Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4803 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2021, (ud. 03/02/2021, dep. 23/02/2021), n.4803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27965-2019 proposto da:

A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE GREGORIO

VII N. 16, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MARCHESE, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo studio

dell’avvocato FABIO ALBERICI, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIA ANTONIETTA MARINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6063/2019 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 21/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2016, A.P. convenne in giudizio il Comune di Milano per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti a una caduta avvenuta presso una strada comunale a causa di una catena metallica non segnalata nei pressi del manto stradale.

Il Comune di Milano si costituì in giudizio lamentando la mancanza del nesso causale tra la catena installata quale dissuasore di parcheggio e l’evento lesivo, nonchè la mancanza di intrinseca pericolosità dell’oggetto in questione.

Il Giudice di Pace di Milano, con sentenza n. 3185/2017, rigettò la domanda attorea assumendo che l’oggetto in questione fosse ben visibile e non costituisse fonte di imprevedibile pericolosità.

2. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 6063 del 21 giugno 2019, ha rigettato l’appello proposto dall’ A. avverso la pronuncia di primo grado, con il quale chiedeva l’accertamento della responsabilità del Comune di Milano ex art. 2051 con conseguente risarcimento del danno.

Secondo il giudice, gravava sull’attrice dimostrare la responsabilità dell’Ente mentre alla stregua delle risultanze processuali appariva assente qualsiasi anomalia dell’oggetto in questione, ben visibile. Per tali ragioni l’infortunio era riconducibile a una disattenzione dell’ A. più che a un pericolo occulto imprevedibile e inevitabile.

3. Avverso la suddetta pronuncia A.P. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria.

3.1. Il Comune di Milano resiste con controricorso. Considerato che:

4. Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5 in quanto il Tribunale, nell’esaminare la documentazione fotografica prodotta a testimonianza dello stato dei luoghi avrebbe omesso di prendere in considerazione l’effetto di schiacciamento prospettico, in merito all’altezza della catena del suolo, il cattivo stato di conservazione della stessa, nonchè la condotta riparatoria posta in essere dal Comune.

4.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il Tribunale avrebbe erroneamente escluso che il pericolo potesse essere previsto dall’infortunata, stante le pessime condizioni di conservazione della catena e, in ogni caso, sarebbe stato possibile ravvisare un concorso di colpa ex art. 1227 c.c..

I motivi, congiuntamente esaminati per la loro intrinseca connessione, sono inammissibili.

Si richiede infatti una rivalutazione dei dati fattuali e in particolare probatori, il cui giudizio rimane nella piena discrezionalità del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.

Come costantemente affermato da questa Corte, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr., tra le più recenti, Cass. civ. Sez. I, 19/06/2019, n. 16497).

Ciò che rileva in questa sede è che la motivazione non sia viziata da un punto di vista logico e giuridico. Invero, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, la responsabilità ex art. 2051 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa. Detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (ex multis Cass. 29/07/2016, n. 15761). Alla luce di quanto esposto, il Tribunale di Milano ha adeguatamente motivato la propria decisione, adottata sulla base di adeguata istruttoria dalla quale ha ritenuto non dimostrato da parte dell’attrice il nesso causale tra l’evento e il bene oggetto della custodia del Comune di Milano, non essendo provata la condizione particolarmente pericolosa e lesiva della catena, che invece appare secondo il Tribunale “visibile e non fonte di pericolo per chi presta la minima attenzione richiesta nel camminare”.

5. Le spese seguono la soccombenza.

6. Infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.100 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 3 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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