Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26518 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27050-2018 proposto da:

T.A.G., rappresentata e difesa dall’avvocato SABRINA

MAUTONE, ed elettivamente domiciliata presso la cancelleria della

Corte di Cassazione, pec: sabrina.mautone.avvocatiavellinopec.it;

– ricorrente –

contro

COMUNE MUGNANO DEL CARDINALE, in persona del Sindaco pro-tempore,

rappresentato e difeso dall’avvocato Ferdinando Quagliata, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Napoli,

via A. De Gasperi n. 55, pec:

ferdinando.quagliata.pecavvocatinola.it; e quindi per legge

domiciliato in ROMA, presso la Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 724/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.La signora T.A.G. convenne, con atto di citazione del 23/3/2011, il Comune di Mugnano del Cardinale davanti al Tribunale di Avellino per sentir accertare il proprio diritto all’erogazione del contributo, previsto dalla L. n. 219 del 1981 per la riparazione dei danni arrecati dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio del 1981 alle unità abitative di sua proprietà facenti parte di un fabbricato sito nel comune convenuto alla (OMISSIS) e per sentir condannare il Comune al risarcimento dei danni derivanti dall’aggravamento delle condizioni dell’immobile e dall’aumento dei costi di costruzione per il ritardo nell’erogazione dei contributi.

2. Il Comune si costituì in giudizio rappresentando che, per il fabbricato di cui facevano parte le unità immobiliari di proprietà della T., erano pendenti due distinte pratiche concernenti i contributi previsti dalla L. n. 219 del 1981 e che per entrambe era stato riconosciuto il diritto al contributo, non ancora erogato per mancanza di risorse finanziarie.

3. Il Tribunale adito, con sentenza n. 347/2015, dichiarò inammissibile la prima delle due domande formulate dalla T., avente ad oggetto il diritto all’erogazione del contributo, per mancanza di interesse ad agire, dal momento che il diritto non era mai stato contestato dal Comune; rigettò la domanda risarcitoria per insussistenza di prova che la mancata erogazione del contributo fosse imputabile al Comune convenuto e compensò le spese.

4. La T. propose appello sostenendo che il giudice di primo grado aveva erroneamente ricostruito la vicenda e rilevato che il suo diritto non era stato contestato con motivazione insufficiente e contraddittoria.

Il Comune si costituì nel giudizio d’appello chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.

5. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 724 del 13/2/2018, ha dichiarato l’inammissibilità del gravame ex art. 342 e 100 c.p.c. per “incongruenza” dei motivi e delle conclusioni rispetto al giudizio di appello, affermando che l’appellante aveva erroneamente concluso per la richiesta di annullamento della sentenza senza formulare domande di merito alternative. Con un obiter dictum la corte territoriale ha affermato che, avendo la T. delegato al Comune la progettazione, l’esecuzione e la gestione dei lavori di riparazione, ciò implicava la rinunzia al contributo, di guisa che il giudice avrebbe dovuto rigettare la domanda perchè infondata. Invece, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la domanda ritenendo che la T. non avesse alcun interesse a proporla poichè il Comune non aveva mai contestato il diritto al contributo, inserendo l’attrice nella graduatoria dei beneficiari e rigettando la domanda solo per non avere l’attrice dimostrato che il Comune avesse le disponibilità finanziarie necessarie per erogare le somme dovute.

6. Avverso la sentenza, che ha dunque sancito l’inammissibilità del gravame, condannando la T. alle spese del grado, la stessa ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi. Ha resistito il Comune con controricorso.

7. La trattazione è stata fissata all’Adunanza Camerale odierna ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo – motivazione insufficiente ed illogica riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. ai sensi dell’art. – 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente censura la sentenza con riguardo alla statuizione di inammissibilità dell’appello, in quanto il giudice del gravame non avrebbe considerato che il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. richiede soltanto l’individuazione delle parti del provvedimento di cui si chiede la riforma e le modifiche richieste/ ma non anche, trattandosi di revisio prioris instatiae, un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.

Ne consegue che sarebbe illegittima la statuizione di inammissibilità dell’appello.

2. Con il secondo motivo – violazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3 e art. 156 c.p.c., comma 3 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – assume che la Corte d’Appello, in contrasto con la declaratoria di inammissibilità dell’appello, abbia invero ben compreso il contenuto delle doglianze, tanto da pronunciare nel merito ritenendo infondata la domanda in base all’erronea tesi che la T., a seguito di delega al Comune della richiesta di contributo, avrebbe rinunciato alla titolarità del medesimo anzichè, eventualmente, alla sola gestione del procedimento di erogazione.

1-2 I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione e sono entrambi inammissibili, per plurimi e distinti motivi.

Preliminarmente va evidenziato che la ricorrente non ha contestato l’applicazione, da parte della Corte d’Appello, dell’art. 100 c.p.c. a supporto della dichiarata inammissibilità dell’atto di appello. Eppure i Giudici hanno, con tutta evidenza, ritenuto inammissibile l’appello perchè irrispettoso non solo dell’art. 342 c.p.c., ma anche dell’art. 100 c.p.c. Nel corpo del ricorso, però, non si rinviene alcuna censura in merito al richiamo dell’art. 100 c.p.c. per cui se ne deve dedurre l’avvenuta acquiescenza sul punto ex art. 329 c.p.c., con la conseguenza che, trattandosi di un motivo assorbente, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse a vedere anche solo parzialmente riformata la sentenza impugnata. E’, in ogni caso, nota l’inammissibilità di una impugnazione avverso solo una di più rationes decidendi autonome, poichè il consolidamento delle altre rende priva di rilevanza la contestazione di una sola.

In secondo luogo i motivi sono del tutto carenti sotto il profilo dell’autosufficienza ex art. 366, n. 4 in quanto la ricorrente ha inammissibilmente cumulato diverse censure sussumibili sotto diverse categorie di vizi di legittimità,rendendo impossibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio e quindi impossibile l’interpretazione e sussunzione delle censure. Le censure sono del tutto prive di autosufficienza anche con riguardo all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, non riportando adeguatamente il contenuto dell’atto di appello da cui desumere l’avvenuta proposizione, con esso, anche delle domande di merito.

Più nel dettaglio quanto al primo motivo,si deve rilevare che on rene un vizio di “motivazione insufficiente ed illogica” non più censurabile in sede di legittimità.

Quanto al secondo motivo, anch’esso contenente un inammissibile richiamo alla contraddittorietà della motivazione, si palesa inammissibile perchè in essa non si rinviene alcun riferimento al contenuto precettivo delle norme asseritarnente violate o al significato ad esse riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, non comprendendosi, in definitiva, le ragioni che determinerebbero l’invocato contrasto tra dette norme (art. 163 c.p.c., comma 3 e art. 156 c.p.c., comma 3) con la sentenza impugnata.

La Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile la domanda in ragione di un’errata e atecnica proposizione della stessa da parte dell’appellante per cui la parte motiva che segue nel corpo della sentenza (ed oggetto di una generica critica nel ricorso) resta assorbita dal motivo esclusivo della declaratoria di inammissibilità dell’appello. Il vizio riguarda affermazioni e valutazioni della sentenza impugnata che non concorrono ad integrare la ratio decidendi o comunque che non hanno spiegato alcuna influenza sulla decisione: argomentazioni ad abundantiam o obiter dictum si coniugano in tale prospettiva senza spiegare alcuna influenza sulla decisione.

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

Non sussistono i presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo, essendo la T. esente dal versamento del medesimo.

PQM

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. E’ esente dal versamento del contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

 

 

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