Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6924 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 11/03/2021), n.6924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24271/2015 proposto da:

B.M., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FILOMENA D’ADDARIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 336/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 01/04/2015 R.G.N. 1198/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RITENUTO

che:

la Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 336/2015, ha rigettato l’impugnazione proposta da B.M., infermiera professionale dal 1985 al 1995, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua domanda con la quale aveva chiesto la condanna del Ministero della Salute a corrisponderle l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, in relazione all’epatite cronica che l’attrice affermava di avere contratto in occasione della propria attività;

la Corte d’appello rilevava che nella fattispecie trovava senz’altro applicazione il termine di decadenza triennale previsto alla L. n. 210 del 1992, art. 3, in esito alla modifica introdotta dalla L. n. 238 del 1997, anche per gli indennizzi spettanti a chi risultava affetto da epatite post trasfusionale, con decorrenza dall’entrata in vigore della stessa legge e nel caso di specie doveva ritenersi avverata la decadenza, posto che la domanda amministrativa era stata presentata a marzo del 2004, pur essendo la parte a conoscenza dell’eziologia della malattia, derivante da un contatto con sangue infetto, sin dal (OMISSIS), epoca in cui le fu praticato un esame istologico;

da tale esame, dunque, la B. aveva appreso della malattia e non era richiesta anche la conoscenza della causa del danno ovverosia della circostanza che l’epatite fosse stata causata dall’attività lavorativa espletata;

contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.M. con un motivo, illustrato da successiva memoria, cui ha resistito il Ministero con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, così come modificato dalla L. n. 238 del 1997, nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte ritenuto che la sola conoscenza della malattia sia sufficiente a far decorrere il termine di decadenza;

il motivo è fondato;

va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di indennizzo spettante ai soggetti danneggiati da emotrasfusioni infette, ai fini della corretta identificazione del termine di decadenza in questione, riguardante la presentazione dell’istanza in sede amministrativa, anzitutto va distinta la conoscenza della patologia dalla conoscenza del nesso di causa; dal momento che allo scopo non basta la prima, occorre la conoscenza della correlazione tra l’epatite e l’intervento terapeutico praticato, da intendersi quale elemento costitutivo del diritto al beneficio indennitario (Cass. n. 27874 del 2019; Cass. n. 25265 del 2015);

invero “il danno” alla cui conoscenza la legge ricollega il termine non è la malattia in sè e per sè; ma è l’evento indennizzato dalla legge completo quindi del fattore causale;

la predetta conoscenza deve inoltre comprendere la natura irreversibile del danno. Ne consegue che la cronicizzazione della epatopatia post-trasfusionale non configura e costituisce di per sè il requisito esclusivo per accedere ai benefici della legge di sostegno, ma con la malattia post-trasfusionale deve coesistere la documentata consapevolezza, per l’assistito, dell’esistenza di un danno irreversibile (sentenza n. 837 del 18/01/2006);

ancora, ai fini della decorrenza del termine, è decisiva la conoscenza che lo stesso danno irreversibile possa essere inquadrato – pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare – in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella 11 allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834 (cfr. Cass. s.u. 8064 e 8065 del 2010, ord. sez. VI lav. n. 22706 del 2010 e n. 19811 del 2013; Cass. 3693 del 2016);

alla conoscenza effettiva è però parificata la ragionevole conoscibilità del danno. La conoscenza si realizza infatti quando il soggetto è in grado, secondo un parametro di ordinaria diligenza, di individuare la causa della patologia cui è affetto e rapportare quindi la propria malattia ad uno degli eventi dannosi previsti dalla L. n. 210 (cfr. Cass. 17.1.2005 n. 753);

inoltre, la L. 25 febbraio 1992, n. 210, distingue nettamente, ai fini della tutela indennitaria, la malattia epatica dalla evidenza del danno conseguente, posto che i termini della domanda per l’indennizzo decorrono, alla stregua dell’art. 1, comma 1, “dal momento in cui, sulla base della documentazione di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno”;

secondo quanto pure affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 837 del 18/01/2006; 19702/2018; 3693/2016; 27874/2019), la legge individua quindi come fonte della conoscenza il supporto documentale specificandone la tipologia. Deve trattarsi di documentazione clinica che comprovi la data della trasfusione, le manifestazioni cliniche, l’entità delle lesioni o dell’infermità da cui è derivata la menomazione permanente del soggetto. La conoscenza di cui si discute deve quindi avere base documentale;

la Corte d’appello avrebbe dovuto quindi accertare la consapevolezza del danno come specificato in precedenza e della riconducibilità della malattia alle emotrasfusioni in base alla fonte documentale esistente;

per le considerazioni esposte il ricorso va quindi accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo il quale nella decisione della causa si atterrà ai principi sopra indicati e provvederà sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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