Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9028 del 05/11/2013
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9028 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CARRIERI STEFANO N. IL 20/02/1938
avverso la sentenza n. 1744/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
01/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. get.A.Q.
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Data Udienza: 05/11/2013
1
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Brindisi, in data
23 aprile 2010, aveva dichiarato l’odierno ricorrente colpevole di
concorso nella ricettazione di particolare tenuità di parti di autovetture
di provenienza furtiva (fatti commessi in Fasano in data 8 maggio
alla pena ritenuta di giustizia.
2.
Avverso tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un
difensore iscritto nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
4
comma 1, disp. att. c.p.p.:
\– Q..1,tt •
I – inosservanza deg19603 e 192 c.p.p. per mancata assunzione di
una prova decisiva, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla mancata rinnovazione del dibattimento
(lamenta che la Corte di appello non avrebbe in alcun modo motivato il
diniego opposto alla richiesta di rinnovazione del dibattimento, ed
avrebbe fondato l’affermazione di responsabilità su episodi non
contestati, avvenuti in data 10 e 4 aprile 2008, in relazione ai quali
aveva eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei testimoni – ma il
ricorso non specifica il motivo di tale deduzione – e che non erano stati
richiamati dalla sentenza di primo grado);
H – analoga doglianza viene formulata in ordine alla mancata
acquisizione di una consulenza di parte;
III – inosservanza degli artt. 178, lett. C), – 181, comma 4 – 182 191 – 192 – 195 c.p.p., e 6 della Convenzione EDU (lamentando che
non sia stato messo a disposizione della difesa il DVD contenente fonti di
prova valorizzate in danno del ricorrente, nonché l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni del teste che avrebbe riferito de relato sul contenuto delle
immagini registrate dallo stesso visionate);
III (rectius, IV) – inosservanza degli artt. 191, 192, 499, comma 3,
514, comma 2, 181, 509 c.p.p. – 111 della Costituzione – 6 della
Convenzione EDU, nonché omessa motivazione e manifesta illogicità
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2008), condannandolo – ritenute le circostanze attenuanti generiche –
2
della stessa (lamenta l’irritualità dell’intervenuta sospensione del
dibattimento di primo grado per consentire al teste NUCCI di esaminare
gli atti a sua firma, in aiuto della memoria»);
IV (rectius, V) – inosservanza degli artt. 191, 192, 260, 354, 355,
431, 511 c.p.p., nonché 81 ed 82 disp. att. c.p.p. (lamenta
l’inutilizzabilità del verbale di sequestro del preteso corpo del reato, che
asserisce essere stato acquisito in copia, la mancata documentazione del
dell’acquisizione, custodia e conservazione del preteso corpo del reato,
l’inutilizzabilità del medesimo quale fonte di prova; omessa e
contraddittoria motivazione, avendo proposto appello deducendo
mancanza di un verbale di sequestro ritualmente convalidato agli atti del
dibattimento e mancanza della certezza che i reperti mostrati in aula
fossero quelli oggetto della contestazione);
V (rectius, VI) – erronea applicazione ed inosservanza degli artt. 192
e 648, comma 2, c.p. (lamenta l’insussistenza degli elementi costitutivi
del reato di ricettazione tenue);
I (rectius, VII) – erronea applicazione degli art. 712 e 62-bis c.p.,
nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al
mancato riconoscimento di un’ipotesi di incauto acquisto, del minimo
edittale e della massima riduzione per le attenuanti generiche.
Ha concluso chiedendo la cassazione della sentenza impugnata.
3. All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità
degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, rigettato.
2
4
preteso assenso del detentore degli oggetti in sequestro, l’illegittimità
3
I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTI M ITA’ SULLA
M OTIVAZIO N E
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.
1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni
processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n.
249035):
3
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
4
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b)
individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c)
dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
1.1.2.
In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella
giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in
unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:
<<(...) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile
di ufficio»; la disposizione stabilisce attualmente, all'esito delle modifiche apportate dall'art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.
134 del 2012, che l*e sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione «(...) 5)
per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione
(introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell'art. 366, comma 1, n. 6,
c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a
pena di inammissibilità: «(...) 6) la specifica indicazione degli atti 4 probatorio invocato, nonché dell'effettiva esistenza dell'atto processuale 5 processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve
ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio
dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando
l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la
decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere
adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse
univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito
circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad
essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n.
26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n.
