziologicamente con la condotta commissiva del medico anestesista). E tanto trova riscontro, segnatamente, là dove é i evidente la saldatura, nel ragionamento del giudice di merito – i cui esiti sono, per l’appunto, quelli di ascrivere valenza eziologia concorrente alla condotta della casa di cura e della sua direttrice sanitaria proprio in riferimento al decesso del paziente -, tra il rilievo, desunto dalla c.t.u. medico-legale (espletata in secondo grado), per cui l’ A. (in ragione della sue condizioni critiche manifestatesi al termine dell’intervento chirurgico al ginocchio per anestesia non correttamente praticata) necessitava di monitoraggio adeguato dopo l’uscita dalla sala operatoria, da effettuarsi nella c.d. “sala risvegli”, con il rilievo che detto monitoraggio non vi fu (non essendo stata fornita prova dai convenuti a ciò onerati) e non vi poté essere per le carenze funzionali della “sala risvegli” – tanto che l’ A. fu riportato “in fretta” nella sala operatoria -, mentre se il paziente fosse stato, in una “sala risvegli” con le dotazioni adeguate, “monitorato per un periodo adeguato” (…) ciò avrebbe consentito di percepire tempestivamente la situazione e il malore non avrebbe avuto esiti letali”.

Per il resto, le critiche sul punto mosse dalle ricorrenti si risolvono nel censurare le conseguenze che la Corte territoriale ha tratto dall’applicazione, corretta, delle anzidette regulae iuris, ciò investendo, però, la quaestio facti riservata all’apprezzamento del giudice di merito e che si sottrae, attualmente (dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L.), alla denuncia di vizi “motivazionali”, né essendo stato dedotto, alla stregua di quanto declinato dalla citata Cass., S.U., n. 8053/2014, un omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti.

2.3.2. – Il secondo profilo di censura, veicolato sempre con il primo motivo, é inammissibile.

Con esso non é colta la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata in punto di responsabilità “propria” della casa di cura e della sua direttrice sanitaria, nei termini appena evidenziati al p. 2.1.2.1. che precede (e al quale si rinvia), che non ancora la verifica del nesso di causalità tra condotta omissiva specificamente imputata ai predetti convenuti ed evento lesivo a carico del paziente alla mera qualificazione dell’intervento in termini di prestazione di routine, assumendo tale rilievo significatività, nel ragionamento del giudice di merito, là dove, nell’ambito del più ampio percorso argomentativo (riferendosi anche al precedente di cui a Cass. n. 975/2009), si é inteso escludere l’accoglimento della censura tesa a far discendere l’evento lesivo da un preteso arresto cardiocircolatorio “imprevedibile”, solo genericamente asserito e comunque non provato.

3. – Con il terzo mezzo é prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto controverso e decisivo per il giudizio, per aver la Corte d’Appello, nel ravvisare il nesso di causalità tra la mancata predisposizione di adeguata “sala risvegli” post-operatoria e l’evento-morte, omesso di valutare il fatto decisivo controverso, risultante dalla cartella clinica (e confermato anche dalla c.t.u. espletata in appello, atteso che i consulenti per poter affermare il nesso causale hanno dovuto contestare il dato emergente dalla cartella clinica affermando che: “gli eventi in questione non possono essere avvenuti in soli 8 minuti, ma in un tempo come minimo doppio (da 16 minuti in su)”, derivandone che “l’arresto potrebbe esser stato trattato in ritardol, per cui “il tempo trascorso tra l’arresto cardiaco che colpì il signor A. ed i soccorsi a lui prestati fu talmente breve (meno di 8 minuti) da far ritenere “più probabile che non” che il decesso del signor A. si sarebbe comunque verificato anche se il paziente fosse stato monitorato in una “sala risvegli””.

4. – Con il quarto mezzo é denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per aver la sentenza impugnata, con adesione implicita alle conclusioni dei consulenti d’ufficio, disatteso il valore di prova legale della cartella clinica con riguardo precipuo “alla fascia oraria di fine intervento e fine monitoraggio (ore 11:10) del sig. A. e di rientro dello stesso in sala operatoria (11:18) dopo l’arresto cardiaco”, senza tenere in conto le critiche svolte, avverso le valutazioni dei consulenti d’ufficio, dai consulenti di parti e dalle parti medesime.

