Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14819 del 18/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 18/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 18/06/2010), n.14819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25775-2006 proposto da:

MOBILIARE & IMMOBILIARE FIORENTINA SRL, in

persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CIPRO 4/V, presso lo studio

dell’avvocato CIPOLLA GIUSEPPE MARIA, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA M. CRISTINA 8, presso lo studio

dell’avvocato GOBBI GOFFREDO, rappresentato e difeso dall’avvocato

STAFFICI ALBERTO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2005 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 21/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CIPOLLA GIUSEPPE MARIA, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato STAFFICI ALBERTO, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di (OMISSIS) notificava alla società Mobiliare ed Immobiliare Fiorentina s.r.l. avvisi di liquidazione aventi ad oggetto l’ICI per gli anni 1997 e 1998 relativa ad immobili costruiti dalla società su area fabbricabile ubicata nel territorio di quel Comune. La società impugnava gli avvisi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, sostenendo la nullità degli stessi sotto vari profili e nel merito la carenza del presupposto impositivo, in quanto i fabbricati privi della certificazione di abitabilità non potevano ad avviso dei ricorrenti ritenersi ultimati ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a); in subordine, instava per la riduzione della imposta ai sensi dell’art. 8, comma 1 dello stesso D.Lgs. per essere gli edifici inagibili o inabitabili.

La Commissione riuniva i ricorsi e li respingeva.

Proponeva appello la società e la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, con sentenza n. 43/3/05 in data 10-5-2005, depositata il 21-6-2005, respingeva il gravame, confermando la decisione impugnata.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società, con tre motivi.

Resiste il Comune con controricorso. La società deposita memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4 ed art. 11, comma 1 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Premette che l’art. 11 del D.Lgs. citato disciplina in modo tassativo le modalità di liquidazione, rettifica ed accertamento dell’imposta da parte del Comune, nel senso che l’ente emette direttamente avviso di liquidazione, ai sensi del comma 1 del detto articolo, ove si limiti a correggere errori materiali e di calcolo della denuncia effettuata dal contribuente, laddove, ove la dichiarazione stessa sia affetta da “infedeltà, incompletezza ed inesattezza” procede in rettifica con avviso di accertamento motivato.

Nel caso di specie, la società aveva presentato una prima dichiarazione nel 1998 riferita al 1996, con cui individuava la base imponibile ICI nel valore catastale degli immobili costruiti sulla area fabbricabile. Successivamente, in data 13 gennaio 2001, rettificava detta dichiarazione, sostenendo che i fabbricati non erano ultimati e quindi non erano soggetti ad ICI, rimanendo tassabile solo l’area fabbricabile su cui gli stessi insistevano. Il Comune procedeva alla liquidazione della imposta con gli avvisi di cui si tratta, emessi posteriormente alla presentazione della rettifica, sulla base della originaria dichiarazione. In tal modo violava te disposizioni di cui sopra, in quanto, avendo il contribuente nella nuova denuncia variato la base imponibile, l’ente avrebbe dovuto procedere con avviso di accertamento motivato.

La Commissione riteneva la rettifica intempestiva e quindi improduttiva di effetti, in quanto il contribuente avrebbe dovuto ad avviso dei giudici di appello presentare tale atto nei termini di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4 già scaduti all’epoca della dichiarazione del 2001. Sostiene in proposito la ricorrente che il termine citato concerne la ipotesi di modificazioni sopravvenute degli elementi relativi alla imposizione a fini ICI degli immobili, laddove nella specie non vi era alcuna modificazione dei dati di fatto, bensì una diversa qualificazione dello status giuridico originario degli immobili medesimi. In tal caso, ad avviso della ricorrente, ai sensi della consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez Un. n. 17394 del 2002) i limiti temporali in cui può essere dato al contribuente dichiarante di fare valere errori ed inesattezze compiuti in proprio danno nella redazione dell’atto possono essere correlati unicamente ai “termini stabiliti nella disciplina del contenzioso tributario per contestare gli atti impositivi per il tramite dei quali gli uffici finanziari abbiano proceduto alla liquidazione delle imposte riscontrate dovute in base alla dichiarazione ed all’avvio della relativa riscossione.” Pertanto doveva ritenersi illegittima la procedura mediante avviso di liquidazione seguita dal Comune posteriormente alla presentazione della rettifica, a seguito della quale l’ente avrebbe dovuto agire con avviso di accertamento, ed errata nonchè insufficientemente motivata la pronuncia della Commissione sul punto.

