Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25938 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. II, 16/11/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 16/11/2020), n.25938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20729/2019 proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SASSI,

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 194/2019 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.S. chiese alla Commissione Territoriale di Salerno – Sezione di Campobasso la protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso umanitario.

1.1. Il ricorrente, cittadino proveniente dalla (OMISSIS), aveva lasciato il proprio Paese nel (OMISSIS) dopo che i genitori si erano ammalati di ebola e, pur non essendo stato contagiato, era stato isolato dai compagni di scuola per il timore di contagiare gli altri e costretto ad abbandonare gli studi.

1.1. La domanda venne rigettata in sede amministrativa; l’opposizione fu respinta dal Tribunale ed il provvedimento di diniego venne confermato dalla Corte d’Appello di Campobasso con provvedimento del 21-5-2019.

1.2. Secondo la corte di merito, le motivazioni relative all’espatrio non integravano le previsioni per il riconoscimento dello status di rifugiato; accertava che l’epidemia si era conclusa nel 2016 e che non sussistevano le ipotesi per il riconoscimento della protezione sussidiaria nè di quella umanitaria.

2. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso sulla base di due motivi.

2.11 Il Ministero dell’interno ha depositato un “atto di costituzione”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9 e 11 e successive modifiche, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,9,14 e art. 27, comma 1 bis e successive modifiche, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g) e artt. 3, 5, 7, 14, art. 16, comma 1, lett. b) e art. 19, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla valutazione della vicenda personale del richiedente, alla luce della situazione esistente in Gambia, oltre alla mancanza totale di motivazione. Il ricorrente lamenta, in primis, l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. A ciò si aggiunge la doglianza concernente l’inadempimento, imputabile al Tribunale, del dovere enucleato al D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 35 bis, comma 11, per non aver il Tribunale disposto l’udienza di comparizione e l’audizione del ricorrente, in assenza di videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale.

1.1. Il motivo non è fondato.

1.2. Come risulta testualmente dal decreto impugnato, il Tribunale ha fissato l’udienza di comparizione delle parti poichè in sede amministrativa non era stata effettuata la videoregistrazione. Tale interpretazione è conforme alla lettura, in combinato disposto, del D.Lgs. n. 25 del 2008 e dell’art. 35 bis, commi 10 ed 11, che distinguono, rispettivamente, i casi in cui il giudice può fissare discrezionalmente l’udienza, da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, e, precisamente nel caso di assenza della videoregistrazione, che, secondo le intenzioni del legislatore, è elemento centrale del procedimento in quanto consente al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali (ex multis Cassazione civile sez. VI, 27/09/2019, n. 24112;Cassazione civile sez. I, 28/02/2019, n. 5973; Cassazione civile sez. I, 05/07/2018, n. 17717).

1.3. Ulteriore aspetto, posto in rilievo dal ricorrente e dalla Procura riguarda l’obbligo di audizione del richiedente la protezione internazionale, al fine di assicurare un contraddittorio non meramente cartaceo ma effettivo con la presenza della persona interessata.

1.4. Anche questa censura deve essere disattesa.

1.5. L’obbligo di fissazione dell’udienza di comparizione personale delle in caso di assenza della videoregistrazione non implica necessariamente l’obbligo dell’audizione del richiedente da parte del giudice di merito.

1.6. Anche nella materia della protezione internazionale vige il generale dovere di allegazione delle ragioni per le quali si impugna il provvedimento della Commissione Territoriale.

1.7. Il motivo di ricorso non può esaurirsi nella generica doglianza dell’assenza dell’ascolto personale, che non è previsto nè dalla normativa nazionale nè da quella Euro unitaria.

1.8. Secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 26.7.2017, Moussa Sacko, la necessità che il giudice proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del generale dovere di allegazione previsto dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva 2013/32. Il giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso pendente solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado. La Corte di giustizia ha quindi definito la questione pregiudiziale stabilendo che la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare gli artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione. E’ invece necessario che, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima. In conclusione, secondo la Corte di Lussemburgo, spetta al giudice stabilire la necessità di disporre l’audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva.

1.9. Tale approdo, come rilevato dalla stessa Corte di giustizia, è del resto coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui lo svolgimento dell’udienza non è necessario quando la causa non prospetti questioni di fatto e di diritto che non possano essere risolte sulla scorta del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti (Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede, 37).

1.10. Nel caso di specie, il motivo di ricorso denuncia plurime violazioni di legge senza confrontarsi compiutamente con la motivazione impugnata, limitando le doglianze ad un apodittico diritto all’ascolto e ad un generico dovere di cooperazione istruttoria.

1.1. Nel caso di specie, peraltro, la corte di merito non ha ritenuto che la narrazione fosse priva o carente di credibilità ma ha valutato che le cause che avevano indotto il ricorrente a lasciare il proprio Paese, ovvero l’essere considerato un untore poichè i genitori avevano contratto l’ebola, sono estranee alle ragioni che legittimano il riconoscimento dello status di rifugiato e ad altre forme d’i protezione perchè, dalle informazioni assunte, dal 2016 l’epidemia era cessata.

1.13. Analogo rilievo va esteso alla richiesta della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, avendo il Tribunale richiamato, in conformità al dovere di cooperazione sullo stesso gravante, le fonti internazionale – nella specie il report 2017-2018 di Amnesty International, idonee a dimostrare l’inesistenza di una situazione di conflitto armato interno e/o internazionale nel Paese d’origine del richiedente, nè la censura indica, in modo specifico, elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, attraverso richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire a questa Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (ex multis Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, n. 26728).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Guinea; lamenta che la corte di merito non abbia valutato le condizioni di vulnerabilità ed i rischi connessi al rientro nel Paese di provenienza in considerazione della gravissima crisi economica e della concreta violazione dei diritti umani fondamentali.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Il Tribunale ha escluso la condizione di vulnerabilità per non essere il ricorrente affetto da particolari patologie in quanto l’epidemia di Ebola era cessata; non vi era la prova dell’integrazione in Italia, non essendo, a tal fine, sufficiente l’aver frequentato un corso di studi, nè in Guinea sussisteva una situazione di notevole compressione dei diritti umani.

2.3. La Corte d’appello ha correttamente svolto il giudizio comparativo ed il motivo si risolve in una generica doglianza delle condizioni di sicurezza e di instabilità politica, senza peraltro alcun puntuale riferimento alle fonti internazionali.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

3.1. Non deve provvedersi in ordine alle spese di lite non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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