Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12193 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 07/05/2021), n.12193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7453/2019 r.g. proposto da:

A.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Roberto Ricciardi, presso il cui studio in Caserta, Viale Lincoln n.

77, è elettivamente domiciliato.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari, depositata in

data 28.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/11/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 28.12.2018, ha rigettato l’appello proposto da A.M., cittadino del Pakistan richiedente asilo, avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Cagliari aveva a sua volta respinto le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dall’appellante.

La corte d’appello ha in primo luogo rilevato che A., in sede di audizione dinanzi alla C.T., aveva dichiarato di aver abitato con i propri familiari in una casa di proprietà dello zio materno, da cui erano andati via dopo che questi, nel corso di una violenta lite, degenerata in sparatoria, aveva ferito il fratello, e di essere partito nel 2012 per la Libia (Paese poi lasciato a causa dello scoppio della guerra), in cerca di lavoro, per contribuire al pagamento delle rate del mutuo della nuova casa; che, sentito dal giudice, il migrante aveva in parte modificato queste dichiarazioni, precisando che la sorella aveva sposato il cugino – figlio dello zio materno – il quale aveva manifestato l’intenzione di divorziare dopo appena quattro mesi di matrimonio, dando così luogo ai problemi per i quali la sua famiglia aveva deciso di trasferirsi in una nuova casa, accollandosi un mutuo cui il fratello, privo di risorse economiche, non poteva da solo far fronte.

Ciò premesso, la corte territoriale, dopo aver osservato che v’erano evidenti e gravi contraddizioni fra i due racconti, ha escluso che i fatti narrati integrassero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e che il Punjab, regione di provenienza del ricorrente, versasse in una situazione di conflitto armato generalizzato tale da giustificare la concessione della protezione sussidiaria ai sensi della lett. c) del medesimo articolo; ha infine respinto la domanda di protezione umanitaria, in mancanza di allegazione di profili soggettivi di vulnerabilità del ricorrente e della prova di una sua effettiva integrazione in Italia.

2. La sentenza è stata impugnata da A.M. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonchè omesso esame di circostanze decisive e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del dovere di cooperazione istruttoria, previsto dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 e dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Deduce di aver il fondato timore di far ritorno nel suo Paese sia perchè potrebbe rimanere vittima del cognato, sia perchè dovrebbe far fronte alle rate del mutuo; aggiunge che anche le minacce alle libertà individuali provenienti da soggetti privati possono integrare i presupposti per l’accoglimento delle domande di asilo o di protezione sussidiaria qualora il richiedente vi resti esposto per l’incapacità delle autorità governative del suo Paese di approntarvi tutela e imputa alla corte del merito di non aver acquisito informazioni a tale riguardo.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, che non lamenta che la corte del merito abbia travisato le sue dichiarazioni (non riportate specificamente in ricorso), dà per scontate circostanze (minacce ricevute dal cognato o da usurai) che non emergono in alcun modo dal racconto, nè specifica quali siano i fatti controversi, e decisivi ai fini dell’accoglimento delle domande, che la corte del merito avrebbe omesso di esaminare. La censura in esame, in definitiva, non investe la ratio decidendi sottostante alla statuizione di rigetto impugnata, consistente nella mancata rappresentazione, nella vicenda narrata da A., di qualsivoglia situazione integrante anche solo astrattamente “persecuzione” ai sensi e per gli effetti dell’art. 8 cit..

2. Con il secondo mezzo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nonchè della direttiva 2011/95/UE, premessa un’ampia digressione sulla nozione di diritto di asilo e richiamata l’importanza, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, dell’integrazione sociale, culturale e lavorativa raggiunta dallo straniero in Italia, lamenta che la corte del merito abbia escluso la sussistenza di suoi profili di vulnerabilità nonostante la grave situazione in cui versa il Punjab e che non abbia tenuto conto che egli ha intrapreso un corso per l’apprendimento della lingua italiana e lavora come operaio.

Anche questo motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella richiesta di una diversa valutazione, nel merito, di circostanze che la corte d’appello ha puntualmente valutato, da un lato evidenziando che la situazione generale del Punjab non è di tale gravità da impedire al richiedente, in caso di suo ritorno in patria, l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali, e dall’altro escludendo che la frequentazione da parte del ricorrente di un corso di alfabetizzazione e il rapporto lavorativo da lui instaurato nella pendenza del procedimento d’appello fossero elementi sufficienti a ritenere raggiunta la sua integrazione in Italia.

3. Inammissibile, infine, è il terzo motivo del ricorso che, pur deducendo in rubrica violazione dell’art. 2729 c.c., richiede ancora una volta a questa Corte di operare una nuova valutazione della situazione generale in cui versa il Pakistan, peraltro sulla base di considerazioni totalmente astratte, che non chiariscono quali limitazioni della propria libertà, provenienti da componenti tiranniche (etniche, religiose, linguistiche ecc.), il ricorrente potrebbe subire in caso di rientro in patria.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

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