Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24613 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 04/11/2020), n.24613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27702-2015 proposto da:

FLASH S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA ORIANI n. 85, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TAMBERI, (Studio Legale Di travio),

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO TAMBERI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ESTER ADA VITA

SCIPLINO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA CENTRO S.P.A;

– intimata –

avverso la sentenza n. 483/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/07/2015 R.G.N. 248/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza del 17 dicembre 2013 il Tribunale di Grosseto annullò la cartella esattoriale opposta da Flash Srl, gestrice di una sala per il gioco, e condannò la società al pagamento in favore dell’INPS della minor somma di Euro 53.142,57 “quali contributi e sanzioni ex ENPALS per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007” accertati dalla DPL di Grosseto il 4 maggio del 2007; dichiarò altresì il difetto di legittimazione passiva di Equitalia Gerit Spa;

2. interposto gravame dalla società, la Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 14 luglio 2015, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ridotto il dovuto alla cifra di Euro 32.356,67, escludendo, quanto alle sanzioni, che si trattasse di evasione piuttosto che di omissione contributiva;

3. la Corte ha espresso i seguenti passaggi argomentativi: “dall’accertamento in atti risulta inequivocabilmente che Flash Srl non ha versato i contributi all’ENPALS” ma “all’INPS nella Gestione cd. separata, sul presupposto che si trattasse di lavoratori a progetto”; “è noto, ora, come la contribuzione all’ENPALS sia indifferente alla qualificazione del rapporto, se autonomo o subordinato, ed è noto come la stessa risulti più gravosa rispetto alla cd. gestione separata dell’INPS”; “in punto di fatto si tratta allora di stabilire se per i 26 lavoratori di cui al verbale di accertamento sia dovuta una contribuzione maggiore rispetto a quella versata ed ancorchè dal verbale di accertamento si ricavi che gli ispettori abbiano fondato la maggiore pretesa sulla natura subordinata del rapporto”; secondo il Collegio sussiste “una contestazione che corrisponde al vero e cioè che per quei lavoratori non fossero stati versati i contributi all’ENPALS” e “poichè è irrilevante che si sia trattato di lavoratori subordinati o autonomi, correttamente il giudice di primo grado ha disposto una CTU al fine di accertare la sussistenza di una differenza contributiva”;

4. circa l’eccepita nullità della sentenza di primo grado “per essere stata formata in modo cartaceo e firmata in modo analogico” la Corte fiorentina ha disatteso il motivo di appello perchè “lo stesso appellante non pone in dubbio che il provvedimento provenga dal giudice che lo ha firmato”;

5. la Corte, infine, compensate parzialmente le spese con l’INPS, ha condannato la società “alla rifusione delle spese in favore di Equitalia Centro Spa, convenuta in appello e non legittimata alla causa”;

6. per la cassazione di tale pronuncia ha proposto ricorso Flash Srl con 10 motivi; ha resistito l’INPS (successore dell’ENPALS) con controricorso; non ha svolto attività difensiva l’intimata Equitalia Centro Spa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:

Con il primo si denuncia: “nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine ad una questione decisiva e violazione dell’art. 112 c.p.c. (in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”; si lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso ogni pronuncia sul primo motivo di appello che era incentrato sul fatto che la pretesa dell’Istituto originava dall’accertamento ispettivo che aveva riqualificato i rapporti da autonomi in subordinati, mentre il Tribunale avrebbe affermato la debenza dei contributi per un profilo non dedotto dall’Ente previdenziale;

con la seconda censura, formulata sempre per violazione dell’art. 112 c.p.c., si denuncia che la Corte di Appello sarebbe incorsa nella medesima ultrapetizione del primo grado per aver “affermato l’indifferenza ai fini dei contributi della posizione dei lavoratori ed avendo così pronunciato su un profilo fattuale e giuridico non dedotto dalle parti”;

col terzo motivo si invoca il disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 sostenendo che “la sentenza impugnata è… assolutamente carente di motivazione in diritto” per aver ritenuto “notoria” l’indifferenza a fini contributivi della natura autonoma o subordinata del lavoro oggetto di prestazione nonchè “la maggior gravosità della contribuzione per i lavoratori ENPALS… ma inquadrati nell’INPS”;

per il quarto motivo “la mancata indicazione delle norme di legge applicate, date semplicemente per note” configurerebbe anche “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c.” per mancata specificazione delle ragioni giuridiche della decisione;

il quinto motivo denuncia “violazione e mancata applicazione della L. 8 marzo 1995, n. 335, art. 2 e del D.Lgs. 30 settembre 2003, n. 269, art. 45” per non avere la Corte territoriale applicato le disposizioni richiamate “che prevedono l’iscrizione alla Gestione Separata dell’INPS indistintamente di tutti i collaboratori coordinati e continuativi, sia se appartenenti al sistema ed alla sfera INPS, sia se appartenenti a diversi enti previdenziali e quindi anche all’ENPALS”;