4.1. – Il terzo e quarto motivo – da esaminarsi congiuntamente per essere strettamente connessi – sono inammissibili.

Con essi, infatti, non é colta la ratio decidendi della sentenza impugnata, giacché il giudice di appello, a fondamento del giudizio probabilistico di accertamento del nesso causale, secondo quanto già innanzi evidenziato (cfr., in toto, p.p. 2.1 e 2.2., cui si rinvia integralmente), non ha in alcun modo posto la intempestività dei soccorsi – che non costituisce fatto la cui valutazione é stata omessa, bensì fatto incontroverso e, comunque, non decisivo, senza che siano state messe in discussione le risultanze della cartella clinica (cfr. p. 2.7.1. dei “Fatti di causa” e p. 15 della sentenza impugnata) -, ma lo svolgimento della complessiva fase di assistenza post-operatoria, non potutasi realizzare, a fronte di una situazione critica (ipotensione) del paziente già in fase ultimativa dell’intervento chirurgico, in modo adeguato e fattivo attraverso idoneo monitoraggio in attrezzata “sala risvegli”, così da risultare tale omissione fattore concausale del decesso dell’ A..

5. – Con il quinto mezzo é prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte territoriale ritenuto insussistenti elementi idonei a superare la presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2055 c.c., del T., da una parte, e della Generale de Santé e della Dott.ssa F.”, dall’altra, non valutando la decisività del fatto che al medico “fossero imputabili due diversi tipi di condotta colpevole”, ossia l’aver somministrato un dosaggio errato degli anestetici, nonché omesso il monitoraggio del paziente al fine dell’intervento cui erano da ricollegarsi le più gravi conseguenze dannose, là dove alla struttura sanitaria era imputata una sola condotta omissiva.

5.1. – Il motivo é in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ infondato giacché le circostanze fattuali addotte non possono dirsi pretermesse nella valutazione della Corte territoriale – di esse essendone stato dato conto adeguatamente nel complessivo impianto argomentativo che sorregge la decisione (cfr., in sintesi, p. 2.7.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia) -, che, tuttavia, le ha ritenute, secondo un apprezzamento investente la quaestio facti, non idonee a fondare una graduazione di responsabilità tra i vari soggetti implicati nell’illecito.

E’ inammissibile là dove si traduce, comunque, non già nella deduzione di un vizio di omesso esame di fatto, storico, controverso decisivo per il giudizio, secondo il vigente paradigma di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma veicola, piuttosto, una censura sussumibile, semmai, nel contesto del vizio il cui sindacato era consentito dalla precedente, ma inapplicabile ratione temporis, formulazione di detta norma processuale, giacché la critica, in parte qua, si traduce nel mettere in risalto una (presunta) insufficienza motivazionale e contraddittorietà della motivazione.

6. – Con il sesto mezzo é denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza o del procedimento”, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in ragione del riconoscimento, in favore degli appellanti M. e A., della voce di danno parentale, “in difetto di specifica allegazione del fatto costitutivo (lo sconvolgimento della vita familiare)”.

6.1. – Il motivo é inammissibile, prima ancora che infondato.

Con esso, infatti, non si deduce (come si imponeva a sostegno della censura di extrapetizione) un difetto di allegazione dei fatti costitutivi del preteso risarcimento per il danno non patrimoniale derivante agli attori dalla morte del proprio congiunto, bensì la mancata deduzione di una formula meramente riassuntiva del tipo di lesione (“sconvolgimento della vita familiare”), ciò che é inidoneo rappresentare una denuncia, in questa sede, di asserito difetto, al riguardo, di postulazione di petitum e causa petendi; inidoneità della censura tantomeno superabile con il rinvio, affatto generico, alla produzione degli “atti di citazione di primo grado e di appello”, in palese violazione dei principi di specificità e di localizzazione processuale, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

Ciò, dunque, in via assorbente, a prescindere, quindi, dal rilievo – desumibile dal controricorso della M. e dell’ A. (ove é , invece, presente idonea localizzazione processuale: cfr. p. 22) – dei contenuti della pretesa originaria, siccome comprensiva di tutti i danni sofferti, tra cui quelli “morali, esistenziali”, in conseguenza della perdita del congiunto.