Con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a) e art. 5, comma 6, della L. n. 10 del 1997, art. 10 degli del D.P.R. n. 425 del 1994, art. 3, comma 1, e art. 4, comma 1 e del D.Lgs. n. 122 del 2005, art. 1, comma 1, lett. d), ex art 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). Espone la ricorrente che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6 deve essere interpretato nel senso che il fabbricato, sebbene “costruito” non debba considerarsi “ultimato” e quindi soggetto ad imposta alla data della dichiarazione di ultimazione lavori,come ritenuto in sentenza, con motivazione peraltro insufficiente, bensì a quella in cui sia stato concesso il certificato di abitabilità.

Sostiene infatti che solo con il rilascio di detto certificato la costruzione può ritenersi ultimata ed idonea all’assolvimento della funzione economica che le è propria; cita a sostegno la normativa urbanistica, secondo cui la mancanza del certificato di abitabilità presuppone la non rispondenza degli immobili alle prescrizioni dettate dalle norme edilizie; la L. n. 10 del 1977 che all’art. 4 prevede la coincidenza della ultimazione dei lavori con la agibilità: e soprattutto il D.Lgs. n. 122 del 2005, (“disposizioni per la tutela patrimoniale degli acquirenti degli immobili da costruire”) che all’art. 1, comma 1, lett. d) stabilisce che per “immobili da costruire” devono intendersi “gli immobili, la cui costruzione non risulti essere stata ultimata, versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità”.

Deduce da tale ultima norma una interpretazione fornita da legislatore valida anche ai fini ICI, per cui gli immobili in oggetto, per i quali fu inviata comunicazione di ultimazione lavori, ma che non hanno ottenuto la certificazione di abitabilità per averla negata il Comune, non possono essere ritenuti ultimati e pertanto soggetti alla imposta.

Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che detta disposizione di legge dispone la riduzione alla metà della imposta ” per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati. Ad avviso della ricorrente, la CTR ha errato nel ritenere che la ipotesi ricorra soltanto in caso di inagibilità sopravvenuta, dovendo a maggior ragione sussistere anche in caso di inabitabilità originaria;

inabitabilità verificata dallo stesso Comune con il rifiuto della relativa certificazione.

Il primo motivo è infondato sulla base degli stessi principi enunciati dalla ricorrente.

E’ infatti incontestato che le modalità di liquidazione della imposta da parte del Comune , tramite semplice avviso di liquidazione od atto di accertamento motivato, disciplinate dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 nel testo vigente “ratione temporis” si riferiscono esclusivamente alla denunce del contribuente presentate ai sensi e nei termini indicati dall’art. 10 dello stesso D.P.R.. Denunce peraltro presentate dalla stessa sulla base del valore catastale degli immobili costruiti.

Ha rilevato in proposito la ricorrente, onde sostenere la irrilevanza del termine di decadenza imposta dall’art. 10 del D.Lgs per le denunce di modificazione dei dati dichiarati, che la dichiarazione di rettifica presentata nel 2003 per gli anni 1996 e successivi, non rientra in tale ultima ipotesi, in quanto non segnala modificazioni sopravvenute, bensì una diversa considerazione dello status giuridico originario degli immobili. Se così è secondo la stessa prospettazione della contribuente, la denuncia in rettifica esorbita dai casi considerati dall’art. 10, e pertanto è inidonea ad imporre alla Amministrazione una condotta conforme ai precetti di cui all’art. 11, riferita dal legislatore alle sole ipotesi considerate nell’articolo precedente.

Deve infatti rammentarsi che il potere di rettifica nel senso sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, è una espressione del principio che la dichiarazione ai fini delle imposte è un atto di scienza e non di disposizione negoziale, per cui il soggetto che l’ha resa è autorizzato a fare valere gli errori eventualmente compiuti in suo danno nella dichiarazione, comunicandoli alla Amministrazione entro il termine di impugnazione degli atti con i quali l’Ufficio finanziario ha proceduto alla liquidazione della imposta tratta da detta dichiarazione. Tale comunicazione, tuttavia, non è idonea ad imporre di per sè una determinata condotta alla Amministrazione (con la assurda conseguenza che la azione impositiva della stessa potrebbe essere bloccata con ripetute rettifiche) ma semplicemente a renderla edotta di circostanze suscettibili di essere liberamente valutate dalla Autorità Amministrativa, con adozione delle misure che questa, nell’ambito della propria dicrezionalità, ritenga adeguate al caso prospettato, nel cui ambito rientra anche la valutazione di irrilevanza delle circostanze dedotte dal contribuente. In tale ipotesi, il contribuente è autorizzato a fare valere le proprie ragioni in sede di contenzioso tributario, senza che possa essergli opposto il contenuto della diversa, originaria dichiarazione; ma non può dolersi, ritenendola omissiva, della mancata valutazione della propria rettifica in fase precontenziosa.

