Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5909 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 04/03/2021), n.5909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10576-2020 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dagli avvocati EVA VIGATO e MARCO RAVAZZOLO, con procura speciale in

atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, in via dei PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3967/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.S., cittadino del Gambia, propose appello avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Venezia il 5.6.18, di rigetto della domanda di protezione internazionale e umanitaria.

Con sentenza emessa il 30.9.19, la Corte d’appello ha rigettato il gravame, osservando che: la vicenda narrata dal ricorrente e le ragioni del suo allontanamento dal Gambia non erano inquadrabili nelle fattispecie di protezione internazionale; al riguardo, l’istante aveva raccontato di essersi opposto all’ingresso nella sua abitazione di persone estranee che intendevano sottoporre la figlia all’infibulazione, e di essere stato perciò arrestato, picchiato in carcere, e poi sottoposto ad un regime di limitazione della libertà personale, con obbligo di firma ogni tre giorni (subendo percosse ogni volta che si recava a firmare); temendo per la sua vita era fuggito in Libia, ove aveva saputo che la madre e lo zio erano stati arrestati (la madre poi liberata); il ricorrente aveva innanzi al Tribunale riferito dati parzialmente diversi sulla vicenda suddetta (la data della partenza dal Gambia nel 2015), dichiarando che erano state le matrigne a chiamare la polizia al suo rifiuto di sottoporre la figlia all’infibulazione, accusandolo di voler uccidere uno della famiglia; tale racconto era inattendibile perchè lacunoso e contraddittorio in ordine alla ricostruzione dei fatti, senza alcuna documentazione relativa al procedimento penale, avendo il ricorrente prodotto documenti inattendibili in quanto privi di timbratura e di traduzione asseverata; non era comunque ravvisabile alcun pericolo concreto per il ricorrente il quale avrebbe potuto difendersi nel procedimento, anche con i testimoni indicati (lo zio e la madre): il ricorrente aveva solo genericamente contestato la valutazione di non credibilità espressa dal Tribunale, lamentando la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi; la rilevata inattendibilità del racconto precludeva ogni accertamento ufficioso da parte del giudice, considerando anche che il ricorrente non aveva indicato i motivi del timore di esporsi a pericoli in caso di rientro (rilevanti anche in ordine alle fattispecie di protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. a) e b)) e non si era avvalso della facoltà di nominare un difensore, nè aveva presentato denuncia per le violenze che avrebbe subito; era da escludere anche la protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251, art. 14, sub lett. c), sulla base delle varie COI aggiornate esaminate; non era riconoscibile la protezione umanitaria sia per la non credibilità del ricorrente, sia per non aver quest’ultimo dimostrata la compromissione del nucleo fondamentale di diritti umani, non essendo sufficiente, al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, la mera allegazione di aver raggiunto un certo grado d’integrazione sociale nel territorio italiano, che non era desumibile dallo svolgimento di attività lavorativa regolarmente retribuita.

D.S. ricorre in cassazione con tre motivi.

Il Ministero si costituisce al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

che:

Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, avendo la Corte territoriale ritenuto non credibile il ricorrente senza applicare gli indici legali di affidabilità, considerato che il racconto del D. era stato chiaro e non contraddittorio, corredato da documenti che, pur non timbrati, avrebbero dovuto essere comunque esaminati. Inoltre, il ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito abbia utilizzato, per valutare la credibilità estrinseca, solo alcuni degli elementi risultanti dalle COI, trascurando completamente sia il contenuto del ricorso, sia altri rapporti COI in esso citati.

Il secondo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, e art. 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in quanto la Corte d’appello ha escluso la protezione sussidiaria esaminando solo alcuni report e non altri più aggiornati ed autorevoli (i report UNHCR), in ordine alla situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato in Gambia.

Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, avendo la Corte territoriale omesso l’esame del merito della domanda di protezione umanitaria e delle relative allegazioni del ricorrente, con particolare riferimento al percorso lavorativo e d’integrazione sociale compiuto, senza procedere agli accertamenti istruttori officiosi.

Il primo motivo è inammissibile in quanto tendente al riesame dei fatti relativi al riconoscimento dello status di rifugiato, avendo la Corte territoriale ritenuto il ricorrente inattendibile e contraddittorio, con motivazione esauriente (che ha rimarcato anche la genericità dell’appello sul punto e la mancata presentazione di denuncia penale), non censurabile in questa sede. Peraltro, la ritenuta inattendibilità del ricorrente, attraverso un approfondito esame dei fatti esaminati, esclude la necessità di far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi. (Cass., n. 33096/18).

Il secondo motivo è parimenti inammissibile, avendo la Corte territoriale ritenuto insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. c), acquisendo informazioni aggiornate sul paese di provenienza del ricorrente da plurime fonti. Invero, il motivo afferisce al merito dei fatti – dei quali s’invoca un inammissibile riesame – in quanto il ricorrente non censura specificamente il contenuto dei report utilizzati dal giudice di secondo grado, ma lamenta il mancato esame di altri report che avrebbe citato nel ricorso introduttivo del procedimento, difettando dunque anche la decisività della critica.

Il terzo motivo è del pari inammissibile, perchè diretto al riesame dei fatti. Al riguardo, la Corte d’appello ha escluso la protezione umanitaria con motivazione chiara ed esaustiva, evidenziando sia l’insussistenza di una condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, sia la mancata prova di un percorso d’integrazione sociale e di vicende relative alla lesione dei diritti fondamentali, evidenziando anche il giudizio di inattendibilità del ricorrente in ordine alle lamentate percosse e violenze subite in carcere e presso la polizia, nonchè la mancata denuncia alle autorità del paese di provenienza.

Nulla per le spese, considerando che l’atto a mezzo del quale l’intimato Ministero ha inteso costituirsi nel presente giudizio si concreta in una mera dichiarazione e non soddisfa perciò le finalità proprie del controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

 

 

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