Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3515 del 14/02/2014
Civile Ord. Sez. 6 Num. 3515 Anno 2014
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: LA TERZA MAURA
ORDINANZA
sul ricorso 21716-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LANZETTA
ELISABETTA, MASSIMILIANO MORELLI giusta procura speciale
a margine del ricorso;
– ricorrente contro
NASCIMBENE LAURA;
– intimata –
Data pubblicazione: 14/02/2014
avverso la sentenza n. 855/2010 della CORTE D’APPELLO di
MILANO del 29/06/2010, depositata il 17/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;
ifv
Ric. 2011 n. 21716 sez. ML – ud. 10-10-2013
-2-
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI.
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L. Upl/36
21716/2011 Inps c. Nascimbene Laura
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Corte Suprema di Cassazione
Sezione Sesta Civile
Ordinanza
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano accoglieva la domanda proposta da Laura
cumulabilità del reddito percepito per il lavoro part time presso lo stesso Istituto e la pensione di
anzianità, ai sensi dell’art. 44 comma 2 legge 289/2002, dal primo febbraio 2007, data del suo
pensionamento. La ricorrente era stata dipendente Inps fino al 31.1.2007, aveva fruito della
disciplina normativa di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 185, 186 e 187 per ottenere la
conversione del rapporto di lavoro a tempo pieno in part time, con godimento parziale del
trattamento pensionistico.
Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione l’INPS.
La Nascimbene è rimasta intimata.
Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;
La questione è già stata decisa dalla sentenza di questa Corte n. 25800 del 02/12/2011, con cui si è
affermato << L'art. 1, comma 185, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 è norma eccezionale
poiché consente la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego del dipendente, per quanto a
tempo non più pieno ma parziale, e il contemporaneo conseguimento, entro specificati limiti, del
trattamento pensionistico di anzianità in costanza del rapporto, con lo stesso datore di lavoro,
derogando ai principi generali per cui il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla
cessazione dell'attività di lavoro dipendente. Ne deriva che la suddetta disciplina - contenente
l'esplicita previsione che la somma dell'ammontare della pensione e della retribuzione dei
dipendenti a tempo parziale non possa superare l'ammontare della retribuzione spettante al
lavoratore che, a parità di condizioni, presti la sua attività a tempo pieno - non è derogabile dalla
successiva normativa generale di cui all'art. 44 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, abolitrice del
divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro subordinato, senza che possa trovare spazio
alcuna censura costituzionale per irragionevole permanere della disciplina limitativa del cumulo per
il solo settore pubblico.»
I punti salienti della motivazione, che risultano ampiamente condivisibili sono i seguenti:
1. Fin dall'inizio (L. n. 153 del 1969, art. 22) la pensione di anzianità dei dipendenti privati è stata
incumulabile per l'intero con il reddito da lavoro dipendente e detta incumulabilità piena con il
1 Nascimbene nei confronti dell'Inps per ottenere l'accertamento del diritto alla integrale reddito da lavoro subordinato è rimasta inalterata (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, commi 1 e 2),
dovendo il lavoratore subordinato risolvere il rapporto di lavoro (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10,
comma 6) per potere godere della prestazione pensionistica. Un'ulteriore tappa del processo
evolutivo riguarda la fase di regime della riforma del 1995; cioè le pensioni da liquidare
esclusivamente con il sistema contributivo. Tale riforma aveva previsto la vigenza, fino al
compimento da parte dell'interessato dell'età di 62 anni, del regime di incumulabilità con il reddito della parte eccedente il trattamento minimo; e invece dall'età di 63 anni in poi, del regime di
incumulabilità della pensione con i redditi sia da lavoro dipendente che da lavoro autonomo nella
misura del 50% della parte eccedente l'importo del trattamento minimo (L. n. 335 del 1995, art. 1,
commi 21 e 22). Detti limiti al cumulo tra pensione e redditi da lavoro sono ormai sostanzialmente
superati ed attualmente le pensioni di anzianità sono intermente cumulabili con i redditi da lavoro
tanto autonomo che dipendente, purché il lavoratore abbia una determinata anzianità contributiva
(L. n. 388 del 2000, art. 72 e L. n. 289 del 2002, art. 44). La L. n. 243 del 2004 aveva delegato il
Governo ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti norme intese tra l'altro "ad eliminare
progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro (art. 1, comma 1, lett. b) ma la
delega non è stata attuata; tuttavia successivamente ha provveduto alla "liberalizzazione" la L. n.