7. – Con il settimo mezzo é dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2059 c.c., per aver la Corte territoriale riconosciuto, per il solo fatto della morte del congiunto e, dunque, in re ipsa, il danno parentale, mancandone, quindi, i presupposti giustificativi.

8. – Con l’ottavo mezzo é prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1225,1226,2056 e 2059 c.c., per aver la Corte territoriale violato i principi (affermati dalla giurisprudenza di legittimità) in tema di liquidazione e personalizzazione del danno non patrimoniale, applicando, in difetto di prova del fatto costitutivo del danno, bensì col ricorso a criteri meramente presuntivi – “l’età e lo stretto vincolo parentale e di coniugio” – i valori “massimi”, per complessivi Euro 663.840, previsti dalle Tabelle milanesi del 2018.

9. – Con il nono motivo é denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., per aver la Corte territoriale applicato meccanismi presuntivi al fine di supplire alla mancata allegazione degli elementi costitutivi del danno da lesione del rapporto parentale, “come l’intensità massima della sofferenza e la gravità del danno”.

9.1. – I motivi dal settimo al nono – che possono esser trattati congiuntamente – sono infondati.

E’ principio ormai consolidato quello per cui il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non costituisce danno in re ipsa, ossia non coincide con la verificazione del c.d. danno-evento, ossia della lesione del bene-

interesse della persona che rinviene tutela a livello costituzionale come diritto fondamentale; sicché , esso deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, é consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che é onere del danneggiato fornire, mentre la sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata (tra le molte, Cass., 17 gennaio 2018, n. 907).

In particolare, si é puntualizzato che, in tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice é tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioé , l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico – relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso (Cass., 11 novembre 2019, n. 28989). Nella specie, a fronte della domanda, svolta dai danneggiati nel giudizio di primo grado, di risarcimento dei danni “personali, morali, o esistenziali sia iure proprio sia iure hereditatis”, sofferti in conseguenza della morte del congiunto all’esito di intervento chirurgico per meniscectomia al ginocchio sinistro, la Corte territoriale – come si desume dal complessivo impianto motivazionale – non si é discostata dai summenzionati principi di diritto, correlando il riconoscimento e, quindi, la liquidazione equitativa (art. 1226 c.c.) del pregiudizio non patrimoniale definito “danno parentale” a parametri fattuali, quali congruenti elementi presuntivi (età del congiunto, età del coniuge e dei componenti il nucleo familiare all’epoca del fatto illecito, vincolo di coniugio e parentale), comprovati dalla “documentazione versata in primo grado”, da cui ha tratto il convincimento della sussistenza “evident(e)” di “profondi e gravi danni alla qualità e alla compromissione della loro vita familiare” (cfr. sintesi al p. 2.7.1. dei “Fatti di causa” e pp. 26 e 27 della sentenza impugnata).

Tale motivazione non si presta ad essere letta come attributiva di un danno in re ipsa o, peraltro, come resa in violazione dei connotati di gravità ed effettiva secondo i quali il giudice del merito deve improntare la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, là dove, poi, quanto all’apprezzamento della quaestio facti riservata alla Corte territoriale, le ricorrenti non hanno dedotto un omesso esame di fatti decisivi e discussi, né , del resto, erano deducibili, ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, eventuali insufficienze motivazionali.

Né coglie nel segno, pertanto, anche la censura che lamenta l’applicazione della misura massima dell’importo risarcitorio desumibile dalle tabelle milanesi, rientrando tale valutazione nel complessivo ambito del predetto apprezzamento di fatto (che, come detto, risulta correttamente sussumibile nella fattispecie legale di riferimento) e non contestando affatto le ricorrenti la stessa applicabilità di detta tabella, né tantomeno la sua conformità a parametro idoneo della liquidazione equitativa, ex art. 1226 c.c., del “danno parentale”.

