Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18207 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. III, 05/08/2010, (ud. 12/07/2010, dep. 05/08/2010), n.18207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), (gia’

Ministero delle Finanze) in persona del Ministro p.t., MINISTERO PER

I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, (OMISSIS), (gia’ Ministero dei

Beni Culturali e Ambientali) in persona del Ministro p.t.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli

UFFICI DELL’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono difesi per

legge;

– ricorrenti –

contro

VIGNA DI SAN MARTINO SRL, in persona del suo amministratore e legale

rappresentante pro tempore sig. M.G., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 7, presso lo studio

dell’avvocato ERRICO EDOARDO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BARONE PAOLO;

– controricorrente –

e contro

REG. CAMPANIA (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 637/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Sezione Quarta Civile, emessa il 23/1/2006, depositata il 01/03/2006;

R.G.N. 796/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato Giovanni DE LUCA per delega avv. Eduardo ERRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 27 marzo 1998 Vigna di San Martino s.r.l., proprietaria di un vasto fondo sito nella zona collinare di Napoli, convenne in giudizio innanzi al Tribunale della stessa citta’ il Ministero delle Finanze e il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali chiedendo che, accertatane la responsabilita’ nella eziologia dei fenomeni franosi verificatisi nel (OMISSIS), gli stessi venissero condannati, in solido o in ragione delle rispettive competenze, a rimuovere le cause che li avevano determinati, oltre che a risarcirla di tutti i danni subiti per effetto dello sversamento caotico e non regimentato delle acque di smaltimento provenienti dalla (OMISSIS).

Esponeva la societa’ che essa si era lungamente adoperata al fine di sfruttare il fondo come attrazione turistica, ma che il lavoro e gli investimenti posti in essere per organizzare aree disponibili, stipulare convezioni con enti, attivare procedure amministrative erano stati gravemente compromessi dalle predette evenienze.

Resistettero i due Ministeri, sostenendo che i danni erano stati provocati da fenomeni naturali e da mancati interventi di sistemazione e di difesa del suolo dei quali era tenuta a rispondere la Regione Campania.

Con separato atto di citazione gli stessi Ministeri convennero poi in giudizio innanzi al medesimo Tribunale la Regione Campania chiedendo che la convenuta venisse dichiarata unica responsabile degli eventi franosi verificatisi nel (OMISSIS) e condannata a risarcire i danni subiti da Vigna di San Martino s.r.l. o, in subordine, a manlevarla da ogni pretesa avanzata dalla societa’.

Le due cause, riunite, vennero decise dal Tribunale con sentenza depositata il 26 luglio 2002 di condanna dei due Ministeri al pagamento in solido della somma di Euro 1.672.400,33, oltre accessori, per i danni provocati dagli eventi del (OMISSIS), e la somma di Euro 2.090.351,70, per i danni provocati dagli eventi del (OMISSIS).

Il gravame proposto dai Ministeri e’ stato rigettato dalla Corte d’appello con sentenza depositata il 1 marzo 2006.

Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, formulando sette motivi e notificando l’atto alla Regione Campania e a Vigna di San Martino s.r.l.

Solo quest’ultima ha notificato controricorso, mentre la prima intimata non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per inosservanza del termine breve di cui agli artt. 325 e 326 cod. proc. civ., sollevata da Vigna di San Martino s.r.l.

Sostiene al riguardo la deducente che, notificata la sentenza di appello presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli il 5 aprile 2006, il ricorso sarebbe stato rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica il 6 giugno successivo, a termine ormai scaduto.

In realta’, come emerge dall’attestazione rilasciata dall’Ufficio Notifiche della Corte d’appello di Roma, il ricorso e’ stato ivi consegnato lunedi’ 5 giungo, e quindi, entro il termine di sessanta giorni previsto dalla legge.

1.1 Si riportano qui di seguito i primi cinque motivi di ricorso, i quali si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi.

