Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29415 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 12/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13250/2016 proposto da:

Finim S.r.l. in Liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio

Emanuele II n. 269, presso lo studio dell’avvocato Romano

Vaccarella, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Angelo Scala, giusta procura in calce al ricorso e procura speciale

per Notaio Dott. avv. C.M. di Airola – Rep. n. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., mandante di Business Partner

Italia Società Consortile per Azione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Marcantonio Colonna n. 54, presso lo studio dell’avvocato Federico

Garritano, rappresentata e difesa dall’avvocato Aldo Corvino, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 183/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

pubblicata il 19/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/10/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel giudizio introdotto nei confronti della BNL, la FINIM Srl chiedeva di accertare il rapporto di dare-avere, e determinare il proprio credito, in relazione al rapporto di conto corrente n. (OMISSIS) intercorso tra le parti e di condannare la convenuta alla restituzione degli importi dovuti. La società esponeva che il suddetto conto presentava un saldo negativo, di cui la Banca chiedeva la copertura, che era frutto di una serie di addebiti relativi ad operazioni in titoli e prelevamenti mai autorizzati, anche in relazione ad un mutuo mai chiesto nè erogato. La BNL chiedeva il rigetto della domanda e proponeva domanda riconvenzionale per l’importo di Euro 562735,96 oltre interessi, di cui Euro 162735,96 per saldo debitore del suddetto conto e Euro 400000,00 per saldo debitore del conto mutuo (n. (OMISSIS)).

Il Tribunale di Benevento, con sentenza del 21 agosto 2008, rigettava la domanda della FINIM e, in accoglimento della riconvenzionale, la condannava a corrispondere Euro 556679,67 per entrambi i titoli.

La FINIM proponeva appello e, per quanto ancora interessa, criticava la sentenza impugnata per avere ritenuto utilizzabile ai fini decisori la procura rilasciata dalla signora L.B., all’epoca amministratrice della società, al signor D.F. (già socio e coniuge della L.), tardivamente prodotta in giudizio dalla Banca e, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, inidonea a dimostrare la riferibilità alla società delle operazioni compiute dal D. che erano all’origine dell’indebitamento, e per avere ritenuto legittimi una serie di addebiti per pagamenti a terzi risultanti dal conto in questione che sarebbero privi di riscontri nelle scritture contabili.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 19 gennaio 2016, accoglieva il gravame della FINIM limitatamente alla questione relativa al mutuo, lo rigettava nel resto e, di conseguenza, riduceva la condanna a Euro 153673,49, oltre interessi.

La FINIM propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, resistito dalla BNL. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo, a sostegno della denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e 345 c.p.c., contesta la valutazione di indispensabilità della produzione della procura come documento nuovo in appello, erroneamente operata dalla Corte territoriale, cui la ricorrente imputa di avere fatto erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c., nel testo precedente alla modifica apportata dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, che sarebbe invece applicabile nella specie in base al principio tempus regit actum, con conseguente impossibilità di ammettere la produzione in appello di documenti nuovi, seppure in ipotesi indispensabili, se non prodotti tempestivamente o in mancanza della prova di non averli potuti produrli nel giudizio di primo grado.

Il motivo è infondato.

La menzionata novella, che ha escluso la possibilità di ammettere nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l’indispensabilità degli stessi (ferma la possibilità per la parte di dimostrare di non aver potuto proporli, o produrre i documenti, nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile), si applica solo nei giudizi in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo 1111 settembre 2012, a norma del D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (vd. Cass. n. 26522 del 2017). Pertanto, nella specie trova applicazione il testo previgente che ammette la producibilità di documenti nuovi in appello, quando siano indispensabili ai fini della decisione, come avvenuto nella specie, avendo la Corte territoriale osservato, con valutazione incensurabile in sede di legittimità (vd. Cass. n. 14133 del 2006) e comunque adeguata, che l’esigenza di produzione della procura era emersa solo dopo la scadenza del termine di cui all’art. 184 c.p.c., in conseguenza della contestazione del potere del D. di compiere operazioni per conto della società. L’obiezione svolta dalla ricorrente anche in memoria, secondo la quale il giudice d’appello non avrebbe potuto ammettere la produzione di documenti prodotti tardivamente già nel giudizio in primo grado, nel quale la tardività era stata dedotta, da un lato, non coglie la ratio decidendi, avendo la Corte ammesso la loro produzione in appello perchè indispensabili e, dall’altro, non è condivisibile. Ed infatti, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (vd. Cass., sez. un., n. 10790 del 2017; n. 24164 del 2017 e n. 12574 del 2019).