Ne consegue che non è censurabile la condotta della Amministrazione che ha proceduto con avviso di liquidazione, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1993, art. 11 sulla base della dichiarazione originaria, ritenendo irrilevante la rettifica successiva del contribuente, non compresa tra quelle considerate dal precedente art. 10.

La conclusione in diritto della Commissione sul punto deve quindi essere approvata, con correzione della motivazione nel senso di cui sopra ex art. 384 c.p.c..

Anche il secondo mezzo non è fondato.

Secondo la ormai costante giurisprudenza di questa Corte (Ord. n. 5372 del 2009; Cass. n. 24924 del 2008; in fattispecie analoga a questa, Cass. n. 7905 del 2005) il requisito della abitabilità del fabbricato non è richiesto al fine della soggezione alla imposta in esame.

Ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2 il presupposto della imposta è il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli “a qualsiasi uso destinati”. Ai sensi dell’art. 5, comma 1 del D.Lgs. base imponibile della imposta è il valore venale degli immobili di cui alla disposizione citata; detto valore di determina ai sensi dei successivi capoversi dello stesso articolo; in particolare, per i fabbricati iscritti in catasto, sulla base della rendita catastale.

Dalle disposizioni citate discende che l’ICI è una imposta di carattere patrimoniale, legata al valore dell’immobile, che ha come presupposto il possesso del bene a prescindere dalla capacità dello stesso di produrre reddito ed indipendentemente dalla modalità e dalla stessa esistenza di una fruizione economica.

Da ciò deriva che la definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) del D.Lgs. citato (“il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato”) chiara in sè, richiede unicamente per la imponibilità la conclusione dei lavori di costruzione; la eccezione prevista che concerne la “utilizzazione” ove precedente alla ultimazione, non coincide con la abitazione, ma con qualunque uso (“fabbricato comunque utilizzato”); il che si spiega, in quanto la utilizzazione in qualunque forma è una manifestazione di possesso, presupposto della imponibilità ai sensi del citato art. 1.

Da quanto sopra discende che il certificato di abitabilità, che attesta la rispondenza dell’immobile alla caratteristiche igienico- sanitarie richieste per l’uso abitativo dell’immobile, e la sua conformità alla vigenti disposizioni urbanistiche ai detti fini, è ulteriore ed irrilevante rispetto al momento impositivo, che coincide con la giuridica esistenza dell’immobile, qualificata ( salvo per la eccezione citata) dalla idoneità del bene ad essere iscritto in catasto.

Le argomentazioni interpretative contrarie tratte dalla ricorrente da diversi testi di legge non colgono nel segno, in quanto le disposizioni citate hanno diversi ambiti applicativi e si fondano su presupposti di fatto diversi. In particolare, il D.Lgs. n. 122 del 2005 (infatti denominato “disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti degli immobili da costruire …”) è diretto a fornire garanzie agli acquirenti di unità abitative per i quali non è tanto essenziale la mera ultimazione dei lavori, quanto la possibilità concreta di abitare negli immobili, fine che li ha determinati all’acquisto. E’ evidente che in tale ipotesi il legislatore ha ritenuto essenziale per la ultimazione della costruzione il rilascio del certificato di agibilità della stessa, ma è altrettanto evidente la diversa “ratio” che ispira tale testo legislativo, non assimilabile al caso in esame.

Nella fattispecie, non solo è incontestata la esistenza della dichiarazione di ultimazione dei lavori, ma anche la concreta iscrizione in catasto dei fabbricati, elementi sufficienti per la imposizione del tributo. Anche il terzo motivo deve essere disatteso.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 1 è norma agevolativa di carattere speciale, come tale di stretta interpretazione ed insuscettibile di applicazione analogica ed estensiva. Secondo detta disposizione la inagibilità rilevante per la riduzione della imposta deve essere dichiarata dal contribuente ed accertata dal Comune mediante perizia. Da ciò si deduce che si tratta di un fatto modificativo e non originario della stato dell’immobile, e che è necessaria una ben precisa procedura di accertamento, che non può coincidere con il diniego di agibilità da parte del Comune di un immobile di nuova costruzione. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese di questa fase di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione a favore del Comune delle spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2010

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