Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11984 del 17/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 17/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 17/05/2010), n.11984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE A.S.L. A.T. (già A.S.L. (OMISSIS) di

(OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio

dell’avvocato CARLETTI FIORAVANTE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LOMBARDI SERGIO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato SPINOSO ANTONINO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOPPINO GIANFRANCO,

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1304/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/07/2005 R.G.N. 730/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE PICONE;

udito l’Avvocato LOMBARDI SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per l’accoglimento, per quanto di

ragione, del terzo motivo del ricorso.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione definisce gli appelli dell’Azienda sanitaria locale n. (OMISSIS) di (OMISSIS) e della dipendente F.R., rispettivamente principale e incidentale, avverso la decisione del Tribunale di Asti – giudice del lavoro – in data 27.5.2004, con la quale, in parziale accoglimento della domanda della F., era stato accertato il diritto della dipendente all’assegnazione di mansioni inerenti alla qualifica di dirigente sanitario e l’amministrazione datrice di lavoro condannata al risarcimento del danno da demansionamento in Euro 55.000,00. La Corte di appello di Torino rigetta l’appello principale ed accoglie quello incidentale, dichiarando l’illegittimità del trasferimento disposto dall’Asl in data 29.1.2001.

2. Il rigetto dell’appello principale è motivato con l’accertamento che la F., con la qualifica di dirigente sanitaria riconosciuta dall’Asl., svolgeva, accanto a compiti amministrativi (prenotazione visite) anche attività lavorative inerenti alla professionalità di chimico fino al trasferimento al servizio farmaceutico (dalla fine di gennaio 2001), nell’ambito del quale era stata addetta a mansioni esclusivamente amministrative e di livello esecutivo. Il danno da demansionamento, poi, era stato correttamente liquidato in via equitativa dal giudice di primo grado in base alla durata dell’adibizione a mansioni inferiori ed in una percentuale della retribuzione.

3. L’accoglimento dell’appello incidentale si fonda sul rilievo che la motivazione del trasferimento con la “riduzione di parte dell’attività lavorativa svolta”, non giustificava in maniera adeguata il provvedimento.

4. Il ricorso dell’Asl si articola in tre motivi; resiste con controricorso F.R..

Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso è censurata la statuizione relativa all’illegittimità del trasferimento. Si sostiene che la sentenza impugnata, nel ritenere, da una parte, che la riduzione di attività si era già verificata negli anni 1998-1999 e, dall’altra, che il lavoro relativo alla prenotazione delle visite degli apprendisti e minori impegnava la F. solo per la metà dell’orario, mentre per il resto si occupava di consulenze ed analisi del rischio chimico, settore che non risultava aver subito riduzioni, aveva individuato ragioni di illegittimità del provvedimento di trasferimento 26.1.2001 – motivato con riferimento alla “riduzione di parte dell’attività lavorative” – non dedotte dalla lavoratrice ed estranee alle prospettazioni delle parti, con violazione degli artt. 2103 e 2697 c.c. e vizio di motivazione in relazione agli artt. 112, 115, 116 c.p.c..

1.1. Il motivo è palesemente destituito di fondamento.

Premesso che non costituisce oggetto di censura la riconduzione, operata dal giudice del merito, dell’assegnazione della F. al servizio farmaceutico ad una fattispecie di “trasferimento”, si osserva quanto segue.

E’ vero che il provvedimento di trasferimento non è soggetto ad alcun onere di forma e non deve necessariamente recare l’indicazione dei motivi, nè il datore di lavoro ha l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, fermo l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato (vedi Cass. 5 gennaio 2007, n. 43). Ciò implica naturalmente la possibilità per il datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’accertamento dell’ingiustificatezza del trasferimento, di integrare, o anche modificare, la motivazione enunciata nel provvedimento; ma è incontestato che, a norma dell’art. 2103 c.c. (nel testo modificato dalla L. n. 300 del 1970), incombe sul datore di lavoro l’onere di provare le ragioni che hanno determinato il trasferimento; datore di lavoro che non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (vedi Cass. 11 novembre 1998, n. 11400).

