Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1990 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12539-2019 proposto da:

A.O., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato

ANTONIO TESTA, giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI TORINO n. 505/2019,

depositata in data 19.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18.11.2020 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.O. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Torino aveva respinto l’appello proposto avverso l’ordinanza emessa in data 1.2.2018 dal Tribunale di Torino in rigetto del ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale;

il Ministero dell’Interno si è costituito al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo è denunciata insufficiente motivazione per avere la Corte di merito denegato il riconoscimento della protezione sussidiaria quantunque gli elementi istruttori sottoposti al suo esame, ove legittimamente apprezzati, avrebbero potuto condurre all’accoglimento del ricorso;

1.2. con il secondo motivo è denunciata violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 avendo i Giudici di merito escluso comunque la sussistenza delle condizioni legittimanti l’accesso alla protezione umanitaria senza apprezzare positivamente, in rapporto alla situazione di vulnerabilità evincibile con riguardo al paese di origine ((OMISSIS)), la condizione di integrazione sociale raggiunta dal ricorrente in Italia;

1.3. le censure vanno disattese;

1.4. quanto al primo motivo questa Corte ha chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), al che consegue che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. nn. 27415/2018, SU n. 8053/2014);

1.4. il secondo motivo, prospettato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per dedurre violazione di legge, in realtà si risolve in una mera manifestazione di dissenso del ricorrente rispetto alla valutazione espressa dal Giudice di merito in ordine ai fatti acquisiti rilevanti ai fini della concessione della protezione umanitaria;

1.5. la Corte territoriale ha dapprima riassunto la disciplina della protezione umanitaria, quale misura di tutela integrativa e residuale di diritto interno, riconducibile alla previsione di cui all’art. 6, comma 4 Direttiva 2008/115/CE, svincolata dalle misure di protezione maggiori, status di rifugiato e protezione sussidiaria, e volta a tutelare situazioni di vulnerabilità non tipizzate alla luce degli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano e si è richiamata poi ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità;

1.6. al proposito questa Corte (cfr. Cass. n. 4455/2018) ha chiarito che i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili;

1.7. la condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa;

1.8. al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio;

1.9. il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

1.10. il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

1.11. il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, e infatti tale riconoscimento deve essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455);

1.12. nella fattispecie, a pag. 10 della sentenza impugnata, la Corte di merito ha escluso la sussistenza di problematiche soggettive implicanti una particolare vulnerabilità del ricorrente e comunque un livello significativo di compromissione dei diritti umani fondamentali nel Paese di provenienza (la (OMISSIS)) la cui situazione generale aveva in precedenza analizzato alla luce di varie fonti internazionali, debitamente riassunte e citate;

1.13. ha inoltre valutato le condizioni socio-economiche del richiedente nel nostro paese, esprimendo al proposito un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità;

1.14. le osservazioni, comunque ampiamente articolate e motivate, della Corte di merito circa l’insufficienza, peraltro, ai fini della dimostrazione di un apprezzabile grado di integrazione sociale in Italia, dell’esistenza di un rapporto di lavoro (a tempo determinato della durata di quattro giorni) non sono, dunque in contrasto con la legge e la giurisprudenza di legittimità che, come sopra ricordato, non ritiene neppure sufficiente di per sè nè l’integrazione sociale, nè tantomeno la sola esistenza di un rapporto di lavoro a giustificare la concessione della protezione umanitaria;

2. il ricorso deve quindi rigettato;

3. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva del Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto. per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Prima Civile, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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