Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4509 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. II, 19/02/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 19/02/2021), n.4509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19357/2019 proposto da:

J.M., rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA PETRACCI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3101/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 27/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. J.M., cittadino del (OMISSIS) chiese alla Commissione Territoriale di Roma, Sezione di Ancona, la protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.2. Innanzi alla Commissione Territoriale dichiarò di essere fuggito dal proprio paese in quanto, a seguito di un incidente sportivo, per sua colpa perdeva la vita un ragazzo e subiva minacce da parte dei genitori dell’ucciso.

1.2. 1.1. La domanda venne rigettata in sede amministrativa; l’opposizione fu respinta dal Tribunale ed il provvedimento di diniego venne confermato dalla Corte d’Appello di Ancona.

1.2. La corte di merito ritenne che il racconto non fosse credibile e si trattasse di vicenda privata non legittimante i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); accertò che in Gambia non sussisteva una situazione di violenza generalizzata, sulla base del rapporto di Amnesty International e delle informazioni tratte dal sito del Ministero degli Esteri; rigettò la richiesta di permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie in quanto il ricorrente non versava in condizioni di vulnerabilità, attinente a motivi di salute, nè aveva svolto un percorso di integrazione nel paese ospitante.

2. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso J.M.L. sulla base di tre motivi.

2.1. Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione” non notificato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la nullità della sentenza per omessa e errata motivazione, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in quanto la corte di merito sarebbe pervenuta ad un giudizio di credibilità del richiedente senza svolgere alcuna attività di cooperazione istruttoria nell’accertamento dei fatti.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. La motivazione della corte di merito è basata su due rationes decidendi idonee a sorreggere la decisione: la carenza di credibilità e l’assenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in quanto la vicenda era inerente a fatti privati. Sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sè solo, idoneo a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato (Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009; Cass. 3633. del 2017). Infatti, se l’indicata seconda ragione della decisione “resiste” all’impugnazione proposta dalla ricorrente è del tutto ultronea la verifica di ogni ulteriore censura, perchè l’eventuale accoglimento di tutte o di una di esse non condurrebbe mai alla cassazione della sentenza gravata.

1.3. Nel caso di specie, la censura attiene unicamente alla valutazione della credibilità e non anche al profilo relativo all’estraneità del fatto privato dal perimetro della protezione internazionale.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6 e art. 14, lett. b), in quanto la corte d’appello non avrebbe considerato che le aggressioni e le minacce subite dal ricorrente integravano una grave violazione dei diritti umani.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2.Quanto alle ipotesi di protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e b), il ricorrente lamenta una generica violazione dei diritti umani e la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, senza alcun riferimento al caso concreto da cui possa evincersi la violazione delle norme regolatrici. In particolare, trattandosi di fatto privato, il ricorrente non ha dedotto di aver presentato denuncia nei confronti dei familiari della vittima e di non aver ricevuto dallo Stato adeguata protezione (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26823).

2.3. Quanto alla protezione sussidiaria per l’esistenza di una situazione di violenza generalizzata, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c), il Tribunale ha accertato che in Gambia non sussisteva una situazione di violenza generalizzata, sulla base del rapporto di Amnesty International e dalle informazioni tratte dal sito del Ministero degli Esteri, in tal modo adempiendo al dovere officioso di accertamento delle condizioni del paese di origine.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa motivazione in ordine al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la violazione dell’art. 111 Cost. e la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto la corte d’appello non avrebbe considerato il periodo di permanenza in Libia, lo stato di vulnerabilità ed il processo di integrazione. A tal fine allega che dopo la decisione di secondo grado, sarebbe stato assunto a tempo determinato per la durata di cinque anni e, successivamente a tempo pieno, in tal modo completando il percorso di integrazione nel paese ospitante.

3.1. In primo luogo è inammissibile la nuova produzione documentale allegata al ricorso in quanto si tratta di documenti che non erano stati prodotti nel giudizio di merito, non attinenti alla nullità della sentenza. La produzione di nuovi documenti implica, infatti, accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità. In materia di protezione internazionale, qualora sopravvengano ulteriori fatti, è ammessa la reiterazione della domanda, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, i cui presupposti sono infatti costituiti dalla presenza di “nuovi elementi in merito alle condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine”.

3.2. Anche tale motivo è inammissibile perchè, lungi dal dedurre profili di violazione di legge, si limita all’enunciazione di massime giurisprudenziali avulse dal caso concreto.

3.3. Il Tribunale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte, non ritenendo che il ricorrente avesse allegato la sua condizione di vulnerabilità, attinente a motivi di salute, nè aveva svolto un percorso di integrazione nel paese ospitante, nè ha ritenuto sussistente una situazione di vulnerabilità, intesa quale compromissione dei diritti umani fondamentali (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/01/2020, n. 625; Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017).

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

4.1. Non deve provvedersi sulle spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

4.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

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