il sesto motivo denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sul motivo di appello che aveva lamentato come il primo giudice non avesse disposto “la sospensione del giudizio ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202 – 1210 stante la pendenza della procedura di cd. stabilizzazione delle posizioni lavorative oggetto della cartella”;

il settimo motivo critica la sentenza impugnata per non aver dichiarato la “nullità della sentenza di primo grado per mancanza della firma del giudice” che, ove correttamente apprezzata dalla Corte fiorentina, avrebbe “comportato la rimessione del giudizio al Tribunale ai sensi dell’art. 161, comma 2, e art. 354, comma 1, codice di rito”;

con l’ottava censura si denuncia ancora nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di gravame che aveva “lamentato l’errata affermazione di carenza di legittimazione passiva della società Equitalia”;

ove una pronuncia dovesse ravvisarsi nel passo della sentenza impugnata che comunque condanna la società alla rifusione delle spese in favore di Equitalia Centro Spa “non legittimata alla causa”, con il nono motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo e con il decimo nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., in entrambi i casi per mancata “indicazione delle ragioni di diritto e giuridiche della decisione”;

2. per il suo carattere pregiudiziale ex art. 383 c.p.c., comma 3, occorre esaminare il settimo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la nullità della sentenza di primo grado, negata in appello, “per mancanza della firma del giudice”;

il motivo, per come formulato, è inammissibile in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata secondo cui la sentenza di primo grado sarebbe stata “formata in modo cartaceo e firmata in modo analogico”; invece il ricorrente sostiene che detta sentenza sarebbe priva della “firma “tradizionale” (analogica)”, in quanto sottoscritta solo digitalmente; ma con tale prospettazione l’istante avrebbe dovuto impugnare la sentenza d’appello per errore di fatto revocatorio e non con il ricorso per cassazione;

in ogni caso la censura non merita accoglimento perchè il provvedimento giudiziale sottoscritto dal giudice con firma digitale non è inesistente, trattandosi di modalità equiparabile alla sottoscrizione manuale (Cass. n. 21285 del 2015) e la firma digitale è equiparata alla sottoscrizione autografa in base ai principi del D.Lgs. n. 82 del 2005, resi applicabili al processo civile dal D.L. n. 193 del 2009, art. 4 convertito dalla L. n. 24 del 2010 (Cass. n. 22871 del 2015); inoltre, sulla scorta dell’insegnamento di Cass. SS.UU. n. 11021 del 2014, la firma digitale apposta ad un documento che si assume essere stato formato in cartaceo (ma il corpo del motivo non contiene neanche la trascrizione del contenuto della sentenza di primo grado) non sarebbe in ogni caso “mancante”, ma al più “insufficiente”, con esclusione della radicale nullità di cui all’art. 161 c.p.c., comma 2 e possibilità comunque di ascrivere la sentenza al giudice che l’ha pronunciata, come ha fatto il giudice d’appello, in coerenza con il principio di razionalità e di ragionevole durata del processo (v. pure Cass. n. 7546 del 2017);

3. i primi due motivi di ricorso, da valutarsi congiuntamente in quanto lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. per profili connessi, risultano infondati;

la violazione del canone della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. ricorre, oltre all’ipotesi di omessa pronuncia su di una domanda o su di una eccezione di merito, come vizio di ultra ed extra petizione, solo quando il giudice pronunzia oltre i limiti delle domande e delle eccezioni non rilevabili d’ufficio fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi, resta libero di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronunzia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta osservanza della legge, che il giudice deve conoscere e applicare (art. 113 c.p.c.);

avuto specifico riguardo alle circostanze di fatto che possono essere poste a fondamento di una domanda o di una eccezione, affinchè la modifica o la sostituzione di tali fatti possa concretare la violazione dell’art. 112 c.p.c. è necessario che i medesimi abbiano natura costitutiva della fattispecie integrante la domanda o l’eccezione; di talchè introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, si alteri l’oggetto sostanziale dell’azione o dell’eccezione ed i termini della controversia;

ciò posto va ricordato che, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’opposizione contro la cartella esattoriale di pagamento emessa per la riscossione di contributi previdenziali dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti e obblighi inerenti al rapporto contributivo, tanto che l’ente previdenziale convenuto può chiedere, oltre che il rigetto dell’opposizione, anche la condanna dell’opponente al pagamento del credito di cui alla cartella, senza che ne risulti mutata la domanda (cfr. Cass. n. 3486 del 2016; Cass. n. 23600 del 2009; Cass. n. 5763 del 2002);

deriva che, a fronte del giudizio di cognizione introdotto con l’opposizione della società, il giudice adito non ha omesso la pronuncia, avendo deciso con la condanna al pagamento di una somma inferiore a quella portata dalla cartella, nè è andato ultra petita, pronunciandosi, come richiesto, sulla esistenza dell’obbligo inerente il rapporto contributivo con I’ENPALS sulla base del dato di fatto, acquisito sin dall’origine del giudizio, che i contributi non erano stati versati a detto ente bensì alla cd. gestione separata dell’INPS e ritenendo irrilevante la circostanza che si trattasse di lavoratori subordinati o collaboratori coordinati e continuativi;