Col primo mezzo gli impugnanti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., per avere il giudice di merito ritenuto inammissibile il motivo d’appello volto a far valere il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri. La censura ha ad oggetto l’affermazione secondo cui l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dai convenuti, che atteneva al merito della controversia, e non alla legittimatici ad causam degli appellanti, era stata opposta tardivamente, essendo stata esplicitata oltre il termine perentorio stabilito dall’art. 180 cod. proc. civ., comma 2.

Rilevano per contro gli impugnanti che, pacifica l’appartenenza al demanio dello Stato, e per esso agli esponenti, del complesso monumentale di (OMISSIS), cio’ di cui si discuteva e si discute in giudizio e’ l’identificazione del soggetto destinatario degli obblighi di sistemazione e di difesa del suolo, di talche’, proprio in base alla prospettazione attorea, andava rilevato anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, il difetto di legittimatici ad causam dei Ministeri convenuti.

1.2 Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L.R. n. 23 del 1979, artt. 13 e 17, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3 per avere la Corte territoriale ritenuto infondata la domanda di manleva proposta dai convenuti Ministeri nei confronti della Regione Campania, sul rilievo che le acque meteoriche non rientrano nel novero delle acque pubbliche, di talche’ gli eventuali danni derivanti dalla loro mancata regimentazione cederebbero esclusivamente a carico dei proprietari del bene. Non aveva il giudice di merito considerato che la mancata irreggimentazione delle acque piovane, imputata ai Ministeri convenuti, aveva determinato i lamentati danni in quanto il suolo della collina sottostante non era mai stata oggetto di intervenenti manutentivi da parte della Regione, la quale pur vi era tenuta in base alle norme innanzi richiamate.

1.3 Col terzo mezzo i ricorrenti denunciano contraddittorieta’ della motivazione con riferimento alla eziologia degli eventi franosi e alla ritenuta assenza di responsabilita’ dell’Ente territoriale. Del tutto illogica sarebbe la negativa valutazione della Corte d’appello basata sull’assunto della non riconducibilita’ delle acque meteoriche alla categoria delle acque pubbliche, laddove la difesa del suolo deve essere attuata con riferimento a tutti gli agenti esterni che possano minarne la tenuta idrogeologica.

1.4 Col quarto motivo gli impugnanti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale apoditticamente affermato che le argomentazioni in base alle quali il giudice di prime cure aveva escluso l’eccezionalita’ dei fenomeni metereologici verificatisi nel (OMISSIS) e le valutazioni espresse in ordine a quelli del 2001 nonche’ alla condotta delle Amministrazioni convenute non erano state oggetto di alcuna specifica censura. Rilevano per contro i ricorrenti che, in ordine all’an debeatur, nei motivi di gravame erano state formulate critiche estremamente puntuali alle conclusioni peritali, specificamente censurando l’adesione alle stesse del tribunale, malgrado l’assoluta carenza di ogni argomentazione sull’effettivo apporto causale dei Ministeri nell’eziologia dei danni.

1.5 Col quinto mezzo lamentano, in relazione al medesimo profilo della controversia, contraddittorieta’ della motivazione, evidenziando che nella stessa sentenza impugnata il decidente aveva dato atto che, secondo gli appellanti, gli eventi franosi che avevano interessato la collina erano stati determinati da calamita’ naturali e da cause di forza maggiore, cosi’ in definitiva riconoscendo la specificita’ dei motivi di censura formulati nei confronti della sentenza del Tribunale.

2 I motivi sono infondati, ancorche’ la motivazione della sentenza impugnata debba essere, in taluni punti, integrata e corretta, ex art. 384 cod. proc. civ., u.c..

Il collegio non condivide il punto di vista del giudice di merito secondo cui la questione della titolarita’ passiva del rapporto dedotto in giudizio costituirebbe eccezione preliminare di merito non rilevabile d’ufficio che andava utilmente formulata, al piu’ tardi, entro il termine perentorio stabilito dall’art. 180 cod. proc. civ., comma 2. Se e’ vero infatti che la mancanza di tale titolarita’ attiene al merito della lite, la relativa questione non costituisce tuttavia eccezione in senso stretto, soggetta, in quanto tale, al regime decadenziale sancito, nel sistema processuale di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, dall’art. 180 cod. proc. civ., comma 2, e ora, dopo le modifiche apportate dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella L. 14 maggio 2005, n. 80, dall’art. 167 cod. proc. civ., comma 2.

