Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18490 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 10/08/2010), n.18490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.R.R., S.P., rappresentati e difesi

dall’avv. Iannello Salvatore, presso il quale sono elettivamente

domiciliati in Roma in via G.B. Gandino n. 12;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE PER LA SICILIA, UFFICIO DI PALERMO (OMISSIS);

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE CENTRALE IN ROMA;

– intimate

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 9/14/05, depositata il 3 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25

marzo 2010 dal Relatore Cons. Dott. GRECO Antonio;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.R.R. e S.P. impugnarono l’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio del registro di Palermo aveva revocato le agevolazioni fiscali relative all’acquisto di un immobile adibito ad abitazione principale in quanto esso aveva le caratteristiche di abitazione di lusso di cui al D.M. 2 agosto 1969, art. 6, “avendo una superficie utile di mq 269 circa”.

In primo grado il ricorso era rigettato in quanto l’immobile, “avendo una superficie complessiva superiore ai mq. 200, nonchè un’area scoperta pertinenziale estesa oltre 6 volte l’area coperta, doveva considerarsi casa di lusso ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, art. 5”.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia, dinanzi alla quale i contribuenti censuravano la decisione lamentando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per essere stata decisa l’esclusione dall’agevolazione in base alla norma del D.M. citato, art. 5 e non in base al successivo art. 6 invocato dall’ufficio in sede di accertamento, rigettava l’appello.

Rilevava infatti che il giudice di primo grado, per valutare se l’immobile rivestisse le caratteristiche di abitazione di lusso, su richiesta dei ricorrenti aveva disposto consulenza tecnica “per rilevare le superfici dell’immobile”. Il consulente di parte nominato dai contribuenti non aveva contestato i dati cui il consulente d’ufficio era pervenuto: che l’edificio, cioè, composto di tre elevazioni in un’area di mq. 84,60 a piano terra, mq. 88,53 al primo piano e mq. 66,76 al secondo piano, era stato costruito su un terreno che misurava mq. 1112. La Commissione provinciale, quindi, aveva, “avuto tutti gli elementi necessari per determinare che l’immobile trasferito aveva le caratteristiche di lusso di cui al D.M. 2 agosto 1969, art. 5 e precisamente che si trattava di un unico alloggio patronale, che aveva una superficie complessiva superiore a mq. 200 e che la sua superficie pertinenziale… era oltre sei volte l’area coperta…”. Il giudice d’appello riteneva perciò che l’immobile non poteva godere delle agevolazioni previste dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, come convertito nella L. 24 marzo 1993, n. 75.

Posto quindi che i contribuenti avevano avuto la possibilità di esercitare il diritto alla difesa, non era ravvisabile il dedotto vizio di ultrapetizione, in quanto il giudice di primo grado, “dopo aver enucleato i termini fattuali della controversia, ha autonomamente individuato la norma giuridica applicabile”, non potendo “essere condizionato dalle formule adottate dalle parti, dovendo tenere presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa fiscale, determinabile non solo dal tenore letterale degli atti, ma, anche, dalle perizie tecniche, dalla natura delle vicende rappresentate in giudizio nonchè dal provvedimento sollecitato in concreto, con il solo limite tra chiesto e pronunciato”.

Avverso al decisione i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

L’amministrazione non ha svolto attività difensiva nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso i contribuenti, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.M. 2 agosto 1969, art. 5 (e non art. 6) in relazione all’art. 112 c.p.c. – illegittima introduzione da parte del giudice di una causa pretendi diversa da quella contenuta nella domanda”, si dolgono che la CTR, come del resto il giudice di primo grado, chiamato a decidere in ordine alla decadenza dai benefici fiscali affermata con l’avviso (di liquidazione dall’ufficio per non avere l’immobile le caratteristiche fissate dal D.M. del 1969, art. 6 – vale a dire una superficie utile complessiva superiore a mq. 240 – abbia giudicato oltre i limiti del provvedimento impugnato, convalidando la revoca dall’agevolazione in base all’art. 5 del medesimo decreto, norma che ha invece riguardo al rapporto tra superficie utile dell’alloggio padronale e superficie dell’area che ne costituisce pertinenza. E ciò dopo che la c.t.u. disposta, dando risposta al quesito concernente la superficie utile dell’immobile, l’aveva determinata, come del resto il consulente di parte, in misura inferiore, oltre che ai mq. 269 indicati nell’atto impositivo, ai mq.

240 costituenti la soglia oltre la quale a norma del D.M. del 1969, art. 6 l’abitazione è considerata di lusso. La sentenza impugnata avrebbe pertanto violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato fissato dall’art. 112 cod. proc. civ., che implica il divieto per il giudice di decidere in base ad elementi di fatto non ritualmente acquisiti al giudizio come oggetto del contraddittorio.

Il ricorso è fondato.

Il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso e tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato. Ne consegue che non è consentito al giudice tributario, pur se libero di qualificare giuridicamente i fatti allegati a sostegno della pretesa fiscale, di estendere la propria indagine, in ordine alla fondatezza della pretesa stessa, all’esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall’ufficio (ex multis, Cass. n. 4125 e n. 3345 del 2002).

Nel caso in esame, l’ufficio finanziario, con l’avviso di liquidazione impugnato aveva negato la spettanza delle agevolazioni fiscali riconosciute dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 1, comma 2 come convertito dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, sugli atti di acquisto di immobili da adibire a propria abitazione principale, in quanto “destinati ad uso di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al D.M. 2 agosto 1969”, in forza del rinvio alle disposizioni del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 2, come convertito dalla L. 5 aprile 1985, n. 12. E ciò perchè l’unità immobiliare, “avendo una superficie utile di mq 269 circa”, presentava le caratteristiche di abitazione di lusso stabilite dall’art. 6 del detto decreto ministeriale. Secondo tale disposizione, “sono considerate abitazioni di lusso le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchina)”.

Il fondamento della pretesa impositiva, il fatto su cui essa si basava, era dunque rappresentato dal superamento, da parte della singola unità immobiliare, della soglia di superficie utile complessiva di mq. 240 fissata dall’art. 6 del decreto ministeriale.

E tale atto era stato perciò impugnato dai contribuenti, che con le deduzioni svolte nel ricorso avevano così fissato l’oggetto del giudizio nel controllo della legittimità della pretesa impositiva in concreto esercitata, nei limiti del titolo e delle circostanze di fatto all’uopo allegate (cfr. Cass. n. 6404 del 1996).

All’esito della consulenza tecnica disposta in primo grado, il fatto dedotto a fondamento della pretesa era risultato insussistente, essendo la superficie utile complessiva dell’unità immobiliare inferiore al limite dei mq. 240 fissato dal citato art. 6. Tanto era sufficiente per l’accoglimento della domanda dei contribuenti. Il giudice adito, in violazione del principio sancito dall’art. 112 cod. proc. civ., ha invece rigettato il ricorso non qualificando altrimenti i fatti allegati a sostegno della pretesa, ma ponendo a fondamento della decisione un fatto diverso, estraneo all’atto impositivo ed ai termini del dibattito processuale, sussumibile nella fattispecie astratta contemplata da una diversa disposizione del decreto ministeriale, l’art. 5. La norma, infatti, con riguardo a “le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le scale e posto macchina)” considera abitazioni di ti lusso quelle “aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta”.

In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2 con l’accoglimento del ricorso introduttivo dei contribuenti.

Si ravvisano giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

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