Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20870 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 30/09/2020), n.20870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6570/2016 proposto da:

F.P., F.T., elettivamente domiciliati in ROMA,

V.LE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

TEPEDINO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARCO DE CRISTOFARO, VITTORIO VANGELISTA;

– ricorrenti –

contro

IMMOBILIARE FR. SAS, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSSELLA REPETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 201/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso;

udito l’Avvocato Marco DE CRISTOFORO, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti difensivi depositati e insiste per

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Massimo LETIZIA, con delega orale dell’Avvocato

REPETTI Rossella, difensore della resistente che si riporta agli

scritti difensivi depositati e chiede il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I sigg. F.T. e F.P., quest’ultimo in qualità di erede della sig.ra S.F., hanno proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’appello di Brescia, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale di Brescia, sez. distaccata di Breno, ha dichiarato risolto, per inadempimento della parte acquirente all’obbligo di integrale pagamento del prezzo, il contratto del 22.3.2001 con cui la società Immobiliare Fr. s.a.s. aveva venduto ai coniugi F.T. e S.F., con patto di riservato dominio, una casa in Comune di (OMISSIS) per il prezzo pattuito di Lire 892.727.000, oltre IVA; altresì condannando i compratori alla restituzione dell’immobile ed al versamento di Euro 91.800,00 – a titolo di indennità ex art. 1526 c.c. – in favore della società venditrice.

In fatto, per quanto qui interessa, i coniugi F. – S. – convenuti in giudizio dall’Immobiliare Fr. s.a.s. per sentir dichiarare risolto, per loro inadempimento, il suddetto contratto di compravendita immobiliare dedussero, nella loro comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, la nullità di tale contratto, assumendo che il medesimo fosse volto ad eludere il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c..

In particolare, i convenuti sigg.ri F. – S. affermavano l’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di compravendita prodotto dalla società attrice, oggetto della domanda risolutoria dalla stessa proposta, e altri due contratti di compravendita relativi al medesimo immobile, da loro prodotti all’udienza di precisazione delle conclusioni, rispettivamente conclusi, l’uno, tra la sig.ra S., quale venditrice, ed i coniugi A.F. e U.C., quali acquirenti, in data 20.12.1999 e, l’altro, tra i sigg. A. e U., quali venditori, e la società Immobiliare Fr. s.a.s., quale acquirente, in data 22.3.2001 (stesso giorno di stipula del contratto di vendita, con riserva di proprietà, tra la Immobiliare Fr. e i sigg. F. – S.). I convenuti quindi premesso che il sig. A., amministratore della società Immobiliare Fr. s.a.s., era creditore di F.T. all’epoca in cui acquistò l’immobile dalla sig.ra S. – deducevano che l’intera operazione (vendita dalla sig.ra S. ai coniugi A. – U., vendita dai sigg.ri A. – U. alla società Immobiliare Fr. s.a.s. e vendita dalla Immobiliare Fr. s.a.s. ai coniugi F. – S.) sarebbe stata funzionale a determinare l’acquisto dell’immobile in capo alla Immobiliare Fr. s.a.s., amministrata dall’ A., nel caso, poi effettivamente verificatosi, che F.T. non fosse in grado di pagare il suo debito nei confronti del medesimo A.; debito al quale le parti, con la descritta operazione negoziale, avrebbero inteso conferire la veste di prezzo della compravendita tra la Immobiliare Fr. s.a.s. e i coniugi F. – S..

Il Tribunale – sul presupposto che la questione della nullità del contratto oggetto della domanda risolutoria, sollevata dai convenuti solo in comparsa conclusionale, non fosse rilevabile di ufficio – non trattò tale questione e, ritenuto che l’inadempimento dei sigg. F. – S. all’obbligo di pagamento del prezzo non fosse di scarsa importanza, accolse la domanda risolutoria dell’attrice.