E invero, le deduzioni attinenti alla titolarita’ attiva o passiva del rapporto controverso, in ragione della loro natura di contestazioni di un fatto costitutivo del diritto azionato, integrano mere difese sottoposte agli oneri deduttivi e probatori della parte interessata (confr. Cass. civ. 15 settembre 2008, n. 23670) e, in particolare, ove con esse si introducano nuovi temi d’indagine, alle preclusioni connesse alla esatta identificazione del thema decidendum e del thema probandum, destinate a scattare, nel regime processuale applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio, al compimento della fase di trattazione: con l’ulteriore effetto che l’esclusione dal thema decidendum dei fatti tardivamente contestati (e la loro conseguente inopponibilita’ nelle fasi successive del processo) si verifica solo allorche’ il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l’esistenza o l’inesistenza, ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite (confr. Cass. civ., 8 agosto 2006, n. 17947).

3 Il problema che a questo punto si pone e’ dunque anzitutto se, malgrado l’omesso esame dell’eccezione di difetto di titolarita’ passiva del rapporto in ragione della ritenuta operativita’ di una preclusione che in realta’ non era ancora maturata, la sentenza impugnata contenga comunque un apparato argomentativo volto a supportare la positiva valutazione della esclusiva addebitabilita’ ai Ministeri convenuti – perche’ di questo in definitiva si tratta – dei fenomeni franosi e dei conseguenti danni lamentati dalla societa’ attrice. Ora, a ben vedere, la Corte territoriale ha affrontato il merito di tali questioni allorche’ ha esaminato le critiche formulate dagli appellanti alle conclusioni del nominato consulente tecnico nonche’ la domanda di manleva da essi proposta nei confronti della Regione Campania. Tali argomentazioni sono oggetto di critiche segnatamente nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, sui quali ci si va ora a concentrare, dovendosi peraltro subito rilevare, per una corretta impostazione dei profili giuridici della controversia, che del tutto incongrua e’ l’evocazione dell’istituto della garanzia al fine di scaricare sulla Regione Campania gli obblighi risarcitori gravanti sui Ministeri convenuti, perche’ quel che e’ in gioco e’ solo e pur sempre lo stesso fatto – danni riportati dal fondo di proprieta’ della societa’ attrice – del quale occorre individuare il responsabile e quindi, in definitiva, l’accertamento della titolarita’ passiva di un unico rapporto di cui e’ parte, dal lato attivo, Vigna di San Martino s.r.l., accertamento che, in quanto tale, non puo’ non compiersi in contraddittorio con la predetta societa’.

4 Tanto premesso e precisato, le ragioni del positivo apprezzamento della responsabilita’ degli enti demaniali proprietari della (OMISSIS) nell’eziologia dei pregiudizi per cui e’ processo sono rinvenibili e nella parte della sentenza impugnata in cui il decidente, esaminando le critiche formulate dagli appellanti nei confronti delle disposte consulenze tecniche, richiama le chiarissime argomentazioni con le quali il primo giudice, sulla scorta del parere dell’ausiliario, aveva negato la qualificabilita’ in termini di forza maggiore, idonea a escludere il nesso di causalita’ tra lo sversamento caotico e non regimentato delle acque di smaltimento provenienti dal complesso monumentale, delle piogge cadute nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS); e nella parte della stessa decisione in cui, negandosi ogni responsabilita’ della Regione Campania, si evidenzia la non appartenenza delle acque meteoriche al novero delle acque pubbliche nonche’ l’incongruita’ del richiamo a pretesi, mancati interventi di sistemazione idraulico – forestale e di difesa del suolo, di competenza della stessa, in ragione della esclusiva dipendenza dei fenomeni franosi dal mancato smaltimento delle acque provenienti dalla Certosa, per effetto dell’improvvida disattivazione degli antichi sistemi di canalizzazione.

