Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29708 del 29/12/2020

Cassazione civile sez. II, 29/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 29/12/2020), n.29708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3938/2019 proposto da:

S.M., ST.MI., rappresentati e difesi

dall’avv.to MASSIMO SCANTAMBURLO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il

04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia St.Mi. e S.M. proponevano opposizione avverso il decreto emesso dalla medesima Corte d’Appello, in composizione monocratica, che aveva rigettato la richiesta di condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole durata di un procedimento penale per il reato di cui all’art. 589 c.p., commi 1 e 2, nel quale si erano costituiti parte civile all’udienza preliminare del 25 maggio 2005.

La Corte d’Appello con Decreto 4 ottobre 2018, accoglieva parzialmente l’opposizione. Per quel che ancora rileva, la Corte d’Appello riteneva che il periodo intercorrente tra il deposito della sentenza della Corte d’Appello di Venezia e la prima udienza del secondo giudizio davanti il Tribunale di Padova non potesse essere conteggiato in quanto il combinato disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 bis e 2 quater, escludeva espressamente il computo del tempo intercorrente tra la comunicazione del provvedimento di conclusione di un segmento processuale e la notifica del primo atto della fase successiva.

La Corte affermava che, in mancanza di altre specificazioni, il saggio degli interessi legali non poteva che essere quello stabilito dall’art. 1284 c.c., comma 1, riferito alle obbligazioni in generale, mentre quanto alle spese di lite rigettava la censura relativa alla violazione dei parametri legislative regolamentari stabiliti nella liquidazione dei compensi della professione forense perchè queste andavano liquidate secondo una valutazione unitaria e commisurate ai parametri minimi previsti dal D.M. n. 55 del 2014, in considerazione della non complessità della causa, e invece accoglieva quello relativo all’omessa distrazione delle spese nonostante apposita domanda in capo al procuratore dichiarato antistatario.

3. St.Mi. e S.M. hanno proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di nove motivi di ricorso.

4. Il Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso.

5. I ricorrenti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 bis e art. 2 bis.

La censura ha ad oggetto il calcolo effettuato dalla Corte d’Appello che dopo aver quantificato la durata del processo in 10 anni, 11 mesi e 16 giorni ha escluso dal computo di ragionevole durata indennizzabile il periodo di 11 mesi che invece andava calcolato essendo una frazione superiore a sei mesi e quindi autonoma e rilevante, ai sensi della L. n. 89 del 2001, citato art. 2 bis comma 1,.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 bis e 2 quater.

La censura attiene alla parte della decisione con la quale si è escluso dal computo del periodo indennizzabile quello intercorso tra la pronuncia della Corte d’Appello e la prima udienza del giudizio di rinvio.

A parere del ricorrente l’interpretazione dell’art. 2, comma 2 quater, indica che il tempo da escludere dal conteggio è solo quello durante il quale il processo è sospeso o quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione la proposizione della stessa. La natura penale del processo presupposto peraltro renderebbe imputabile solo agli uffici giudiziari e non certo alle parti private il periodo di 11 mesi e 23 giorni intercorso tra i due segmenti processuali e, dunque, rilevante ai fini della determinazione della ragionevole durata.

2.1 I primi due motivi di ricorso sono fondati.

La data di inizio del processo presupposto ai fini della domanda di equa riparazione dei ricorrenti deve intendersi quella del 25 maggio 2005, quando gli stessi si sono costituiti parte civile per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla morte del padre. Il processo si è concluso il 22 settembre 2017 con la declaratoria di prescrizione del reato a carico dell’imputato, divenuta definitiva in data 6 dicembre 2017.

La L. n. 89 del 2001, art. 2 quater, secondo cui: “Ai fini del computo (di durata irragionevole) non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa” deve interpretarsi – anche in ossequio al canone che impone di attribuire alla legge, nei limiti in cui ciò sia permesso dal suo testo, un significato conforme alla CEDU – nel senso che non si tiene conto del periodo di decorrenza del termine per proporre impugnazione solo nei confronti della parte che ha il potere di impugnazione, così come non rientra nel perimetro della norma suddetta il periodo intercorso dalla sentenza penale di appello che dispone il rinvio al primo grado per nullità della sentenza e quello necessario per la rinnovazione del giudizio. La suddetta interpretazione risponde alle finalità della disciplina del diritto all’equa riparazione che si sostanzia nel ristoro del patimento subito a causa della pendenza del processo, attribuibile a disfunzioni dell’apparato statuale.

La causa di stasi processuale, infatti, per poter essere esclusa dal computo della durata deve essere imputabile alla parte, in ragione di una condotta ostruzionistica che osta al ristoro del danno (Corte EDU, Grande Camera, sentenza 29 maggio 1986, Deumeland c. Germania), ovvero ad un fatto obiettivo, non imputabile allo Stato, e idoneo ad incidere sul diritto all’equa riparazione (Corte EDU, sentenza 12 maggio 1999, Saccomanno c. Italia), ovvero ancora ad un interesse, o anche ad un’esigenza processuale, propria delle sole parti.