4. parimenti infondati il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con cui ci si duole, nella sostanza, che la Corte di Appello non avrebbe indicato “le ragioni giuridiche della decisione”, invocando sia il n. 4 che il n. 5 dell’art. 360 c.p.c.;

è appena il caso di rammentare (ex aliis, Cass. n. 28663 del 2013 e Cass. n. 2313 del 2010) che la mancanza di motivazione su una questione di diritto – e non di fatto – è irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame;

già le Sezioni unite di questa Corte nel 2008 (sent. n. 28054 del 25 novembre 2008) avevano statuito che il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacchè – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata; principio più di recente esteso dalle Sezioni unite anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. SS.UU. n 2731 del 2017);

5. per analoghe ragioni devono essere respinti gli ultimi tre motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente in quanto riguardano la questione della legittimazione passiva del concessionario della riscossione, con cui si critica la sentenza impugnata per avere omesso la pronuncia sul motivo di gravame con cui si sosteneva che “l’agente della riscossione è litisconsorte necessario” e, comunque, per non avere spiegato le “ragioni di diritto e giuridiche della decisione” sul punto;

invero la Corte territoriale non ha affatto omesso la pronuncia quanto alla legittimazione passiva del concessionario della riscossione, atteso che ha confermato la sentenza di primo grado, affermando espressamente il difetto di legittimazione passiva di Equitalia Centro Spa e condannando la società al pagamento delle spese di lite in favore di quest’ultima evocata in giudizio;

la mancanza, poi, della motivazione in diritto di tale statuizione può essere integrata con il principio espresso di recente da questa Corte secondo cui: “in tema di riscossione dei contributi previdenziali mediante iscrizione a ruolo, nel giudizio proposto dal debitore con le forme dell’opposizione all’esecuzione per l’accertamento negativo del credito risultante dall’estratto di ruolo non è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra l’ente creditore e il concessionario del servizio di riscossione, dovendosi attribuire alla chiamata in causa del concessionario prevista dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, il valore di una mera “litis denuntiatio”, intesa a rendere nota la pendenza della controversia ed estendere gli effetti del futuro giudicato; nè trova applicazione il D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39 trattandosi di norma eccezionale che prevede a carico del concessionario l’onere di chiamare in causa l’ente creditore solo quando si discuta di vizi formali degli atti esecutivi e, al contempo, del merito della pretesa creditoria” (v. Cass. n. 16425 del 2019, resa in seguito alla ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 19680 del 2018, che aveva sollecitato l’intervento nomofilattico della Sezione Quarta finalizzato alla verifica della sussistenza della legittimazione dell’Agente della riscossione, quale litisconsorte necessario, nelle controversie aventi ad oggetto un debito di contributi soggetti a riscossione mediante iscrizione a ruolo);

6. il quinto motivo – con cui si assume che, “essendo i lavoratori di cui alla presente causa incontestabilmente lavoratori autonomi e segnatamente appunto collaboratori coordinati e continuativi, l’unico obbligo previdenziale per gli stessi previsto era quello della loro iscrizione alla cd. gestione separata speciale istituita presso l’INPS”, per cui sarebbe errata la conclusione della Corte territoriale in base alla quale “per i collaboratori coordinati e continuativi Enpals i corrispondenti contributi previdenziali devono essere versati in misura eguale a quella dei lavoratori dipendenti invece che in quella prevista per la Gestione separata” – è infondato;

opportuna una sintetica ricognizione del quadro normativo;

ai sensi del D.Lgs.C.P.S. 16 luglio 1947, n. 708, art. 2 (disposizioni concernenti l’Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo), ratificato, con modificazioni, nella L. 29 novembre 1952, n. 2388, “l’ente provvede nei limiti e con le modalità previste dal presente decreto: A) all’assistenza in caso di malattia a favore degli iscritti e dei loro familiari; B) alla concessione di prestazioni per i casi di vecchiaia e di invalidità e per i superstiti”; il successivo art. 3, comma 1, dello stesso decreto, statuisce che “sono obbligatoriamente iscritti all’Ente tutti gli appartenenti alle seguenti categorie” elencando una serie di figure professionali; pertanto nel settore dello spettacolo l’obbligo assicurativo nasce per effetto dello svolgimento di una delle attività artistiche, tecniche o amministrative analiticamente individuate nella disciplina di settore, non venendo in rilievo l’attività svolta e l’inquadramento previdenziale del datore di lavoro;