La Corte di appello, adita con l’impugnazione dei sigg.ri F. – S., pur affermando la rilevabilità di ufficio della nullità ex art. 2744 c.c., ha tuttavia disatteso la prospettata nullità del contratto dedotto in giudizio dalla Immobiliare Fr., sul rilievo che, per un verso, quest’ultima si era opposta alla produzione dei contratti S. – A. – U. e A. – U. – Immobiliare Fr., effettuata dai sigg.ri F. – S. solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, e, per altro verso, “nulla di specifico” era dato accertare “sulla scorta dei documenti ritualmente prodotti… relativamente ad una illecita coercizione degli appellanti a sottostare alla volontà dell’Immobiliare” (pag. 7 della sentenza).

Nel merito della domanda risolutoria la Corte bresciana ha poi ritenuto che il fatto (di cui la Immobiliare Fr. aveva dato atto fin dalla citazione) che gli acquirenti avessero versato a titolo di prezzo la somma di Euro 123.967,55 non elideva la gravità dell’inadempimento rappresentato dal mancato versamento della residua parte di prezzo.

L’Immobiliare Fr. s.a.s. ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 13 febbraio 2020, per la quale solo i ricorrenti hanno depositato una memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 4, i sigg. F. – S. deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, in cui la corte d’appello sarebbe incorsa giudicando inammissibile, perchè effettuata solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, la produzione dei documenti comprovanti i contratti di compravendita S. – A. – U., del 29.12.1999, e A. – U. – Immobiliare Fr., del 22.3.2001. Ad avviso dei ricorrenti tali documenti, sebbene prodotti soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni, dovevano ritenersi ammissibili, in quanto funzionali a provare la fondatezza della eccezione di nullità del contratto oggetto della domanda risolutoria della Immobiliare Fr. s.a.s..

Il motivo va disatteso. Esso si fonda sull’assunto che i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 26242/14 svincolerebbero la deduzione di una nullità contrattuale dalle ordinarie preclusioni processuali, non solo assertive ma anche istruttorie. Non è questo ciò che le Sezioni Unite hanno affermato. Nel paragrafo n. 5.11.3 della sentenza n. 26242/14 si legge, infatti: “Il nuovo art. 101, comma 2, conferma tale conclusione e impone una interpretazione dei poteri delle parti estesa alla facoltà di proporre domanda di nullità (e spiegare la conseguente attività probatoria) all’esito della sua rilevazione officiosa nel corso di giudizio sino alla precisazione delle conclusioni”. Il dictum delle Sezioni Unite è, dunque, nel senso che le parti possono spiegare una “attività probatoria” in deroga al sistema delle preclusioni istruttorie, a sostegno di una domanda di nullità contrattuale, “all’esito” della rilevazione ufficiosa della nullità; non già, come mostra di intendere la difesa dei ricorrenti, nel senso che le parti abbiano il potere di proporre istanze istruttorie in deroga al sistema delle preclusioni processuali, ove tali istanze tendano ad offrire la prova di una nullità negoziale, pur in mancanza di una previa rilevazione ufficiosa di tale nullità. Donde l’infondatezza della doglianza.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata al primo e riferito anch’esso dell’art. 360 c.p.c., n. 4, i sigg. F. – S. deducono la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 – nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica recata dal D.L. n. 83 del 2012 – in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa ritenendo non valutabili i documenti contrattuali tardivamente prodotti in primo grado dagli appellanti, odierni ricorrenti, ancorchè tali documenti dovesse trovare ingresso nel giudizio d’appello, in quanto dotati del requisito della “indispensabilità” di cui alla menzionata disposizione.

Il motivo è fondato.

Va preliminarmente sottolineato che, come questa Corte ha più volte precisato (cfr. Cass. n. 1277/2016, Cass. n. 3309/2017), l’ammissibilità, ex art. 345 c.p.c., di documenti nuovi in appello richiede una valutazione circa l’indispensabilità della prova che ben può essere effettuata dalla Corte di Cassazione, in quanto detto giudizio non attiene al merito della decisione ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte; con la conseguenza che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo, è giudice anche del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si tratti di prova indispensabile.