L’eterogeneità delle ipotesi previste dai diversi settori processuali dell’ordinamento non è, in altri termini, ricondotta a unità dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 quater e deve necessariamente interpretarsi alla stregua dalle linee direttrici promananti dalla giurisprudenza Europea. In tal senso, deve richiamarsi l’orientamento della Corte di Strasburgo che, in modo costante, include nel periodo rilevante ai fini della ragionevole durata del processo il periodo di sospensione conseguente alla proposizione di un incidente di legittimità costituzionale (Grande Camera, sentenza 29 maggio 1986, Deumeland c. Germania; inoltre, a sezioni semplici, sentenza 4 dicembre 1995, Terranova c. Italia; sentenza 25 febbraio 2000, Gast e Popp c. Germania; sentenza 31 maggio 2001, Metzger c. Germania).

La Corte d’Appello di Venezia, dunque, dovrà ricalcolare la durata irragionevole del processo presupposto sulla base dei criteri sopra indicati.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1.

La censura attiene alla mancata applicazione della maggiorazione del 20% sulla somma liquidata per mancanza di riscontro probatorio. A parere dei ricorrenti l’art. 2 bis, che prevede il suddetto aumento fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo, non subordina l’esercizio del potere di incrementare l’indennizzo alla prova di fatti ulteriore diversi dal ritardo. La necessità dell’aumento discenderebbe dalla circostanza che, nel caso di specie, proprio la durata del ritardo ha determinato la prescrizione del reato di omicidio colposo, con ribaltamento della sentenza da condanna a proscioglimento.

3.1 Il terzo motivo è fondato.

La Corte d’Appello ha negato l’aumento del 20% della misura dell’equo indennizzo sulla base della seguente motivazione: “non vi è riscontro probatorio per l’applicazione della maggiorazione del 20%”. La suddetta motivazione è apparente in quanto non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed è anche del tutto contraddittoria con quanto affermato nella parte precedente della sentenza allorchè la medesima Corte d’Appello ha ritenuto di determinare nella misura prossima al massimo l’indennizzo tenuto conto della natura personale degli interessi coinvolti nel processo penale e delle condizioni personali dei ricorrenti figli della vittima del reato, nonchè dell’esito del giudizio che, a causa della sua eccessiva durata, si era concluso con la declaratoria di prescrizione del reato.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c., comma 4.

I ricorrenti avevano chiesto tempestivamente e ritualmente la liquidazione degli interessi ex art. 1284 c.c., comma 4, a fronte della liquidazione in decreto degli interessi al saggio legale pro tempore vigente dalla data del deposito del ricorso al saldo. La Corte d’Appello sarebbe incorsa in violazione di legge non avendo applicato il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ex art. 1284, comma 4, sopra citato.

4.1 Il quarto motivo è infondato.

In proposito è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: “Il saggio d’interesse previsto dall’art. 1284 c.c., comma 4, si applica esclusivamente in caso di inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale, dal momento che, qualora tali obbligazioni derivino, invece, da fatto illecito o dalla legge, non è ipotizzabile nemmeno in astratto un accordo delle parti nella determinazione del saggio, accordo la cui mancanza costituisce presupposto indefettibile di operatività della disposizione. (Nella specie, la S.C. ha cassato, decidendo nel merito, il decreto con cui la corte d’appello, nel liquidare l’indennizzo a titolo di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, aveva applicato il saggio degli interessi in misura pari a quello previsto in tema di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali)”. Sez. 2, Sent. n. 28409 del 2018

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per valutazione unitaria ed inferiore ai minimi del compenso;

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: omesso pronuncia ex art. 112 c.p.c., sul quarto motivo di opposizione che riguardava l’aumento D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4, comma 2, per la difesa di più parti e dell’aumento per l’utilizzo di tecniche informatiche D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4, comma 1 bis.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Omessa pronuncia sulla domanda di applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, relativo all’aumento nel caso di più soggetti assistiti avente la stessa posizione processuale.

La Corte d’Appello avendo liquidato unitariamente il compenso per due distinte fasi di giudizio e in misura inferiore ai minimi sarebbe incorsa in plurime violazioni di legge. In più occasioni il giudice di legittimità ha avuto modo di precisare che la liquidazione delle spese processuali non può essere compiuta in modo globale, dovendo invece essere eseguita in modo tale da mettere la parte interessata in grado di controllare la liquidazione in relazione alle diverse fasi del giudizio e se il giudice ha rispettato i limiti delle relative tabelle in modo da consentire di denunciare le specifiche violazioni della legge o delle tariffe.

La liquidazione separata avrebbe reso ancora più evidente che erano stati liquidati compensi in misura ben inferiore ai minimi previsti dal D.M. n. 55 del 2014 e che non erano stati applicati doverosi aumenti previsti dell’art. 4, commi 1 bis e 2, del suddetto decreto.

8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: omessa pronuncia sulla domanda di applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1 bis.

La censura attiene all’aumento del 30% per aver adottato tecniche informatiche idonea ad agevolare la consultazione alla fruizione dell’atto ritualmente chiesto nella nota spese.

9. Il nono motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, commi 1 bis e 2.

La censura è ripetitiva di quelle precedenti con riferimento al vizio di violazione di legge rispetto oltre a quello di omessa pronuncia.

10. I motivi dal quinto al nono sono assorbiti dall’accoglimento dei primi tre che comportano la cassazione della sentenza impugnata con necessità di una nuova pronuncia sulle spese.

11. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, rigetta il quarto, dichiara assorbiti i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, rigetta il quarto, dichiara assorbiti i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2020

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