nel D.Lgs. n. 708 del 1947, stesso art. 3 come ratificato, al comma 2 si legge che “con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, l’obbligo della iscrizione all’ente potrà essere esteso ad altre categorie di lavoratori dello spettacolo non contemplate dal precedente comma”; in applicazione di detta norma, l’obbligo assicurativo presso l’ENPALS è stato progressivamente esteso ad altre figure professionali che erano invero estranee alla nozione di spettacolo in senso stretto, valorizzandosi la finalità di destinazione della prestazione all’intrattenimento, in senso lato (in termini, Cass. n. 11377 del 2020);

il D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 182, art. 2, comma 1, ha poi previsto la distinzione in tre gruppi dei lavoratori dello spettacolo, ai fini dell’individuazione dei requisiti contributivi e delle modalità di calcolo delle contribuzioni e delle prestazioni e il decreto ministeriale 10 novembre 1997, in attuazione della delega conferita dal D.Lgs. n. 182 del 1997, citato art. 2 ha individuato le categorie dei soggetti assicurati al fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo istituito presso l’ENPALS da inserire, rispettivamente, nei summenzionati tre gruppi;

sulla scorta del D.Lgs. n. 708 del 1947, art. 3, comma 2, secondo periodo, come sostituito dalla L. n. 289 del 2002, art. 43, comma 2, che conferisce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il potere di integrare o ridefinire con decreto la distinzione in tre gruppi dei lavoratori dello spettacolo, il D.M. 15 marzo 2005 ha infine rimodulato la composizione dei citati tre gruppi, come individuati dal D.Lgs. n. 182 del 1997, senza alcuna distinzione tra prestazione di lavoro subordinato o autonomo;

invero la complessa disciplina è stata interpretata, sin dall’origine, nel senso che “il legislatore,…, ha voluto predisporre una tutela previdenziale ad ampio raggio, non diversa da quella elargita ai lavoratori dipendenti, a vantaggio di categorie di lavoratori esplicanti la loro attività nel settore dello spettacolo e in relazione ai quali non sempre è possibile distinguere se l’attività dai medesimi espletata sia di lavoro subordinato o di lavoro autonomo (e senza, quindi, che sia necessario previamente accertare la natura, autonoma o subordinata, dell’attività prestata)” (così Cass. SS.UU. n. 581 del 1999; tra le numerose successive conf. Cass. n. 2109 del 2000 e 1930 del 2002);

l’intuizione originaria e lungimirante del legislatore dell’epoca, assecondata dal descritto orientamento di legittimità, evidentemente sul presupposto “degli esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell’art. 2094 c.c.” tanto più per lavoratori “operanti in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione” (come più recentemente sottolineato da Cass. n. 1663 del 2020 a proposito della nota vicenda dei “riders”), ha generato una tutela assicurativa e previdenziale omogenea per i prestatori individuati dall’appartenenza alle categorie descritte, prescindendo dalla qualificazione dell’attività come autonoma o subordinata in un campo in cui il confine è labile;

il D.M. 15 marzo 2005 colloca espressamente nel gruppo B gli “impiegati e operai dipendenti dalle case da gioco, sale scommesse, sale giochi, ippodromi, scuderie di cavalli da corsa e cinodromi”;

pertanto gli addetti alle “sale gioco”, indipendentemente dalla natura della loro prestazione, sono assoggettati alla contribuzione prevista per i lavoratori dello spettacolo e dello sport, che ha carattere di specialità, in ragione della peculiarità delle prestazioni lavorative e dell’assenza di continuità, rispetto alla generalità dei lavoratori iscritti all’INPS e quindi non è applicabile, neanche quanto alla misura, la disciplina della cd. Gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, la quale è esclusa tutte le volte in cui vi è un obbligo di iscrizione ad altra cassa previdenziale suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale;

7. residua, da ultimo, il sesto motivo che non merita condivisione;

va premesso che il mancato esame, da parte del giudice di merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; più di recente, Cass. ord. n. 321 del 2016; conf. Cass. n. 25154 del 2018), per cui non è configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. per la mancata “sospensione del giudizio” richiesta ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 1202 – 1210;

inoltre la censura difetta di specificità, in quanto non riporta i contenuti dei documenti sui quali si fonda (in particolare l’accordo sindacale del 28 aprile 2007) nè deduce l’esistenza degli altri presupposti per il completamento della procedura di stabilizzazione prevista dalla disciplina richiamata e che legittimerebbero la sospensione;

8. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore dell’INPS; nulla va disposto per le spese in favore dell’intimata Equitalia Centro Spa che non ha svolto attività difensiva;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’INPS liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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