Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24565 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. I, 04/11/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 04/11/2020), n.24565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13067/2019 proposto da:

H.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Cassiodoro N

1/a, presso lo studio dell’avvocato D’amico Luigia, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Rivadossi Loredana;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1468/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata

il 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/09/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brescia, con decreto depositato il 25.03.2019, ha rigettato la domanda di H.S., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.

Il giudice di merito ha, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non attenendo i fatti narrati a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche, etc. secondo quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (il richiedente aveva riferito di essersi allontanato dal (OMISSIS) in quanto ingiustamente accusato dell’omicidio del proprio cugino, fatto per il quale nel paese d’origine potrebbe essere condannato a morte e comunque ad un lungo periodo di carcerazione preventiva in assenza di un giusto processo).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza, sia in relazione alla mancanza di credibilità del suo racconto, sia per l’insussistenza in (OMISSIS) della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione H.S. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8 nonchè la contraddittorietà della motivazione.

Espone il ricorrente di aver assolto, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale all’onere probatorio di provare i fatti che hanno determinato la sua fuga dal (OMISSIS) nonchè i rischi cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, avendo depositato documentazione a supporto.

Lamenta che il Tribunale è venuto al dovere di collaborazione e cooperazione nella ricerca degli elementi a sostegno della domanda dallo stesso presentata – con riferimento alla sua allegazione di essere stato rapito e sequestrato in Libia dal gruppo (OMISSIS) – formulando il giudizio di inattendibilità del suo racconto in palese violazione dei principi di legge.

2. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame e/o interpretazione di elementi decisivi della controversia rilevanti per la decisione oggetto di discussione tra le parti, la contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge in materia di valutazione delle dichiarazioni del richiedente.

Lamenta il ricorrente che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che la denuncia penale tradotta, e prodotta con la memoria del 4.10.2018, costituisse la reale prova del suo motivo dell’espatrio, non avendola mai lo stesso ricorrente qualificata come tale.

Rileva che anche se in alcuni dei documenti prodotti il nominativo della persona oggetto di denuncia era diverso da quello dello stesso richiedente, era comunque indubbio che si trattasse della stessa persona.

Il giudice di merito era pervenuto al giudizio di non veridicità delle sue dichiarazioni per valutato con superficialità i riscontri probatori sottoposti al suo esame, riportando non fedelmente nel decreto le sue dichiarazioni e ravvisando delle contraddizioni nel suo racconto insussistenti, non tenendo comunque della sua difficoltà di esporre i fatti in modo logico ed ordinato a causa del suo analfabetismo.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni in tema del riconoscimento dello status di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Lamenta il ricorrente di aver provato – attraverso il rapporto di polizia tradotto e prodotto con la memoria del 4.09.2018 – di essere esposto al rischio di essere arrestato dalla polizia e di poter essere sottoposto alla pena di morte o quantomeno a trattamenti disumani e degradanti, con la conseguenza che ha diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o almeno alla concessione della protezione sussidiaria.

In subordine, ritiene di aver diritto alla protezione umanitaria, trovandosi in una condizione di vulnerabilità sia per la grave instabilità politica esistente in (OMISSIS), sia per i rischi già sopra rappresentati.

4. Tutti e tre i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va, in primo luogo, osservato, che il ricorrente, con l’apparente doglianza delle violazioni di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale di Brescia, non fa altro che svolgere mere censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice bresciano ed una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dallo stesso giudice.

In particolare, con riferimento alla documentazione prodotta dal ricorrente con la memoria del 4.09.2018, il giudice di merito ha evidenziato la difformità tra le generalità del soggetto nei cui confronti sarebbe stata presentata la prima denuncia (tal Ho.Sa.) e quelle dell’imputato ( H.S.) e comunque la diversità della vicenda in essa rappresentata, circostanza quest’ultima confermata, peraltro, dallo stesso richiedente che ha dedotto in ricorso (pag. 8) che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che la denuncia penale tradotta, e prodotta con la memoria del 4.10.2018, costituisse la reale prova del suo motivo dell’espatrio, non avendola mai lo stesso ricorrente qualificata come tale.

Il Tribunale di Brescia è quindi pervenuto alla conclusione coerente e quindi immune da vizi logici che o tutta la documentazione prodotta in giudizio dal ricorrente era irrilevante, non essendo riconducibile a quest’ultimo, ovvero, se pur riguardando il ricorrente era relativa a vicenda diversa dall’omicidio del cugino, corroborava comunque l’infondatezza del timore del richiedente di far ritorno in patria in relazione a tale fatto familiare.

Non vi è dubbio che il Tribunale di Brescia, con le considerazioni sopra illustrate, abbia pienamente preso in esame la documentazione già prodotta con la memoria del 4.09.2018, con conseguente palese infondatezza della doglianza con cui è stato dedotto l’omesso esame della medesima.

Il ricorrente ha, in realtà, come sopra già evidenziato, svolto un’evidente doglianza di merito, censurando la valutazione del materiale probatorio compiuta dal giudice di merito (ritenendola erronea, insufficiente e superficiale) e prospettandone una lettura alternativa, così come chiaramente di merito è la contestazione del richiedente di aver assolto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, al proprio onere probatorio in ordine ai fatti costitutivi della domanda di protezione.

E’ pure inammissibile la censura con cui il ricorrente rimprovera al giudice di merito di aver violato i criteri legali nella valutazione delle sue dichiarazioni.

In proposito, va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato (vedi pagg. 5 e 6 del decreto impugnato) le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile, consistenti, per lo più, in evidenti divergenze riguardanti la sua vicenda tra la versione dei fatti resa innanzi alla Commissione Territoriale e quella fornita in sede giudiziale ed aventi ad oggetto, in particolare, le circostanze che avevano condotto alla morte del cugino ed al luogo in cui si trovava in quel momento lo stesso ricorrente.

Il richiedente non ha minimamente allegato un eventuale grave vizio motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione, non confrontandosi minimamente con la valutazione di inattendibilità e non credibilità del suo racconto effettuata dal giudice di merito, limitandosi a negare le divergenze evidenziate dal giudice di merito, giustificando le anomalie del suo racconto con la sua scarsa istruzione.

Infine, infondata è la censura che il giudice di merito sarebbe venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, non considerando il ricorrente che questa Corte ha più volte statuito che qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – analogo discorso vale per il pericolo di “danno grave” – salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. ancora, fra le altre, Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 e n. 14006; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito (S.P.A.D.).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

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