Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17124 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 21/07/2010), n.17124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in Palma Campania,

Via Parrocchia, n. 10, presso l’avv. FERRANTE Mariano, che

rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma n. 31 rep.

pubblicato il 17 gennaio 2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

giorno 8 luglio 2010 dal Relatore Pres. Dott. Ugo VITRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 22 maggio 2006 – 17 gennaio 2007 la Corte d’Appello di Roma condannava il Ministero della Giustizia a pagare la somma di Euro 500,00 in favore di C.G. a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lui instaurato dinanzi al Giudice del Lavoro di Nola con ricorso in data 31 dicembre 1998, concluso in primo grado con sentenza in data 3 aprile 2001 e in appello, con sentenza depositata il 19 aprile 2004.

Osservava la Corte che il giudizio presentava un’eccedenza temporale di circa un anno. Ciò premesso liquidava a titolo di equa riparazione la somma di Euro 500,00, tenuto conto della modestissima eccedenza rispetto alla durata ordinaria del procedimento.

Contro il decreto ricorre per cassazione C.G. con quattordici motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole che il decreto impugnato non abbia fatto diretta applicazione delle norme della Convenzione CEDU disapplicando le norme nazionali eventualmente in contrasto con essa.

La censura non ha fondamento poichè, a differenza di quanto avviene in materia di regolamenti comunitari, le norme della Convenzione CEDU non trovano diretta applicazione nell’ordinamento nazionale salvo l’obbligo del giudice di interpretare il diritto interno alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Cass. 19 novembre 2009, n. 24399).

Con il secondo, il terzo, e il quarto motivo si sostiene, in forma ripetitiva e sotto vari profili – quali la contrarietà alla normativa CEDU, la violazione di norme sostanziali e processuali e il vizio di motivazione – che erroneamente sarebbe stato preso in considerazione, ai fini della liquidazione dell’equo indennizzo, il solo arco di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, determinato nella specie in poco meno di un anno.

Trattasi di censura manifestamente infondata alla luce del chiaro disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, e della consolidata giurisprudenza di questa Corte, che impongono di tener conto ai fini dell’equo indennizzo per eccessiva durata di un giudizio, unicamente del periodo di tempo in cui la durata del giudizio abbia ecceduto il termine ragionevole, con esclusione di ogni profilo di illegittimità costituzionale della disposizione citata per contrasto con la normativa europea (Cass. 22 gennaio 2008, n. 1354; 6 maggio 2009 n. 10415; 22, gennaio 2010 n. 1101).

Con il quinto e il sesto motivo la ricorrente si duole che il provvedimento impugnato si sia discostato immotivatamente dai parametri osservati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che riconosce un indennizzo di Euro 1.000,00/1.500.00 per ogni anno di durata del processo.

La censura è destituita di fondamento poichè il decreto impugnato ha liquidato a titolo di equa riparazione la somma di Euro 500,00 per una eccedenza temporale di poco meno di un anno rispetto alla ragionevole durata del processo, conformandosi pienamente alle liquidazioni della giurisprudenza europea.

Il settimo, l’ottavo e il nono motivo lamentano la contrarietà con le norme CEDU, l’omessa pronuncia e, comunque l’omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2.000,00.

La censura non merita accoglimento poichè la giurisprudenza della Corte di Strasburgo afferma, che tale integrazione può essere riconosciuta solo per le controversie previdenziali di particolare importanza, attribuendo conseguentemente al giudice del merito un potere discrezionale di valutazione il cui mancato esercizio non richiede espressa motivazione (Cass. 13 aprile 2010, n. 8786).

Il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo e il tredicesimo motivo censurano sotto vari aspetti, al disciplina delle spese giudiziali, lamentando la mancata applicazione dei criteri adottati dalla Corte Europea nonchè delle tariffe relative ai procedimenti contenziosi.

Le censure in esame sono infondate poichè il giudice italiano non è vincolato dalla liquidazione delle spese giudiziali effettuate dalla Corte di Strasburgo essendo tenuto unicamente ad applicare la disciplina nazionale in tema di spese giudiziali senza necessità di motivazione specifica al riguardo (Cass. 1 luglio 2008, n. 18012).

Nè, poi risulta che il decreto impugnato abbia fatto riferimento alla tariffa stabilita per i procedimento camerali, poichè è stata liquidata nella specie la somma complessiva di Euro 750,00, più che congrua in relazione ad un procedimento contenzioso del valore di Euro 500,00.

Il quattordicesimo ed ultimo motivo è inammissibile perchè si risolve in una generica e molteplice denunzia di vizi di motivazione senza riferimento a specifici fatti controversi e decisivi per il giudizio.

In conclusione il ricorso non merita accoglimento in nessuna delle sue concorrenti articolazioni deve essere rigettato.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese giudiziali che liquida Euro 600,00 per onorario.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

 

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