14561, CED Cass. n. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba
essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza
che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui
compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è
onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la
completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente
indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in
precedenza), posto che anche in sede penale - in virtù del principio di
autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve
ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo,
a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla
stessa articolazione del ricorso» (Sez. I, sentenza n. 16706 del 18
marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. I, sentenza n. 6112
del 22 gennaio - 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. V,
sentenza n. 11910 del 22 gennaio - 26 marzo 2010, CED Cass. n.
246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che
deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur
richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrai p--- 5 della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni 6
trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto,
così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative
doglianze; Sez. VI, sentenza n. 29263 dell' 8 - 26 luglio 2010, CED
Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il
vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza
del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche
sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e esame diretto è alla stessa precluso; Sez. II, sentenza n. 25315 del 20
marzo - 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di
ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o
travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare
l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia
effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o
anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione). In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: «In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in
sede penale la teoria della "autosufficienza del ricorso", elaborata in
sede civile; ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti
processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa
o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto
mediante l'allegazione o la completa trascrizione dell'integrale contenuto
degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la
Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede
penale è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto degli atti del
processo» 1.2. La mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione,
come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore
tale da risultare percepibili ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le 6 non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui 7
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza
vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere
tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un.,
sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un.,
sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di «un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i
singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire
risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi» (Cass.
pen., Sez. VI, sentenza n. 14624 del 20 marzo 2006, CED Cass. n.
233621; Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n.
239789), e di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. VI, sentenza n. 27429 del 4
luglio 2006, CED Cass. n. 234559; Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14
febbraio 2012, CED Cass. n. 253099). 1.3. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art.
606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n.
35964 del 28 settembre 2006, CED Cass. n. 234622; Sez. III, sentenza
n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623; Sez. V, sentenza n.
39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215; Sez. II, sentenza
n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l'esistenza di una radicale incompatibilità con l'iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto; 7 sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074). 8
(d) la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d.
<
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva
della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.
2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di
questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22
febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n.
34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è
inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga
pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con
l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente
assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata)
senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in
virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
2.1.1. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700
del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che <
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED
Cass. n. 254584).
2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si
limita a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale
è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto
che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente
‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata,
è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo di
ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere
invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da
parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di
impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice d’appello
abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del
motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò
per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale
anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello)
non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del
vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione
cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”,
11
giudice dell’impugnazione); ma quando “attacca” le ragioni che
12
pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi
tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto,
è pure onerata dell’obbligo di argomentare la decísività del vizio, tale da
imporre diversa conclusione del caso».
2.1.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei
principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione»
(Sez. VI,
sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO
3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente
iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26
settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).
3.1.
In presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello
per relationem
a quella della decisione
impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
12
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
13
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano
una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre
1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n.
13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).
L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art.
533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare
che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone,
ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione
di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è
permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
13
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
14
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in
precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2
aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che <
14
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
15
Il che appare di per sé immediatamente incongruo, non essendo
concepibile, secondo il senso comune degli affari, lo svolgimento di una
attività di intermediazione (tra l’altro, comportante l’onere di
spostamenti sul territorio e le conseguenti spese) esercitata con
l’intenzione di non ricavarci alcun guadagno, si potrebbe dire per spirito
filantropico, e non essendo stato spiegato come mai l’imputato avesse
6.1. — 6.2. Ciò premesso, il primo motivo ed il secondo motivo
sono infondati.
Il vizio evocato di mancata assunzione di una prova decisiva può
essere dedotto solo in relazione a specifici mezzi di prova di cui sia stata
chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, comma 2, c.p.p., ed
assume, peraltro, rilievo solo quando la presunta prova decisiva,
confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno
della decisione, risulti determinante per un esito diverso del processo e
non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motivazione.
D’altro canto, la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
nel giudizio d’appello può costituire violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. d), c.p.p. solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la
sentenza di primo grado (art. 603, comma 2, c.p.p.), mentre negli altri
casi può al più essere prospettato il vizio di motivazione previsto dalla
lett. e) del medesimo art. 606 (Sez. V, sentenza n. 34643 dell’8 maggio
2008, CED Cass. n. 240995).
Nel caso di specie, peraltro, la Corte di appello ha motivato
l’affermazione di responsabilità con rilievi esaurienti, logici, non
contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, richiamando anche
la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia
conforme affermazione di responsabilità, indicando compiutamente le
ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, e
valorizzando (f. 3 ss.) essenzialmente le dichiarazioni rese dallo stesso
imputato quanto alla presenza in loco ed alla disponibilità materiale della
refurtiva, e le risultanze del verbale di arresto quanto alla permanenza
dell’imputato all’interno dell’officina meccanica all’interno della quale era
15
ritenuto di non rivolgersi per l’acquisto ad un regolare concessionario.