Ricorso incidentale Cattolica di Assicurazioni soc. coop. e La BCC assicurazioni S.p.A..

10. – Con il primo mezzo sono mosse plurime censure, in buona parte adesive alle doglianze fatte valere col ricorso principale da SI Insurance (Europe) Sa e Berkshire Hathaway International Insurance Limited.

A tal riguardo – riproducendosi la medesima articolazione progressiva per il secondo e terzo motivo di ricorso principale -, é denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,2043,2049,2055 e 2700 c.c., nonché degli artt. 40 e 41 c.p.; nullità della sentenza, per violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non aver il giudice di appello accertato, omettendo motivazione sul punto, l’efficienza causale autonoma della condotta omissiva imputata alla struttura sanitaria e al suo direttore nella causazione dell’evento lesivo-morte controverso.

Inoltre, é , ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame circa ben tre fatti controversi e decisivi per il giudizio, ossia: la circostanza che il paziente, al momento dell’uscita dalla sala operatoria, fosse sveglio e cosciente; il fattore tempo, intercorso tra le “dimissioni” del paziente dalla sala operatoria e il suo rientro nella medesima; l’accertamento, reso nella c.t.u. posta a fondamento della sentenza non definitiva, della configurabilità di gravi “lacune” riscontrabili nelle manovre rianimatorie eseguite, durante l’intervento, dall’anestesiologo.

10.1. – Il motivo é in parte infondato e in parte inammissibile.

10.2. – Le censure che deducono errores in iudicando seguono la sorte (in parte infondate e in parte inammissibili) di quelle del primo e secondo motivo del ricorso principale, cui si prestano ad essere lette come adesive e, rispetto alle quali, valgono le medesime considerazioni innanzi svolte (cfr. p.p. 2.2. e 2.3. che precedono).

10.3. – L’ulteriore complessiva censura, veicolata a mezzo di violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, é in parte infondata e in parte inammissibile.

E’ infondata giacché nella motivazione resa dalla Corte territoriale (cfr. p. 2.7.1. dei “Fatti di causa”) non é riscontrabile alcun omesso esame dei fatti controversi addotti dalle ricorrenti incidentali in termini di decisività sull’esito della statuizione di responsabilità, avendo il secondo giudice – nella considerazione che il paziente fosse cosciente all’esito dell’intervento, ma che stesse accusando, in ragione dell’errato sovradosaggio degli anestetici imputabile alla condotta del sanitario, un episodio di ipotensione – ritenuto che in discussione fosse non la tempestività dei soccorsi prestati al paziente, bensì il fatto per cui quest’ultimo, nella fase post-operatoria, non fosse stato condotto in “sala risvegli” per adeguato monitoraggio.

E’, altresì, inammissibile il profilo di doglianza censura che fa leva sulle risultanze della c.t.u. di secondo grado per addebitare l’evento ad imperite “manovre rianimatorie eseguite in sala operatoria dall’anestesiologo”, poiché esso non solo é veicolato in modo generico (attraverso uno stralcio decontestualizzato della c.t.u.), ma si traduce in un differente apprezzamento delle risultanze probatorie (come tale non consentito alla parte) e, per di più, su un fatto (semmai effettivamente discusso tra le parti: circostanza, anche questa, che il motivo non chiarisce) non decisivo, in quanto l’accertamento fattuale cui é giunto il giudice di appello, secondo una valutazione congruente rispetto agli esiti della stessa consulenza espletata in secondo grado (cfr. sintesi al p. 2.7.1. dei “Fatti di causa” e p. 22 della sentenza impugnata), é nel (diverso) senso che la morte dell’ A. era da imputare, eziologicamente, al concorso degli effetti tossici cardiovascolari degli anestetici locali e al mancato monitoraggio in una “sala risvegli” debitamente attrezzata.

