Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18128 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. II, 31/08/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 31/08/2020), n.18128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10169-2016 proposto da:

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato DOMENICO CICCARELLI;

– ricorrente –

contro

D.A., DO.AN., S.E., D’.NI.,

D’.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 465/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 25/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E MOTIVI DELLA DECISIONE

T.V., erede di M.V., ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 465/2015 della Corte d’appello di Bari, depositata il 25 marzo 2015.

Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, D.A., D.A., S.E., D’.Ni. e D’.Ma..

La Corte d’appello di Bari, pronunciando sul gravame avanzato da M.V. nei confronti di D.A., D.A., S.E., D’.Ni. e D’.Ma. contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Bari il 3 settembre 2010, ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla domanda avanzata dalla signora M. con citazione del dicembre 2000, volta ad ottenere la rimozione o l’inibitoria della utilizzazione dei sistemi di riscaldamento autonomi e di produzione di acqua calda realizzati dai convenuti nell’immobile di via (OMISSIS). L’attrice aveva dedotto che tali impianti non fossero conformi alle “precipue norme tecnico-giuridiche” UNI e CIG. La Corte di Bari ha tuttavia rilevato che le canne fumarie oggetto di lite risultavano essere state regolarizzate in corso di causa, ovvero già nel luglio 2001, portando le emissioni con sbocco oltre il tetto, come prescritto dal D.P.R. n. 419 del 1993, art. 5, comma 9.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,112,113,91 e 183 c.p.c., del D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, art. 5, comma n. 9 e del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 551, art. 2.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per ultra ed extra petizione.

Il ricorrente evidenzia in entrambe le censure di non aver mai proposto domanda di tutela dalle immissioni ex art. 844 c.c., come invece esposto nella sentenza impugnata, e di aver piuttosto preteso unicamente “la regolarizzazione delle canne fumarie nel senso richiesto dal D.P.R. n. 419 del 1993, art. 5, comma 9”, dovendosi perciò condannare per soccombenza virtuale i convenuti al rimborso delle spese processuali.

I due motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano inammissibili.

La sentenza della Corte d’appello di Bari, facendo uso del potere spettante al giudice del merito di individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, ed avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, ha ritenuto che M.V. al punto VII del proprio atto di citazione avesse proposto altresì una domanda di cessazione delle immissioni intollerabili provenienti dalle canne fumarie, domanda rigettata dal Tribunale con statuizione non impugnata dalla soccombente. I giudici di secondo grado, peraltro, tenendo conto di quanto in tal senso richiesto in primo grado dallo stesso difensore dell’attrice M.V. sin dall’udienza del 22 dicembre 2004, una volta preso atto dell’avvenuta regolarizzazione delle canne fumarie realizzate dai convenuti, hanno dichiarato cessata la materia del contendere sulla “domanda di regolarizzazione” e compensato le spese processuali per soccombenza reciproca.

In sostanza, la Corte di Bari ha affermato che fosse venuto meno il dovere del giudice di pronunziare sul merito della domanda di “regolarizzazione”, essendo svanito l’interesse delle parti alla decisione, con conseguente sentenza finale di rito. Di tale sentenza le parti potevano allora dolersi nel merito in sede di impugnazione solo contestando l’esistenza del presupposto per emetterla, risultando invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura, atteso che è comunque onere della parte, che contesti, appunto, la decisione per questioni di merito, impugnare preliminarmente la declaratoria di cessazione della materia del contendere (Cass. Sez. U, 09/07/1997, n. 6226, Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10478; Cass. Sez. 1, 28/05/2012, n. 8448; Cass. Sez. 6 – L, 13/07/2016, n. 14341).

Essendo allora sottratta all’ambito del devoluto in sede di legittimità, sulla base dei motivi di ricorso del T., la statuizione di cessazione della materia del contendere, la quale perciò è coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, va ulteriormente evidenziato come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei, cosa che non si evince nel caso di specie. In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova, invero, ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale (Cass. Sez. 1, 27/09/2002, n. 14023). Quando, pertanto, un giudizio sia stato definito con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere comprensiva, è ammissibile il ricorso per cassazione sul capo della decisione concernente le spese del giudizio soltanto se il suo oggetto sia limitato alla verifica della correttezza dell’attribuzione della qualità di soccombente, attraverso il riscontro dell’astratta fondatezza delle ragioni delle difese spiegate dal ricorrente per cassazione (Cass. Sez. 3, 14/07/2003, n. 10998).

Il ricorrente sostiene nelle due censure unicamente di aver incentrato la causa petendi della sua originaria domanda sul contenuto precettivo del D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, art. 5, comma 9, nella formulazione vigente ratione temporis, il quale prescriveva i casi in cui (ad esempio, di trasformazione dell’impianto termico centralizzato in impianto autonomo) gli edifici multipiano costituiti da più unità immobiliari dovessero essere dotati di appositi condotti di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalle norme tecniche UNI 7129, stabilendo peraltro ipotesi derogatorie. Al di là di tali prescrizioni imposte a salvaguardia di interessi amministrativamente protetti, è tuttavia l’art. 890 c.c. che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, attribuisce lo strumento di tutela civilistico della proprietà e dell’incolumità delle persone nei riguardi altresì delle condotte fumarie, con la possibilità di chiedere, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, la riduzione in pristino (cfr. indicativamente Cass. Sez. 2, 23/09/2013, n. 21744). In ogni caso, la Corte d’appello ha reputato implicitamente fondata la domanda di “regolarizzazione”, ed ha invece ritenuto prognosticamente infondata la domanda ex art. 844 c.c., ravvisata in via interpretativa nel punto VII dell’atto di citazione di M.V., relativa alle immissioni intollerabili provenienti dalle canne fumarie, così giustificando in base alla virtuale soccombenza reciproca la compensazione delle spese tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, secondo valutazione che resta sottratta al sindacato di legittimità.

II. Consegue l’inammissibilità del ricorso. Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto gli intimati non hanno svolto attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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