1.2. Pertanto, la sentenza impugnata si è attenuta al principio secondo cui tutti gli oneri di allegazione e di prova in tema di contestazione giudiziale della legittimità del trasferimento gravano sul datore di lavoro ed ha conseguentemente accertato, con motivazione sufficiente e logica, che la riduzione di attività non costituiva ragione sufficiente per giustificare il trasferimento, sia perchè si era verificata già in epoca anteriore al provvedimento, sia perchè concerneva esclusivamente l’organizzazione di natura amministrativa, ma non i compiti professionali svolti dalla F. ed inerenti alla qualifica dirigenziale.

2. Con il secondo motivo si contesta la legittimità, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (artt. 1175, 1464, 2103 e 2697 c.c.; artt. 112, 115 e 116 c.p.c.) e del vizio di motivazione, della decisione relativa all’avvenuta assegnazione della F. a mansioni inferiori rispetto alle ultime esercitate. Si deduce che la lavoratrice era da tempo addetta prevalentemente a compiti di natura amministrativa e di carattere esecutivo (prenotazioni visite), mentre l’attività professionale di chimica laureata era del tutto marginale; di conseguenza, presso il servizio farmaceutico, le erano state assegnate mansioni diverse ma equivalenti professionalmente a quelle espletate in precedenza.

2.1. Anche questo motivo non può trovare accoglimento. Le argomentazioni della ricorrente Asl, senza muovere specifiche censure di omessa, insufficiente o illogica motivazione, si contrappongono direttamente all’accertamento di fatto compiuto dalla sentenza impugnata sulla base degli elementi acquisiti al processo (in particolare, prova per testi), secondo cui l’attività di tipo professionale, corrispondente alla qualifica rivestita, era svolta dalla F. con continuità e per circa la metà della giornata lavorativa, mentre presso il servizio farmaceutico era stata addetta interamente a compiti di natura amministrativa e di contenuto esecutivo, tali da pregiudicare la professionalità specifica di cui era in possesso.

3. Il terzo motivo di ricorso attiene al riconoscimento del danno da dequalificazione e denuncia la violazione degli artt. 115, 116, 414 e 420 c.p.c., in relazione agli art. 2697 c.c., art. 432 c.p.c. e art. 1226 c.c..

Afferma la ricorrente che il danno era stato ritenuto in re ipsa, senza che la lavoratrice avesse assolto all’onere di allegare i pregiudizi subiti con la dequalificazione e di provarne la sussistenza. Richiama al riguardo i principi di diritto enunciati dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte n. 6572 del 24 marzo 2006.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata premette che l’appellante principale aveva censurato la sentenza di primo grado perchè la liquidazione dei danni era stata “sproporzionata e non ancorata a parametri oggettivi” e in relazione a tale censura motiva rilevando che il periodo cui riferire il pregiudizio coincideva con quello di adibizione alle mansioni inferiori e che la quantificazione era stata operata in via equitativa in base ad una percentuale della retribuzione.

In questa sede, la ricorrente non muove alcuna critica all’operata delimitazione del thema decidendum, tale da collocare fuori delle questioni dibattute nel giudizio di appello il problema se il danno da dequalificazione debba ritenersi in re ipsa ovvero necessiti di specifiche allegazioni e di prova da fornirsi dal danneggiato. La contestazione dell’ai debeatur, pertanto, in luogo di quella limitata al quantum, deve ritenersi non sottoposta al giudice del merito e sollevata, inammissibilmente, solo dinanzi al giudice della legittimità.

4. Consegue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di Cassazione, nella misura determinata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di Cassazione, liquidate le prime in Euro 15,00 oltre spese accessorie, iva e cpa, ed i secondi in Euro 3000,00 (tremila/00).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2010

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