11. – Con il secondo mezzo é prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, vizio di omesso esame circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la Corte territoriale omesso di motivare o, comunque, motivato erroneamente nel ritenere sussistente la presunzione di uguaglianza di colpa, ai sensi dell’art. 2055 c.c., in capo al T., alla struttura sanitaria e alla direttrice sanitaria, là dove avrebbe dovuto accertare la responsabilità “esclusiva” del T. tenendo conto delle rispettive condotte inadempienti ascritte.

11.1. – Il motivo é in parte infondato e in parte inammissibile.

A tal riguardo valgono a fondare un tale esito dello scrutinio le medesime considerazioni svolte (al p. 5.1. che precede) sulle censure, in buona parte sovrapponibili, del quinto motivo di ricorso principale.

A ciò si deve aggiungere che la motivazione resa dalla Corte territoriale é ben lungi dal violare il c.d. “minimo costituzionale” (Cass., S.U., n. 8053/2014, citata), sviluppandosi, seppur in maniera sintetica nella valutazione conclusiva (essendo ben esplicitate nel corpo della sentenza i fatti sostanzianti ciascuna condotta illecita), in modo affatto intelligibile, là dove, inoltre, le doglianze di violazione dell’art. 2055 c.c. (già comunque in parte assorbite dalle precedenti considerazioni) si risolvono, nella sostanza, in una critica alla predetta valutazione del giudice di merito, contrapponendo ad essa (in modo inammissibile) quella divisata dalle stesse parti ricorrenti.

12. – Con il terzo mezzo é denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2055 e 1304 c.c., violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché , vizio di omesso esame circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte territoriale, alla luce della transazione occorsa tra la M. e l’ A. e il Dott. T., compositiva della liquidazione dei danni patrimoniali e non, “di pertinenza” del medico anestesista, posto, senza motivazione alcuna, a carico della struttura e della direttrice sanitaria, il risarcimento integrale, anziché nella quota del 50%, del danno patrimoniale emergente, liquidato in complessivi Euro 3.651,24, diversamente da quanto ritenuto (in conformità alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 30174/2011), a fondamento della condanna alla voce di danno parentale.

12.1. – Il motivo é inammissibile.

Le ricorrenti, infatti, in evidente violazione delle prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 (tra le molte, Cass., 3 dicembre 2020, n. 27702; Cass., 10 dicembre 2020, n. 28184), non forniscono alcuna specifica indicazione e, comunque, intelligibile, dei contenuti propri della transazione su cui fondano la doglianza, né tantomeno della relativa localizzazione processuale (che non é superabile dal richiamo, affatto generico, operato a p. 9 del controricorso/ricorso incidentale ove si trova soltanto scritto: “Depositato l’anzidetto accordo transattivo raggiunto e precisate le conclusioni all’udienza del 29 giugno 2016…”) – omissioni, queste, ciascuna di per sé assorbente -, così da non consentire a questa Corte (cui non é dato l’esame diretto degli atti se non in presenza di errores in procedendo) di poter apprezzare nel fondo il motivo (senza considerare, in ipotesi, che le omesse indicazioni non sarebbero neppure surrogabili dalla mera lettura della sentenza impugnata, in quanto ivi della transazione é riportato un minimo stralcio, non utile per una interpretazione del contratto in base all’intero regolamento negoziale).

13. – Vanno, dunque, rigettati entrambi i ricorsi, principale ed incidentale.

Le parti ricorrenti, in via principale e in via incidentale, devono essere condannate, ciascuna, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti M.S. e A.A., nonché dei controricorrenti C.A., T.F. e T.G., quali eredi di T.P..

Vanno compensate le spese del presente giudizio tra le parti ricorrenti, in via principale e in via incidentale, e le altre parti controricorrenti, in ragione della identità di posizioni difensive.

Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

rigetta entrambi i ricorsi, principale e incidentale;

condanna sia le ricorrenti principali, che le ricorrenti incidentali al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente di seguito indicata, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida: a) in Euro 7.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge, in favore dei controricorrenti M.S. e A.A.; b) in Euro 5.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge, in favore dei controricorrenti C.A., T.F. e T.G., quali eredi di T.P.;

compensa interamente le spese del giudizio di legittimità tra entrambe le parti ricorrenti e le altre parti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambe le parti ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

 

 

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