Tanto premesso, va qui richiamato il principio fissato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 10790/17, alla cui stregua nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

La sentenza impugnata non risulta allineata a tale principio, perchè la Corte di appello ha ritenuto inutilizzabili i documenti contrattuali de quibus in base alla sola ragione, di per sè insufficiente, che tali documenti erano stati prodotti in primo grado tardivamente e che la controparte si era opposta alla loro produzione. Tale argomentazione postula che la tardività della produzione in primo grado impedisca di produrre documenti in secondo grado anche quando essi siano in concreto indispensabili, ma tale postulato, come si è detto, è stato smentito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in relazione al testo dell’art. 345 c.p.c., anteriore alla novella del 2012, con la suddetta sentenza n. 10790/17. Nè risulta concludente il passaggio dell’impugnata sentenza, già sopra citato, in cui si afferma che “Nulla di specifico è dato del resto accertare sulla scorta dei documenti ritualmente prodotti”, perchè l’indagine sulla dedotta nullità negoziale per violazione del divieto di patto commissorio presupponeva proprio l’esame dei documenti “non ritualmente prodotti”; documenti dei quali la Corte di appello avrebbe dovuto, rilevatane l’indispensabilità, ammettere la produzione in appello, onde valutarli ai fini dell’accertamento, anche per presunzioni, della dedotta nullità negoziale.

In definitiva le inferenze che possono trarsi dalla tempistica dei tre contratti de quibus e dai rapporti intercorrenti tra le parti che li hanno stipulati autorizzano un apprezzamento astratto di indispensabilità dei documenti rappresentativi di tali contratti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 345 c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile. Tale apprezzamento di indispensabilità, va precisato, compete a questa Corte non ai fini del merito della decisione ma ai più limitati fini dell’accertamento della insussistenza di una preclusione processuale formatasi in ordine all’ammissibilità della relativa produzione in appello (Cass. nn. 1277/2016 e 3309/2017, citate sopra). Il Collegio intende dare conferma a seguito a questi ultimi precedenti, enunciando il seguente principio di diritto:

Ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo anteriore alla modifica recata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, l’ammissibilità di documenti nuovi in appello richiede una valutazione circa l’indispensabilità della prova che deve essere effettuata dalla Corte di Cassazione, trattandosi di giudizio che non attiene al merito della decisione ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte. Ne consegue che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Cassazione, chiamata ad accertare un “error in procedendo”, è giudice anche del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse di prova indispensabile. Tale apprezzamento di indispensabilità viene svolto dalla Corte di cassazione in astratto, ossia al solo fine di stabilire la idoneità teorica della prova ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa, senza alcuna assunzione di poteri cognitori di merito da parte della Suprema Corte, spettando pur sempre al giudice di merito, in sede di rinvio, l’apprezzamento in concreto delle inferenze desumibili dalla prova, ai fini della ricostruzione dei fatti di causa.

L’accoglimento del motivo di ricorso impone quindi la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte bresciana perchè la stessa, preso atto dell’indispensabilità dei documenti de quibus, li valuti ai fini dell’accertamento della nullità negoziale dedotta dagli odierni ricorrenti.

Il terzo ed il quarto motivo di ricorso attingono, entrambi, la statuizione dell’impugnata sentenza di non scarsa importanza dell’inadempimento dei sigg. F. – S.. Il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 1453 c.c., comma 3 e art. 1455 c.c., in cui la Corte di appello sarebbe incorsa valorizzando, ai fini del giudizio di gravità dell’inadempimento dei compratori, il mancato pagamento delle rate di prezzo scadute dopo la proposizione della domanda di risoluzione del contratto. Il quarto motivo, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 5, denuncia anche l’omessa considerazione della dichiarazione confessoria con cui la Immobiliare Fr. s.a.s. avrebbe dato atto, nella citazione introduttiva, del pagamento di importi tali da coprire tutte le rate di prezzo scadute fino al di della domanda giudiziale di risoluzione contrattuale.

Tanto il terzo quanto il quarto motivo, attingendo una statuizione quella sulla gravità dell’inadempimento dei compratori – logicamente subordinata all’accertamento della validità del contratto dedotto in giudizio, vanno giudicati assorbiti dall’accoglimento del secondo mezzo, che impone la cassazione della sentenza ed il necessario riesame, da parte del giudice di rinvio, della quaestio nullitatis sollevata dai sigg. F. – S..

In definitiva il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo e l’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti il terzo e il quarto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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