16
in corso lo “smontaggio” della autovetture rubate, per trarne anche le
parti rinvenute in disponibilità dello stesso imputato (protrattasi per circa
un’ora, tempo senz’altro sufficiente a rendersi conto di quello che stava
avvenendo, e soprattutto della provenienza delle res che si accingeva ad
acquistare).
Trattasi di elementi di per sé sufficienti al fine di legittimare la
conclusiva affermazione di responsabilità dell’imputato, ai quali la Corte
nei giorni precedenti (che aveva documentato l’esistenza di continui
contatti tra il CARRIERI ed i soggetti impegnat6 presso l’officina de qua
nel traffico di autovetture e parti di autovetture di provenienza furtiva),
che il ricorrente lamenta essere inutilizzabili a quanto sembra di capire
per non avere costituito oggetto di specifica contestazione, ma che
naturalmente non dovevano costituire oggetto di specifica contestazione
per poter confluire tra le risultanze valutabili a sostegno del fatto
contestato.
A fronte di tali ineccepibili argomentazioni, dalle quali emergono
anche le ragioni (esplicitate a f. 3 della motivazione della sentenza
impugnata) della ritenuta superfluità delle attività istruttorie oggetto di
richiesta di rinnovazione del dibattimento di appello (la cui mancata
ammissione costituisce oggetto di doglianza nell’ambito del primo e del
secondo motivo di ricorso), il ricorrente ha reiterato più o meno
pedissequamente doglianze già costituenti oggetto di appello e già
disattese dalla Corte di appello, senza adeguatamente confrontarsi con il
percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata.
6.3. Il terzo motivo è inammissibile perché proposto per violazioni di
legge, in ipotesi verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, non
dedotte con i motivi di appello, in violazione di quanto stabilito dall’art.
606, comma 3, ultima parte, c.p.p.
Invero, le relative doglianze non risultano formulate tra i motivi di
appello, come si evince anche dal riepilogo degli stessi riportato nella
sentenza impugnata (f. 2), che l’odierno ricorrente, tenuto conto di
quanto disposto dall’art. 606, comma 3, ultima parte, c.p.p., ed in virtù
dell’onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, imposto
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ha aggiunto al considerazione degli-esiti dell’attività investigativa svolta .—-
17
dall’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p., avrebbe avuto il dovere
processuale di contestare specificamente nell’odierno ricorso, se ritenuto
incompleto o comunque non corretto, poiché la tempestiva deduzione
della violazione di legge come motivo di appello costituisce requisito che
legittima la riproposizione della doglianza in cassazione e, pertanto, di
ciò il ricorso, con la dovuta specificità, deve dar conto.
<
6.4. Il quarto motivo è generico, poiché deduce promiscuamente,
attraverso il riferimento all’art. 191 c.p.p., una presunta inutilizzabilità
per intervenuta acquisizione in violazione di divieti stabiliti dalla legge,
ed, attraverso il riferimento all’art. 181 c.p.p., la sussistenza di una
presunta nullità relativa; richiamando, inoltre, disposizioni del tutto non
attinenti alla prospettata fattispecie, come l’art. 499, comma 3, c.p.p.
(poiché in concreto si lamenta l’irritualità della sospensione del
dibattimento di primo grado per dar modo al teste NUCCI di visionare gli
atti a sua firma, non la formulazione di domande suggestive), l’art. 509
c.p.p. (che riguarda tutt’altro) e l’art. 514, comma 2, c.p.p. che anzi
evidenzia di per sé, attraverso il rinvio all’art. 499, comma 5, c.p.p. la
assolutamente manifesta infondatezza dell’assunto difensivo. Invero
proprio l’art. 514, comma 2, c.p.p., la cui violazione è stata a sproposito
invocata, stabilisce, nella sua ultima parte, che «L’ufficiale o l’agente
di polizia giudiziaria esaminato come testimone può servirsi [dei verba
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[
Va, in proposito, affermato il seguente principio di diritto:
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o degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia
giudiziaria] a norma dell’art. 499, comma 5>; e l’art. 499, comma 5,
c.p.p. stabilisce che «Il testimone può essere autorizzato dal
presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui
redatti>>. Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, con le modalità
ordinatorie ritenute opportune dal Presidente del collegio, come con
chiarezza evidenziato dalla Corte di appello (f. 3), che ha correttamente
per consultare gli atti a sua firma;