Con il secondo motivo, a sostegno della denuncia di nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., la ricorrente contesta l’affermazione della Corte territoriale che ha ritenuto non discutibile la validità della procura in ragione del fatto che non era stata proposta la querela di falso, non essendo la sottoscrizione della signora L.B. stata disconosciuta. Al contrario, a suo avviso, sarebbe possibile contestare con ogni mezzo la riconducibilità della procura alla società, in quanto rilasciata dalla L. per autorizzare il D. ad operare sul conto corrente personale della stessa e, tuttavia, alterata dalla Banca mediante apposizione su di essa di un timbro apocrifo con la dicitura FINIM.

Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui sebbene il valore di prova legale della scrittura privata riconosciuta, o da considerarsi tale, non si estenda al contenuto della dichiarazione, la querela di falso è necessaria nei casi di falsità materiale per contestare la provenienza dell’atto dal soggetto che ne abbia effettuato la sottoscrizione, cioè per rompere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione (vd. Cass. n. 12707 del 2019, n. 5383 del 1999). E ciò è quanto accaduto nel caso in esame, assimilabile all’ipotesi dell’abusivo riempimento di foglio in bianco “absque pactis” (vd. Cass. n. 21587 del 2019, n. 5417 del 2014), denunciandosi l’abusiva alterazione del testo della procura mediante abusiva apposizione su di essa del timbro della società per fare apparire l’autorizzazione al procuratore come conferita, in tesi, per operare sul conto della società stessa, anzichè sul conto personale dell’autore della dichiarazione.

Il terzo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1832 c.c., per avere ritenuto provati gli addebiti sul conto corrente riferiti a pagamenti di terzi privi di riscontro nelle scritture contabili della società, mancando la prova dell’invio degli estratti conto al correntista, è infondato. Esso non tiene conto della ratio decidendi espressa dalla Corte territoriale, la quale non ha basato la decisione sulla intempestività della (e quindi sulla decadenza dalla) contestazione degli estratti, ma sulla prova della fondatezza degli addebiti conosciuti e non contestati dagli organi sociali, come risulta dal fatto che D.F., come riferito nella sentenza impugnata, “attuale amministratore ed effettivo dominus della società (…) pur ribadendo di non aver mai ricevuto gli estratti conto della banca, ha tuttavia confermato che, proprio per questa ragione, usava recarsi in agenzia per farseli stampare (…) E’ indubbio, quindi prosegue la Corte territoriale – che, sebbene non sia dimostrato l’invio degli estratti conto periodici, le operazioni annotate sul conto siano state periodicamente controllate dai responsabili della società correntista, mediante l’acquisizione degli estratti conto presso lo sportello bancario. Peraltro, la presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, ove il cliente, ricevuto l’estratto o un documento equivalente, non sollevi specifiche contestazioni, trova applicazione anche quando l’estratto non sia stato trasmesso per mezzo posta (o con altre modalità previste nel contratto) ma sia comunque portato a conoscenza della controparte, come nel caso (riferito dallo stesso amministratore della società FINIM) della stampa di esso presso lo sportello bancario”.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio, che si deve qui ribadire, secondo cui la presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, quando il cliente, ricevuto l’estratto (o documento equipollente), non sollevi specifiche contestazioni (art. 1832 c.c., richiamato dall’art. 1857 c.c.), trova applicazione anche qualora detto estratto non sia stato trasmesso con raccomandata o secondo altre modalità contemplate dal contratto, ma venga portato comunque a conoscenza, a sostegno della pretesa di pagamento del saldo passivo del conto, con la conseguenza che tale pretesa non può essere respinta in presenza di un generico diniego della posizione debitoria da parte del cliente, non accompagnato dalle necessarie e specifiche contestazioni (vd. Cass. n. 9008 del 2000, n. 9427 del 1990). Nel resto il motivo sviluppa contestazioni di merito riguardanti la riferibilità delle movimentazioni alla società, involgente una questione di fatto insindacabile in sede di legittimità.

Il quarto motivo denuncia omesso esame del fatto che si assume decisivo che amministratore della società all’epoca dei fatti era persona, L.B., alla quale non potrebbero essere addebitati comportamenti riconducibili a terzi, quali le movimentazioni bancarie operate da D.F. che, dunque, non sarebbero riferibili alla società.

Il motivo mira a indurre la Corte a una rivisitazione di apprezzamenti di fatto compiuti dai giudici di merito, nè coglie o censura la ratio decidendi secondo la quale la L. non può dolersi del comportamento del D., al quale aveva delegato in virtù della procura la gestione del conto societario, dovendosi ritenere che ella fosse a conoscenza delle operazioni compiute dal coniuge, il quale si atteggiava come effettivo dominus della società. Esso è dunque inammissibile.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 6200,00, di cui Euro 6000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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