Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27456 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10398-2019 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliata in ROMA, SALITA DI SAN

NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO

NASO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 958/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La corte di appello di bologna con sentenza n. 958/2018 in parziale accoglimento dell’appello proposto da Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca avverso la decisione del tribunale di Reggio Emilia, aveva respinto la domanda di S.I., appartenente al personale ATA, diretta al riconoscimento del servizio pre-ruolo e dell’inquadramento in difformità della ricostruzione della carriera operata dall’amministrazione al momento della nomina ed aveva poi condannato il MIUR al pagamento delle differenze retributive in relazione all’anzianità di servizio maturata dalla S. per i periodi di impiego svolti a decorrere dall’a.s. 20001-2002.

Avverso detta decisione S. lima proponeva ricorso affidato a 4 motivi.

Il MIUR rimaneva intimato.

Era depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver, la corte territoriale, ritenuto ammissibile il ricorso in appello proposto dal Ministero, pur se privo dei requisiti richiesti dall’art. 342 c.p.c.. In particolare rilevava la mancata indicazione delle parti del provvedimento che intendeva censurare, delle specifiche doglianze proposte e delle modifiche richieste alla corte territoriale.

Il motivo è inammissibile in quanto non contiene il ricorso in appello oggetto della censura, in tal modo non consentendo alla Corte di poterne valutare la eventuale fondatezza.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, la corte territoriale erroneamente ed illegittimamente ammesso l’ingresso di nuove eccezioni sollevate dal Ministero in violazione del principio di divieto di ius novorum in appello di cui all’art. 345 c.p.c.. La ricorrente lamenta l’ampliamento del thema decidendum con riferimento alle eccezioni svolte dal Ministero su elementi di fatto quali la natura e durata rapporti di lavoro tra le parti, il trattamento discriminatorio attuato, l’assenza di ragioni giustificatrici e la quantificazione delle differenze retributive. Rispetto a tali elementi fattuali il Ministero non aveva sollevato eccezioni rispetto alle allegazioni della lavoratrice svolte in primo grado, così dando applicazione al principio di non contestazione. Le eccezioni svolte in sede di gravame erano, pertanto, da ritenersi nova non proponibili in sede di gravame.

Anche tale motivo è inammissibile attesa la carenza di completezza e specificazione dello stesso. Difatti, parte ricorrente, pur lamentando un ampliamento del thema decidendum in sede di appello rispetto al procedimento di primo grado, non allega nel motivo gli atti da cui, eventualmente, evincersi tale difformità.

3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 348 c.p.c in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, il giudice di appello, ritenuto ammissibile il ricorso, anzichè ritenerlo inammissibile per mancata ragionevole probabilità di accoglimento ex art. 348 bis c.p.c.. Il motivo risulta assorbito dalla stessa decisione della corte territoriale.

4) Violazione e falsa applicazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro del lavoro a tempo determinato ed allegato alla direttiva 1999/70/CE in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, la corte d’appello, erroneamente rigettato la domanda relativa alla ricostruzione della carriera in considerazione del servizio pre-ruolo svolto dalla ricorrente, in violazione del diritto comunitario.

Il motivo è fondato.

Questa Corte (Cass. n. 31150 del 28/11/2019), chiamata a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla ricostruzione della carriera del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola, nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, ha evidenziato alcune peculiarità della disciplina dettata per il personale non docente della scuola.

Ha rilevato, in primo luogo, che al personale non docente della scuola non si applica la L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, che, intervenendo sul testo dell’art. 489, ha previsto l’equiparazione all’anno scolastico intero del servizio di insegnamento “se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 10 febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale” ed, invece, si applica un abbattimento che opera solo sulla quota eccedente i primi tre anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale, con l’effetto di penalizzare i precari di lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del servizio.

Ha osservato che la norma, se poteva dirsi non priva di ragionevolezza in relazione ad un sistema di reclutamento (analizzato con la sentenza n. 22552/2016 e altre successive) che per il personale ATA della quarta qualifica funzionale prevedeva l’indizione annuale di concorsi per titoli su base provinciale e la formazione di graduatorie permanenti dalle quali attingere i nominativi dei destinatari della proposta di assunzione con definitiva immissione in ruolo, giustificandosi l’abbattimento oltre il primo triennio in relazione al criterio meritocratico (teso a consentire ai più meritevoli di ottenere la tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e deì provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica), non ha trovato giustificazione in seguito, poichè, come è stato dato atto nelle plurime pronunce della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale e di questa Corte, le immissioni in ruolo non sono avvenute con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha determinato, quale conseguenza, che il personale “stabilizzato”, sia per effetto di interventi normativi che hanno previsto piani straordinari di reclutamento sia nel rispetto delle norme dettate dal T.U., si è trovato per lo più a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui si discute.

Si è anche evidenziato, quanto alla comparabilità degli assunti a tempo determinato con il personale stabilmente immesso nei ruoli dell’amministrazione, che non sussistono ragioni oggettive che sole potrebbero giustificare la disparità di trattamento, non potendosi fare leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego, sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, sulle modalità di reclutamento del personale e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, perchè la giurisprudenza della Corte di Giustizia, richiamata anche nella sentenza 20.9.2018, Motter, è ferma nel ritenere che la giustificazione deve essere fondata su “elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi” e che “possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato… o, eventualmente da una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”.

Peraltro la totale sovrapponibilità delle mansioni espletate dagli assunti a tempo determinato e dai dipendenti stabilmente immessi nei ruoli emerge dalla disciplina dettata dalle parti collettive, perchè tutti i CCNL succedutisi nel tempo non hanno mai operato differenziazioni fra le due tipologie di rapporto quanto all’inquadramento dei lavoratori ed all’espletamento dei compiti propri dell’area, ossia delle “funzioni amministrative, contabili, gestionali, strumentali, operative e di sorveglianza connesse all’attività delle istituzioni scolastiche” (art. 49 CCNL 1995), tenuto anche conto che è lo stesso legislatore a smentire la tesi della non assimilabilità del servizio lì dove riconosce integralmente l’anzianità per i primi tre anni.

Nella citata sentenza, quindi, questa Corte ha stabilito che, una volta esclusa la sussistenza di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento quanto alla valutazione dell’anzianità di servizio, correttamente la Corte territoriale ha disapplicato la norma di diritto interno che prevede l’abbattimento dell’anzianità riconoscibile dopo l’immissione in ruolo perchè la clausola 4 dell’accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell’Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusa l’interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Rosado Santana punti da 49 a 56);

In via conclusiva il motivo deve essere accolto perchè la sentenza impugnata non è conforme al principio di diritto già enunciato da questa Corte nei termini che seguono: “Il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 569 relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell’art. 570 stesso decreto, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi. Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione, l’intero servizio effettivo prestato”.

Deve pertanto accogliersi il motivo, e, ritenuti inammissibili gli altri motivi di censura, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna per la decisione della controversia in applicazione del principio enunciato, ed anche sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo del ricorso, dichiara inammissibili i primi tre motivi; cassa la sentenza con riguardo al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna, diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

 

 

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