Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23014 del 21/10/2020
Cassazione civile sez. I, 21/10/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 21/10/2020), n.23014
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 12300/2019 r.g. proposto da:
K.I., (nato in (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta
procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Massimo
Gilardoni, con cui elettivamente domicilia presso la cancelleria
della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del
Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI BRESCIA depositato il 26/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/09/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. K.I., nativo del Senegal, ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo di merito, preceduto dalla preliminare richiesta a questa Corte di sollevare una duplice questione di legittimità costituzionale, avverso il “decreto” del Tribunale di Brescia del 26 febbraio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne inattendibile il racconto del richiedente protezione, e, comunque, che i motivi da lui addotti a sostegno delle sue richieste non ne consentissero l’accoglimento.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le prospettate questioni di costituzionalità riguardano l’asserita illegittimità: i) del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui prevede per il ricorso in Cassazione il termine di giorni trenta a decorrere dalla comunicazione, a cura della cancelleria, del decreto di primo grado; ii) del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3-septies, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2 e art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui prevede che il procedimento è definito con decreto non reclamabile entro sessanta giorni dal ricorso.
1.1. L’unico motivo di ricorso denuncia “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, con particolare riferimento al mancato riconoscimento dell’autonoma rilevanza giuridica, ai fini del rilascio del permesso umanitario, alla condizione di estrema povertà dello straniero nel Paese di origine, poichè tale condizione compromette, in modo radicale, il “raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa” alla luce delle enunciazioni di cui alla sentenza della Corte di cassazione n. 4455 del 2018″.
2. Entrambe le descritte eccezioni di illegittimità costituzionale sono manifestamente infondate.
2.1. Infatti, circa la prima, questa Corte ha già ripetutamente affermato che “la previsione del termine di 30 giorni per il ricorso per cassazione, a far data dalla comunicazione del decreto, rientra senza dubbio nell’ambito della discrezionalità del legislatore, e trova giustificazione in esigenze di urgenza, analoghe a quelle che lo stesso legislatore ha reputato sussistenti in diverse fattispecie (v., per esempio, L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 17, comma 2; L. Fall., art. 99, u.c.)” (cfr. Cass. n. 17717 del 2018, e, successivamente, ex multis, Cass. nn. 46-49 del 2020); con riguardo alla seconda, la medesima Corte ha reiteratamente chiarito che “non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado” di merito, tanto più che il procedimento giurisdizionale è qui preceduto da una fase amministrativa avanti alle Commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (cfr. Cass. n. 27700 del 2018, e, successivamente, ex aliis, Cass. n. 30756 del 2019; Cass. n. 32433 del 2019; Cass. nn. 33503-33506 del 2019; Cass. nn. 46-49 del 2020).
3. La doglianza di cui al formulato motivo di merito è, invece, inammissibile.
3.1. Invero, – anche a volersi sottacere la circostanza che la conclusioni dell’odierno ricorso (nell’invocare la cassazione del decreto impugnato “con rinvio per un nuovo esame nel merito, (…), ovvero, qualora si ritenga di disporre di elementi sufficienti per decidere nel merito circa le questioni prospettate, (…), accogliendo la richiesta del ricorrente di ottenere il riconoscimento dello status della protezione sussidiaria, con ogni consequenziale statuizione”), non appaiono allineate al tenore dell’unica censura formulata, che investe, come si è visto, il diniego della sola protezione umanitaria – la semplice lettura del provvedimento oggi impugnato, nella parte in cui, con motivazione affatto esaustiva, ha negato al ricorrente il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), consente agevolmente di escludere che il Tribunale di Brescia sia incorso nel vizio ascrittogli, dovendosi qui solo ricordare che le ragioni di vulnerabilità idonee a giustificare il rilascio del permesso suddetto devono riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente venendo in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti. E’ chiarissimo, del resto, sul punto, anche l’opinione delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 13.11. 2019), secondo cui “Non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304)”.
3.2. Nella specie, il tribunale bresciano, con accertamenti evidentemente di natura fattuale, ha negato il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria assumendo (cfr. amplius, pag. 6 del decreto impugnato) che “il ricorrente non si trova (..) in una condizione di vulnerabilità soggettiva, nè oggettiva. Da un punto di vista soggettivo, infatti, il richiedente è un giovane uomo in buone condizioni di salute e con piena capacità lavorativa. Nel Paese di origine lo stesso ha ancora parenti (quanto meno la sorella e lo zio che aveva contestato il parente asserito agente persecutore). Di contro, in Italia, il ricorrente non ha alcuna struttura di supporto, al di là del centro di accoglienza, nè, comunque, la fattiva volontà di inserimento nel contesto sociale del nostro Paese, effettuato nei mesi tra la richiesta di protezione internazionale ed il suo rigetto, può sicuramente essere elemento da solo idoneo a giustificare il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non delineando, di per sè stesso, una situazione di “vulnerabilità”, nè la necessità di tutela di diritti umani fondamentali. Dal punto di vista della vulnerabilità oggettiva (…), le condizioni del Senegal escludono la sussistenza di un’emergenza umanitaria e comunque non autorizzano il generico rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.
3.2.1. Posto, allora, che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 27336 del 2018), a fronte dell’accertamento compiuto dal giudice di merito sarebbe stato onere del ricorrente – rimasto, invece, inosservato – addurre quali fattori di vulnerabilità, diversi da quelli specificamente ponderati dal tribunale, aveva specificamente allegato al fine di circostanziare la propria domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria.
3.2.2. In definitiva, quanto oggi esposto dal K., argomentando la censura in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettata come vizio di violazione di legge – in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzionato tribunale: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).
4. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2020