Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10401 del 29/04/2010
Cassazione civile sez. II, 29/04/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 29/04/2010), n.10401
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
E.C., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale
in calce al ricorso, dagli Avv. Tempesta Biagio e Maria Virginia
Perazzoli, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima
in Roma, via Paraguay, n. 5;
– ricorrente –
contro
P.M.G., rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Innamorati Loretta,
elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Roma,
via Oslavia, n. 7;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma depositata il 10
settembre 2008;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19 febbraio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
sentito l’Avv. Loretta Innamorati;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. LECCISI Giampaolo che ha concluso: “nulla osserva”.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che il Tribunale di Roma – in accoglimento della domanda svolta da P.M.G. che, nella qualità di erede testamentaria del dott. C.R., aveva chiesto nei confronti di E.C., beneficiaria del legato costituito dallo studio di commercialista del de cuius, l’adempimento dell’onere modale, costituito dalla corresponsione all’erede dell’importo mensile di L. 2.000.000 per un triennio – respinta l’eccezione di nullità del legato per asserita indeterminabilità del beneficio, ritenuta la legataria non legittimata ex art. 648 cod. civ. a chiedere la risoluzione della disposizione testamentaria, ritenuta indimostrata la sproporzione tra il valore del lascito e quello del modus, condannò la E. al pagamento della somma di L. 64.000.000, oltre interessi, somma corrispondente al residuo insoluto, liquidando le spese di lite secondo la soccombenza;
che, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 10 settembre 2008, ha rigettato il gravame della E.;
che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’ E. ha proposto ricorso, sulla base di un motivo;
che ha resistito, con controricorso, l’intimata P.;
che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.
Rilevato che il relatore designato, nella relazione depositata il 4 dicembre 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:
“(…) L’unico mezzo (violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) è affidato al seguente quesito di diritto: Accerti la Corte se vi è stata violazione e falsa applicazione dell’art. 671 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ., in quanto dette norme, ove applicate correttamente, avrebbero prodotto conseguenze giuridiche opposte a quelle effettivamente verificatesi a causa dell’errata applicazione delle stesse.
Il motivo è inammissibile perchè il quesito che lo conclude non rispetta le prescrizioni di cui all’art. 366-bls cod. proc. civ..
Per costante giurisprudenza (tra le tante, Cass., Sez. 1, 22 giugno 2007, n. 14682), il quesito che il ricorrente è chiamato a formulare, per rispondere alle finalità della norma, deve esser tale da consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso.
Se così non fosse, se cioè il quesito non risultasse finalizzato alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, o comunque non apparisse idoneo a conseguire tale risultato, ciò vorrebbe dire o che esso non ha in realtà alcuna attinenza con l’impugnazione e con le ragioni che la sorreggono o che il ricorrente non ha interesse a far valere quelle ragioni. Nell’uno come nell’altro caso non potrebbe non pervenirsi alla conclusione dell’inammissibilità del motivo di ricorso.
Nella fattispecie in esame il quesito sopra riferito non risponde a tali requisiti, perchè esso non evidenzia in alcun modo l’esistenza di un’eventuale discrasia tra la criticata ratio decidendo ed un qualche principio giuridico che la ricorrente vorrebbe invece fosse posto a fondamento di una decisione diversa”.
Letta la memoria di parte ricorrente.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;
che non può essere seguito quanto osservato dalla ricorrente in memoria, secondo cui “è proprio dal ricorso che si evidenzia la questione di diritto con carattere di novità tale da indurre la Corte a mutare il proprio orientamento, perchè si è in presenza di una censura relativa alla violazione dei principi del giusto processo”;
che va infatti ribadito che la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass., Sez. Lav., 7 aprile 2009, n. 8463);
che tale onere non è stato rispettato nella specie dalla ricorrente;
che appare ultroneo il riferimento alla novità della questione veicolata con il motivo e alla presenza di una violazione dei principi del giusto processo, essendo l’uno e l’altro elemento relativi alla disciplina dell’ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360-bis cod. proc. civ., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, ratione temporis non applicabile;
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010