Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18429 del 06/08/2010
Cassazione civile sez. I, 06/08/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 06/08/2010), n.18429
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 37,
presso l’avvocato STEFANO CAROTI, rappresentato e difeso
dall’avvocato FELSANI MARIA CECILIA, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
QUESTURA DI ROMA, PREFETTURA DI ROMA, in persona dei rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li
rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il
08/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16/06/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.- D.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi – contro il decreto in data 8.10.2008 con il quale il Giudice di pace di Roma ha rigettato il suo ricorso avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Roma il 16.7.2008.
Resistono con controricorso la Prefettura e la Questura intimate.
2.- Il ricorrente denuncia:
1) “violazione e non corretta applicazione delle norme sull’immigrazione”;
2) “mancato rispetto delle tutele di legge – vizio linguistico – presunta conoscenza linguistica non accertata”;
3) “situazione personale sig. D. (convivenza con 2 nipoti italiani”.
3.- Il ricorso è inammissibile, così come eccepito dall’Amministrazione resistente, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., posto che nessuno dei motivi contiene idoneo quesito di diritto.
Peraltro, è da ricordare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso. Il singolo motivo, sia prima che dopo la riforma, introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e specificità del motivo di censura esigono, dunque, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito.
Deriva da quanto precede, pertanto, che sono inammissibili i motivi di ricorso con i quali, (come nella concreta fattispecie) pur censurandosi la sentenza impugnata, non è precisato sotto quale (o quali) dei tassativi profili indicati dall’art. 360 c.p.c., tali vizi sono stati dedotti. Nè al riguardo può affermarsi che il ricorso per cassazione è ammissibile anche se non indica il contenuto degli, articoli di legge che si assumono violati, purchè dal. tenore delle censure esposte sia possibile evincere le norme di diritto cui il ricorrente si riferisce. Atteso che tale principio è invocabile nell’eventualità in cui il ricorrente per cassazione nel chiedere la cassazione per il motivo di violazione di norma di diritto non indichi gli articoli di legge che si assumono violati, e non qualora i motivi del ricorso sono stati formulati in termini tali da non consentire di comprendere se con gli stessi la ricorrente ha inteso censurare la sentenza impugnata “per motivi attinenti alla giurisdizione” o, piuttosto “per violazione delle norme sulla competenza” o, ancora, “per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” o, per ipotesi, “per nullità della sentenza o del procedimento” o, infine, “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” (C, Sezione 3^, sentenza 4 marzo 2010 n. 5207).
Le spese processuali – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico del ricorrente soccombente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Amministrazione resistente le spese processuali che liquida in complessivi Euro 900,00.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2010