5 Trattasi di apparato motivazionale non solo corretto sul piano logico e giuridico, ma completo ed esaustivo, idoneo pertanto a resistere alle critiche dei ricorrenti. Valga in proposito considerare che, per giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte Regolatrice, il giudice, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico, assolve al proprio obbligo di motivazione limitandosi a indicare le fonti del proprio convincimento, senza dover esaminare specificatamente le contrarie deduzioni di parte, che debbono cosi’ intendersi per implicito disattese. E invero la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame dei detti rilievi, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico del convincimento maturato dal giudicante, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimita’ (Cass. civ. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. civ. 22 febbraio 2006, n. 3881; Cass. civ. 20 agosto 2004, n. 16392). Sotto altro, concorrente profilo va poi rilevato che la parte la quale si dolga, nel ricorso per cassazione, della acritica adesione del giudice alla consulenza tecnica, non puo’ limitarsi a lamentare genericamente l’inadeguatezza della motivazione, ma, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione e del carattere limitato del relativo mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali essa invoca il controllo di logicita’, riportando per esteso le pertinenti parti dell’elaborato ritenute insufficientemente o erroneamente valutate e svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, per consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione: e invero, ove cio’ non faccia, la doglianza finisce per esaurirsi nell’invito, inammissibile, ad una diversa ricostruzione dei fatti e ad una diversa valutazione delle prove (Cass. civ., 18 dicembre 2006, n. 27045).

A tali criteri di formulazione dei motivi di ricorso relativi all’apprezzamento degli esiti della consulenza non sfuggono gli impugnanti percio’ solo che oggetto dell’attacco e’ la ritenuta inammissibilita’ del motivo di appello proprio in ragione della mancanza di critiche specifiche e puntuali alle chiarissime argomentazioni con le quali il giudice di primo grado, sulla scorta del parere dell’ausiliario, aveva affermato la responsabilita’ dei Ministeri convenuti. Semmai le ragioni della decisione della Corte territoriale rendevano ancora piu’ pregnante l’onere dei ricorrenti di trascrivere integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi dell’elaborato peritale, riportando poi, il contenuto specifico delle critiche sollevate nei motivi di gravame, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel recepirla.

Le censure vanno pertanto rigettate.

6 Col sesto mezzo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 345 cod. proc. civ., degli artt. 1223 e 1224 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 4 per avere il giudice di merito, in contrasto con il principio della domanda, condannato le Amministrazioni convenute al pagamento della ulteriore rivalutazione monetaria dalla pronuncia della sentenza di primo grado a quella di appello, senza che Vigna di San Martino s.r.l. avesse avanzato alcuna domanda al riguardo. Non aveva il giudice di merito considerato che l’obbligazione di valore (quale quella risarcitoria), una volta liquidata con sentenza, si trasforma in obbligazione di valuta di talche’ l’eventuale danno da svalutazione deve essere oggetto di apposita e specifica domanda, ex art. 1224 cod. civ., comma 2.

7 Col settimo motivo, infine, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 e 1224 e 2697 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3 in relazione al medesimo capo della sentenza impugnata, sotto il profilo che la Corte territoriale aveva riconosciuto il risarcimento del danno da svalutazione monetaria nella totale assenza di prove al riguardo.

8 Anche tali critiche, che vanno esaminate insieme per la loro evidente connessione, sono destituite di ogni fondamento.

La decisione del giudice di merito e’ conforme al costante insegnamento di questa Corte, dal quale non v’e’ ragione di discostarsi, secondo cui la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio e in grado d’appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (Cass. 30 agosto 1997 n. 8259, Cass. 2 dicembre 1998 n. 12234; cfr. pure Cass. 20 marzo 2001 n. 3996, Cass. 6 agosto 2001 n. 1085; Cass. civ. 17 settembre 2003, n. 13666).

In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 15.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

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