Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2754 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. I, 05/02/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 05/02/2021), n.2754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1393/2019 proposto da:

G.A.;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS), Procura Generale Repubblica Corte

Suprema Cassazione;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 20/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2020 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Tribunale di Torino,con decreto emesso in data 5943/2018 ha rigettato la domanda proposta da G.A., cittadino (OMISSIS), volta ad ottenere in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

Il primo giudice,condividendo le osservazioni avanzate dalla Commissione Territoriale, ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente – che aveva riferito di provenire dalla regione Fata – e non coerente intrinsecamente il denunciato comportamento dei terroristi.

Negava quindi il riconoscimento dello status di rifugiato nonchè la protezione sussidiaria; ritenendo che nello stato del Punjab, area di provenienza del richiedente,situata ad est del Paese non vi fosse alla luce dei Report consultati, alcuna violenza indiscriminata.

Neppure ricorrevano i presupposti per la protezione umanitaria, in difetto di situazioni di personale vulnerabilità e di un percorso di integrazione non essendo sufficiente a tal fine un mero tirocinio retribuito per di più a scadenza gennaio 2019.

Per la cassazione della sentenza G.A. ha proposto ricorso, affidato a 3 motivi;

il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.

Con il primo motivo si solleva la questione di legittimità costituzionale relativa al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5, art. 117 Cost., per quanto riguarda la previsione dell’art. 737 c.p.c. e le relative deroghe espresse dal legislatore nelle controversie in materia di protezione internazionale.

Si ritiene che nei procedimenti camerati vi sarebbe una grave violazione del principio del contraddittorio e della parità processuale delle parti ed in particolare il diritto a presenziare all’udienza camerale.

A ciò doveva aggiungersi l’ulteriore limitazione derivante dalla eliminazione del grado d’appello che, associata al rito prescelto, rappresentava una irrazionale riduzione delle tutele che dovevano essere garantite, tale da far emergere, in relazione ad entrambi i profili critici, i presupposti della non manifesta infondatezza della questione di legittimità Costituzionale che viene sollevata. Con un secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b e c), in combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, anche in ordine alla mancata audizione del richiedente in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3.

Si duole in particolare del contraddittorio iter motivazionale seguito dal Tribunale che, da un lato reputa non credibile per pretese incongruenze il racconto fornito dal richiedente e dall’altro nega l’audizione ritenendola superflua.

Si censura la valutazione operata dal primo Giudice in merito al verbale della Commissione valutato come se fosse una vera e propria testimonianza resa in un aula del Tribunale in pieno contraddittorio.

Da ultimo con il III motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e in relazione all’art. 10 Cost., comma 3.

Si critica la motivazione data dal Tribunale laddove avrebbe negato la protezione riducendola ad una ipotesi eccezionale in violazione dell’art. 5, comma 6, del richiamato decreto che la riconosce in tutti i casi di seri e gravi motivi che impediscono il rimpatrio.

Il primo motivo – con il quale si prospetta

la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 6, comma 13, conv. nella L. n. 46 del 2017, in relazione alla duplice questione concernente l’introduzione del rito camerale e l’abolizione del grado d’appello – è infondato.

Entrambi i profili critici, infatti, sono già stati scrutinati e ritenuti manifestamente infondati da questa Corte (cfr. Cass. 17717/2018; Cass. 27700/2018; Cass. 28119/2019) con argomentazioni che il Collegio condivide e che sono trasponibili al caso in esame: non essendo rilevabili ragioni ulteriori e diverse da quelle già esaminate nelle pronunce sopra riportate, anche in questa sede le questioni devono ritenersi prive di manifesta fondatezza e quindi devono essere rigettate. Va comunque considerato che la natura camerale e cartolare che connota il giudizio sulla protezione internazionale non è lesiva del principio del giusto processo ex art. 6 CEDU nella compatibilità del rito camerale con la cognizione dei diritti e degli status e nella tutela del diritto di difesa anche in ipotesi di trattazione scritta del giudizio come da questa Corte di cassazione già rilevato (vd., Cass. 05/07/2018 n. 17717).

Nè consente di pervenire a differenti conclusioni l’ulteriore censura al giudizio di legittimità.

Come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (Cass. 02/03/2017 n. 5371), restando poi il diritto di difesa assicurato dalla trattazione scritta della causa nella facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare le rispettive ulteriori ragioni (Cass. n. 5371 cit.; Cass. 10/01/2017 n. 395).

Con riferimento al secondo profilo di censura il ricorrente sotto schermo della violazione di legge si duole invero di una insufficiente motivazione circa le ragioni che hanno indotto il Tribunale a respingere la richiesta di protezione sussidiaria sindacabile solo nel caso di violazione del minimo costituzionale.

Il primo giudice ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto non necessaria l’audizione dell’interessato alla luce degli elementi acquisiti in causa e chiarito i motivi per i quali non ha ritenuto credibile la versione dei fatti dallo stesso narrati avanti alla Commissione territoriale a causa della genericità dei datti offerti e dell’incoerenze del suo racconto anche con riferimento al preteso comportamento tenuto dai Talebani (i quali anzicchè vendicarsi direttamente si sarebbero limitati ad inviare lettere di minacce mandando uomini in officina e torturando un operaio per conoscere il luogo di residenza del richiedente che avrebbero potuto conoscere con mezzi più sicuri).

Tale apprezzamento, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, per omesso esame di un fatto decisivo che abbia costituito oggetto del dibattito processuale, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, per difetto assoluto, mera apparenza, perplessità o incomprensibilità della motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21142; 5/02/ 2019, n. 3340), non risulta validamente censurato, essendosi il ricorrente limitato a lamentare l’inosservanza del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, senza neppure precisare il modo in cui il Tribunale se ne sarebbe discostato.

Con riguardo all’ultimo profilo di critica il motivo di ricorso non si confronta sull’affermazione fondante il rigetto della domanda di protezione umanitaria, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale non sarebbero state neppure allegate alcun motivo umanitario che possa giustificare la richiesta rilevando l’assenza di legami affettivi e di una integrazione socio lavorativa del richiedente.

La censura è pertanto inammissibile in quanto generica, non rapportata nè con il contenuto della pronuncia, che non è mai richiamato, per sottoporlo a revisione critica, neanche per sommi capi, nè tanto meno con la situazione personale del ricorrente.

Il Tribunale ha spiegato che i motivi sui quali si è fondata la richiesta di protezione pretesa instabilità politica del paese d’origine e la condizioni personale del richiedente si dovevano escludere sotto il primo profilo per la non credibilità del ricorrente e comunque per la mancanza di una situazione socio politica non così grave da esporre la totalità dei cittadini in condizioni di vulnerabilità.

Ha poi evidenziato la mancanza di integrazione peraltro ritenuta insufficienti ai fini in esame.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

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