6.5. Il quinto motivo è generico e manifestamente infondato.
Come adeguatamente spiegato dalla Corte di appello (f. 2 s.), le res
oggetto della contestazione erano state tratte in sequestro in presenza
della parte (che le aveva personalmente consegnate agli operanti – il
che spiega perché non fu necessaria una preventiva attività di
perquisizione -, avendone pacificamente ammesso la disponibilità), ed in
udienza fu esibita copia del verbale in oggetto e fu documentata dal
P.M., in difetto di documentate contestazioni, la ritualità della convalida.
Inoltre, ai fini dell’affermazione di responsabilità sono state
valorizzate non le risultanze del predetto verbale, bensì le dichiarazioni
rese in contraddittorio dall’agente operante RINALDI, la cui attendibilità
non è, tra l’altro, stata decisivamente e con la necessaria specificità,
contestata dal ricorrente.
Tutto ciò rende evidente non soltanto l’assoluta infondatezza delle
tanto insistite quanto evanescenti doglianze difensive (meramente
reiterative di quelle già costituenti motivo di appello puntualmente
rigettato dalla Corte di appello), ma anche, in relazione ad esse,
l’assenza di pregiudizi per il diritto di difesa.
6.6. Il sesto motivo è, a sua volta, generico (reiterando ancora una
volta più o meno pedissequamente doglianze già costituenti motivo di
appello già motivatamente rigettate dalla Corte di appello) e
4_
manifestamente infondato, per le ragioni già indicate nel § 6.1. – 6.2. di
queste Considerazioni in diritto, in virtù delle quali la Corte di appello è
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ritenuto del tutto legittima la concessione al teste di un tempo congruo
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pervenuta all’affermazione di responsabilità, ritenendo motivatamente la
sussistenza del necessario dolo di ricettazione.
6.6.1. Deve aggiungersi che, in tema di ricorso per cassazione, è
inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p.,
anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), c.p.p., per
censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova
indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio,
in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla
motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e),
c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art.
606, comma 1, lett. c), c.p.p., nella parte in cui consente di dolersi
dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità
(Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45249 dell’8 novembre 2012, CED
Cass. n. 254274).
Peraltro, la Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non
contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il
ricorrente non si confronta con la necessaria specificità, in concreto
riproponendo più o meno pedissequamente la analoga doglianza già
proposta come motivo di appello, ha compiutamente indicato (f. 3 s.) le
ragioni poste a fondamento della contestata affermazione di
responsabilità.
A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale e
congetturale rivisitazione dei fatti di causa, e senza documentare
eventuali travisamenti nei modi che si è (in premessa) evidenziato
essere di rito.
6.7. Anche il settimo motivo è, per le medesime ragioni, generico e
manifestamente infondato.
La Corte di appello con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e
pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si
confronta con la necessaria specificità, in concreto riproponendo più o
meno pedissequamente le analoghe doglianze già proposte come motivo
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acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed
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di appello, ha compiutamente indicato (f. 4) le ragioni poste a
fondamento della contestata qualificazione giuridica dei fatti accertati,
osservando che «non può sorgere alcun dubbio sia in ordine alla
consapevolezza da parte dell’appellante dell’attività posta in essere dallo
SCHIAVONE e dai suoi correi, alla quale egli appare partecipasse
attivamente, con continuità seppure non giornaliera, nonché della
provenienza dei pezzi rinvenuti in suo possesso»
e, per quanto
primo Giudice riconosciuto la sussistenza della circostanza attenuante di
cui all’art. 648, comma 2, c.p., nonché delle circostanze attenuanti
generiche,
«applicate queste ultime nel massimo della riduzione
consentita»
(questo rilievo rende francamente improponibile la
doglianza difensiva tendente ad ottenere la riduzione massima per le
predette attenuanti: la pena base ritenuta congrua era stata già ridotta
dal primo giudice in misura pari ad un terzo, di più non si può), «non
si ritiene di dover contenere ulteriormente la pena irrogata riducendo nei
minimi edittali la pena base alla stregua dell’allarmante contesto in cui il
CARRIERI è risultato inserito, valutazione questa che giustifica lo
scostamento dal minimo stabilità dal legislatore».
7. Il rigetto totale, nel suo complesso, del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 5 novembre 2013.
riguarda il complessivo trattamento sanzionatorio (f. 5), che, avendo il