Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17105 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. I, 21/07/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 21/07/2010), n.17105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI TAORMINA (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato AUTRU RYOLO LUIGI, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

L.B.G. (c.f. (OMISSIS)), nella qualita’ di erede

di L.C.M.C. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliata in ROMA, V.BALDO DEGLI UBALDI 66, presso

l’avvocato RINALDI GALLICANI SIMONA, rappresentata e difesa

dall’avvocato BIONDO CARMELO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 318/2004 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 19/08/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE BIONDO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per la manifesta infondatezza

del primo motivo e per la inammissibilita’ del secondo, con condanna

alle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 6 settembre 1981, L.C.C. M. convenne dinanzi al Tribunale di Messina il Comune di Taormina, esponendo che il Comune aveva occupato legittimamente, in data 21 novembre 1974, un terreno edificabile con annesso fabbricato di sua proprieta’ per una superficie pari a mq. 2860, al fine di realizzare la strada comunale (OMISSIS);

che, in data 21 novembre 1979 era decorso il quinquennio di occupazione legittima, senza che fosse stato emesso il decreto di espropriazione e che, medio tempore, detti immobili erano stati irreversibilmente trasformati per la realizzazione della predetta opera pubblica.

Tanto esposto, l’attrice chiese la condanna del Comune al risarcimento dei danni da occupazione appropriativa, nonche’ al pagamento dell’indennita’ per la “mancata fruttificazione” relativamente al periodo di occupazione legittima.

In contraddittorio con il Comune, che resistette alle domande, il Tribunale adito, con la sentenza n. 685/02 del 27 febbraio 2002, accertata l’occupazione appropriativa, tra l’altro, condanno’ il Comune di Taormina al pagamento, in favore di L.C.M. C. – succeduta all’originaria attrice -, della somma di Euro 35.310,16, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma via via rivalutata dal momento della definitiva trasformazione – avvenuta il 14 novembre 1979 – sino all’effettivo saldo; condanno’, altresi’, il Comune al pagamento dell’indennita’ per la mancata fruttificazione nel periodo di occupazione legittima, ragguagliandola all’interesse legale sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, oltreche’ degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalle singole scadenze annuali sino all’effettivo saldo.

2. – Il Comune di Taormina impugno’ tale sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Messina, deducendo che il Tribunale aveva: – violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e 1 pronunciato;

erroneamente determinato l’estensione dell’area occupata in mq. 2279, anziche’ in mq. 1397; – attribuito un valore di mercato eccessivo all’immobile ed applicato un criterio di calcolo erroneo per la determinazione del quantum risarcibile.

In contraddittorio con L.B.G. – succeduta a L.C. M.C. – che resistette al gravame, la Corte adita, con la sentenza n. 318/04 del 19 agosto 2004, in parziale riforma della sentenza appellata, tra l’altro, condanno’ il Comune di Taormina al pagamento: – della somma di Euro 19.473,49, a titolo di risarcimento dei danni per l’occupazione appropriativa; – della somma di Euro 17.703,14, a titolo di indennita’ per l’occupazione legittima;

confermo’ nel resto la sentenza impugnata.

In particolare, la Corte d’appello, per quanto in questa sede ancora rileva: a) in parziale accoglimento dei motivi di appello, ha stabilito che, trattandosi di occupazione appropriativa (e non usurpativa come erroneamente ritenuto dal Tribunale), il danno andava determinato non gia’ in base al valore venale degli immobili, bensi’ applicando a tal fine i criteri riduttivi di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65; b) ha respinto gli altri motivi “appello del Comune di Taormina, accertando l’estensione dell’area occupata in mq.

2285 – sulla base dei concordi rilievi del consulente tecnico d’ufficio e del funzionario responsabile dell’ufficio tecnico del Comune -, e ritenendo che il valore venale unitario dell’immobile, stimato in L. 30.000 al mq era congruo; c) ha determinato l’indennita’ per l’occupazione legittima, ragguagliandola agli interessi legali sulla indennita’ di espropriazione “virtuale”, ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis conv., con mod., dalla L. n. 359 del 1992.

3. — Avvero tale sentenza il Comune di Taormina ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.

Resiste, con controricorso, L.B.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: Omessa o insufficiente motivazione in ordine alla determinazione della superficie occupata ed al rigetto della richiesta di supplemento di consulenza sul punto), il ricorrente critica la sentenza impugnata sostenendo che i giudici dell’appello hanno determinato la superficie del terreno nell’intera estensione (il “terreno”) in seno al quale ha luogo la realizzazione dell’opera pubblica, in tal modo non distinguendo tra superficie per la quale era stato emesso decreto di occupazione e superficie asservita per la quale e’ dovuto il risarcimento del danno.

Con il secondo motivo (con cui deduce: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto), il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui e’ disposta la integrazione del condannatorio per interessi legali a far data dallo scadere del periodo di occupazione legittima e non dalla data della domanda.

2. – Deve dichiararsi, in limine, l’inammissibilita’ del ricorso, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in particolare per mancanza di autosufficienza.

E’ noto che, secondo il costante orientamento di questa Corte, ai fini della sussistenza del requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perche’ il giudice di legittimita’ possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, cosi’ da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi di critica prospettati, con la conseguenza che il ricorso e’ inammissibile, ad esempio, nell’ipotesi in cui non vengano adeguatamente riportate ne’ la ratio decidendi della decisione impugnata, ne’ le ragioni di fatto e di diritto che sostenevano le rispettive posizioni delle parti nel giudizio di merito, ovvero nell’ipotesi in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato, tale mancanza non potendo essere superata ne’ attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, in quanto non ne e’ garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, ne’ attraverso l’esame della esposizione del fatto contenuta nel controricorso, in quanto cio’ e’ impedito appunto dal principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 2831 e 18421 del 2009, 15808 del 2008, 2097 del 2007).

Tanto premesso, dall’esame del ricorso proposto nella specie risulta evidente che in esso mancano del tutto: l’esposizione dei fatti di causa, anche solo come premessa ai due motivi di censura;

l’individuazione della ratio decidendi della sentenza impugnata;

conseguentemente, la specificazione del nesso tra il decisum e le censure proposte le quali, percio’, sono formulate in modo completamente astratto e privo di specificita’ rispetto alla fattispecie.

Da cio’ consegue l’inammissibilita’ del ricorso.

3. – Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

 

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