Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12369 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. II, 10/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 10/05/2021), n.12369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26425-2019 proposto da:

R.R., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA, per procura speciale in calce al ricorso recante la

data 26/8/2019;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il DECRETO n. 2139/2019 del TRIBUNALE DI CATANZARO,

depositato il 24/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/1/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con il decreto in epigrafe, dichiaratamente comunicato il 2/8/2019, ha respinto l’impugnazione che R.R., nato in (OMISSIS) l'(OMISSIS), aveva proposto avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

R.R., con ricorso notificato il 2/9/2019 (l’1/9/2019 è stata domenica), ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la

violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente fosse intrinsecamente inattendibile senza, tuttavia, svolgere, attraverso i poteri che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 riconosce al giudice e i documenti che il richiedente aveva prodotto in giudizio, alcuna verifica in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni rese dallo stesso.

1.2. Il tribunale, inoltre, ha aggiunto il ricorrente, ha ritenuto, con motivazione illogica, che il richiedente non aveva dimostrato che in caso di rimpatrio rischiava di essere esposto al rischio di subire una grave violazione dei diritti umani, laddove, al contrario, le dichiarazioni rese al giudice istruttore nell’udienza del 14/6/2019, rendono evidente il pericolo paventato dal richiedente con la conseguenza che il tribunale, avvalendosi dei poteri istruttori previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 aveva il dovere di attivarsi per acquisire completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, al fine di accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto dal richiedente.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e art. 14, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il (OMISSIS) non versa in una situazione di violenza generalizzata senza considerare che, in realtà, come lo stesso collegio ha accertato, tale regione è interessata, oltre che da una situazione particolarmente instabile, dalla presenza di cellule terroristiche attive e da recenti attentati.

3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

3.2. Ai fini della protezione internazionale, infatti, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente circa la sua personale esposizione a rischio grave per la vita o la persona, essendo solo in tal caso possibile considerare “veritieri”, se pur sforniti di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), i fatti che lo stesso ha narrato (cfr. Cass. n. 16925 del 2018). Il richiedente, invero, è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, ed, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora lo stesso, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 8367 del 2020, in motiv.; Cass. n. 15794 del 2019; conf., Cass. n. 19197 del 2015).

3.3. La valutazione d’inattendibilità del richiedente costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. n. 27503 del 2018) che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 33858 del 2019), e cioè, oltre che per mancanza assoluta della motivazione, per motivazione apparente o per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, soltanto per omesso esame di una o più di circostanze (e non delle prove: Cass. SU n. 8053 del 2014), dedotte in giudizio, la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una differente ricostruzione dei fatti idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata, dovendosi, per contro, escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 2019).

3.4. Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che la narrazione dei fatti svolta dal richiedente non fosse credibile in quanto generica ed ha, pertanto, correttamente escluso, in conformità ai predetti indicatori normativi (tra cui quello, previsto dalla lett. c), secondo il quale i fatti narrati dal richiedente sono considerati “veritieri” solo se le dichiarazioni dello stesso siano ritenute, appunto, “coerenti e plausibili”), che lo stesso fosse soggettivamente credibile.

3.5. Si tratta, per il resto, di un apprezzamento, del quale il tribunale ha esposto (anche a mezzo di un espresso rinvio alle valutazioni negative espresse sul punto dalla commissione territoriale) le ragioni in modo nient’affatto apparente o contraddittorio, che il ricorrente non ha specificamente impugnato con la precisa indicazione dei fatti storici, principali ovvero secondari, il cui esame, pur se dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, e della loro decisività ai fini di una diversa pronuncia a lui favorevole, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, in effetti, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione.

3.6. Ed è, peraltro, noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto il riconoscimento dello status di rifugiato di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 quanto la concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. a) e b), senza che sia a tal fine necessario procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (nella specie neppure dedotta nè accertata) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

3.7. Le conclusioni non sono diverse per ciò che riguarda la protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Premesso che, ai fini del riconoscimento di tale protezione, non vale il principio per cui, quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili, non è necessario un approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 10286 del 2020), rileva la Corte che:

– il riconoscimento di tale protezione presuppone una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la quale dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria;

– il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019);

– la sussistenza di tale presupposto dev’essere accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020);

– il giudice, però, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

3.8. La decisione impugnata, indicando le fonti in concreto utilizzata ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti (la cui utilizzabilità, pertinenza e attualità non risulta in alcun modo contestata dal ricorrente), ha ritenuto – con apprezzamento non censurato per il mancato esame di uno o più fatti decisivi specificamente dedotti in giudizio (cfr. Cass. n. 23942 del 2020, secondo cui, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c) che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito che può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5) – che nella zona di provenienza del richiedente non è interessata da una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzato.

3.9. D’altra parte, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto – di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), sempre che siano tali da far ritenere, in termini di certezza e non di mera probabilità, che, nella zona di provenienza del richiedente, per effetto di un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria senza, però, considerare la personale vulnerabilità in cui versa il richiedente, che deriva sia dalle persecuzioni subite nel suo Paese d’origine, sia dallo sforzo dallo stesso profuso per il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia, come dimostrato dalla documentazione che dimostra la sua assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato.

5.1. Il motivo è infondato. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

5.2. Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente non presenta una situazione di effettiva vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata. Nel caso di specie, però, ciò non è accaduto: il ricorrente, infatti, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, ancorchè dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nè, infine, la loro decisività ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole.

5.3. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, a sua volta, non può derivare dallo svolgimento in quest’ultimo di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020), in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con il ricorso contenente la domanda di protezione umanitaria e che, in ogni caso, il tribunale ha escluso, avendo evidenziato come il richiedente non ha nè rappresentato di aver costruito in Italia legali familiari, sociali ed amicali significativi, nè dimostrato alcuna conoscenza seppur basilare della lingua italiana.

6. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

7. Nulla per le spese di lite, in mancanza di un’effettiva attività difensiva da parte del ministero.

8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

 

 

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