Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19067 del 14/09/2020
Cassazione civile sez. lav., 14/09/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 14/09/2020), n.19067
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4531-2015 proposto da:
IMPRESA COSTRUZIONI A.G. E C. S.N.C., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MARINO;
– ricorrente –
contro
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,
CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO e ESTER ADA SCIPLINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 164/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,
depositata il 11/02/2014, R.G.N. 334/2012.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
Che:
la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza
164/2014, ha confermato il rigetto dell’opposizione proposta da Impresa
di costruzioni A.G. & C. s.n.c. al verbale di
accertamento ispettivo con cui l’INPS aveva richiesto il pagamento della
somma di Euro 17.759,00 a titolo di somme dovute per indebita fruizione
degli sgravi contributivi ex L. n. 448 del 1998 e L. n. 448 del 2001 relativamente ad un gruppo di lavoratori;
a fondamento della decisione, la Corte
territoriale ha confermato la sentenza di primo grado in punto di
riparto dell’onere della prova, attribuendo l’onere di provare il
diritto agli sgravi all’impresa, e ritenendo non soddisfatto il medesimo
onere da parte della società, posto che la prova per testi richiesta al
fine di provare l’impossibilità di destinare i dipendenti ad altra
idonea ed equivalente attività lavorativa si poneva in contrasto con
l’affermazione (effettuata solo in appello) secondo cui i lavoratori del
gruppo interessato, ad eccezione di alcuni, avevano lavorato presso i
cantieri di Agrigento, Caltanissetta e Serradifalco; inoltre, era
rimasto accertato che la società aveva determinato un decremento del
livello occupazionale raggiunto e che, quanto ai dipendenti indicati
“dimissionari”, era rimasto accertato che tale M. non era
stato preso in considerazione ai fini del disconoscimento degli sgravi e
che, quanto al C., era pure stato accertato che il 31 dicembre
2002 la società aveva effettuato licenziamenti per riduzione di
personale;
la Corte territoriale, infine, ha ritenuto
generico e quindi inammissibile il capo dell’atto d’appello con il quale
si era criticata la nozione di incremento occupazionale fatta propria
dal primo giudice;
avverso detta sentenza, l’Impresa di costruzioni
A.G. & C. s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione con
un motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4), denunciando la nullità della sentenza con riferimento all’art. 112 c.p.c.
in ragione del fatto che la sentenza impugnata non aveva pronunciato
sul secondo motivo d’appello, relativo alla scorretta interpretazione ed
applicazione del concetto di “incremento occupazionale” con riferimento
temporale ai dodici mesi anteriori all’assunzione, ritenendolo
inammissibile;
l’INPS ha resistito con controricorso;
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che il ricorso è infondato;
l’unico motivo, in modo contraddittorio, da un lato afferma che la
sentenza impugnata non ha pronunciato sul motivo d’appello relativo alla
interpretazione ed all’applicazione della nozione di incremento
occupazionale e, dall’altro, rappresenta che la sentenza ha dichiarato
inammissibile lo stesso motivo d’appello e ne riporta l’esplicita
pronuncia;
è, dunque, evidente che la Corte territoriale non ha omesso la
pronuncia sul motivo d’appello indicato in quanto sullo stesso ha
pronunciato in modo esplicito, da ciò l’infondatezza del motivo qui
proposto;
anche a voler prescindere dalla manifesta incongrua formulazione
del motivo, volendo ritenere che in realtà la ragione di nullità della
sentenza sia riferita, nelle intenzioni non esplicitate della parte
ricorrente, alla violazione dell’art. 434 c.p.c., in punto di specificità dell’atto d’appello, va ricordato che (vd. Cass. n. 20954 del 5 agosto 2019n. 6014
del 2018) la Corte di cassazione, qualora venga dedotto un “error in
procedendo”, è giudice anche del “fatto processuale” e può esercitare il
potere-dovere di esame diretto degli atti purchè la parte ricorrente li
abbia compiutamente indicati, non essendo legittimata a procedere ad
una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi;
tuttavia, preliminare ad ogni altro esame è quello concernente
l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato
esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente
accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del
motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima
valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente
all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali;
in applicazione di questo principio, il ricorrente, che ha
censurato la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha
ritenuto inammissibile un motivo d’appello, ha comunque l’onere di
riprodurre gli atti e documenti (cioè in questo caso l’intero ricorso in
appello) del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla
decisione e di precisare l’esatta collocazione dei documenti nel
fascicolo d’ufficio al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio
di legittimità);
motivo non contiene tali specificazioni e la denuncia non può essere sottoposta al controllo di legittimità;
il ricorso deve essere, quindi, rigettato;
le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in
dispositivo; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo
unificato a carico del ricorrente soccombente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali liquidate in complessive Euro 4200,00 di cui
Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1-quater si da atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020