133 del 2008, art. 19.
2. Anche ove sia ritenuto che il regime di liberalizzazione sia ormai operante per tutti i settori, deve
preliminarmente, ai fini della decisione della questione all'esame, individuarsi la natura della norma
contenuta nella L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185, nata come eccezione di favore in deroga al
vecchio regime generale, per valutare se la stessa sia resistente o meno al processo di evoluzione nel
senso della liberalizzazione sopra delineata. A norma dell'art. 15 preleggi, infatti, l'abrogazione
tacita si realizza sia quando le disposizioni della nuova legge siano incompatibili con quelle della
legge anteriore, sia quando la nuova legge regoli l'intera materia già regolata dalla legge anteriore,
non potendo ovviamente coesistere, in quest'ultimo caso, due leggi che regolino per intero la
medesima materia. Tuttavia, la regola dell'abrogazione non si applica quando la legge anteriore sia
speciale od eccezionale e quella successiva, invece, generale (legi speciali per generalem non
derogatur), ritenendosi che la disciplina generale - salvo espressa volontà contraria del legislatore non abbia ragione di mutare quella dettata, per singole o particolari fattispecie, dal legislatore
precedente.
3. La norma di cui si discute ( art. 1 commi 185 e 187 legge 662/96) deve indubbiamente
qualificarsi come eccezionale, avendo portata derogatoria, nel sistema in vigore all'epoca della sua
emanazione, rispetto ai principi generali in tema di incumulabilità tra pensione di anzianità e redditi
2 da lavoro dipendente, nella sua interezza, e con il reddito da lavoro autonomo nella misura del 50% di lavoro e prevedendo la possibilità di cumulo sia pure limitato, nel senso che l'importo della
pensione viene ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell'orario normale di
lavoro (riduzione comunque non superiore al 50%) e che la somma della pensione e della
retribuzione non può in ogni caso superare l'ammontare della retribuzione spettante al lavoratore
che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno. Per il pubblico impiego, con il
D.M. 29 luglio 1997, n. 331, è stato emanato in esecuzione di quanto previsto dalla L. n. 662 del dipendenti di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 1, comma 2, per usufruire della possibilità di
cumulare, ai sensi dell'art. 1, commi da 185 a 189, della legge citata, l'importo della pensione di
anzianità con l'ammontare della retribuzione conseguente alla trasformazione del rapporto di lavoro
da tempo pieno a tempo parziale, prevedendosi determinate condizioni per l'operatività della
trasformazione con diritto al cumulo parziale, tra cui quella della insussistenza nella qualifica
funzionale di appartenenza di situazioni di esubero.
4. Ma il carattere di eccezionalità della normativa, che non consente alla normativa successiva di
carattere generale di incidere in senso ampliativo sulla misura del cumulo parziale, deve essere
collegato anche alla circostanza che il conseguimento del trattamento pensionistico, sia pure ridotto,
non è subordinato, dalla legge 662/96, alla cessazione dell'attività lavorativa. Ed invero, il diritto
alla pensione, nella generalità dei casi, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 1, lett. c),
matura in capo al lavoratore interessato alla presenza di un duplice requisito, rappresentato dal
raggiungimento dell'anzianità contributiva e dalla cessazione dell'attività lavorativa subordinata alla
data di presentazione della relativa domanda. Con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 503 del 1992,
il legislatore ha ribadito che il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla cessazione
dell'attività di lavoro dipendente (art. 10, comma 6), estendendo tale requisito anche alla pensione di
vecchiaia (art. 1, comma 7). Per entrambe le disposizioni citate il requisito della cessazione del
rapporto di lavoro costituisce, infatti, una "presunzione di bisogno" che giustifica l'erogazione della
prestazione sociale ai sensi dell'art. 38 Cost.. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, "la
prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da
lavoro - dopo il perfezionamento dei requisiti - esclude lo stato di bisogno del lavoratore (...) e,
quindi, anche l'esigenza di garantire al lavoratore medesimo (ai sensi dell'art. 38 Cost., comma 2)
mezzi adeguati alle esigenze di vita".
5. La eccezionalità della citata norma del 1996 deve, pertanto, ravvisarsi, alla luce dei principi
appena richiamati, nella peculiarità della fattispecie prevista, che consente la prosecuzione del
rapporto di pubblico impiego del dipendente per quanto part time ed il contemporaneo
conseguimento del trattamento pensionistico di anzianità in costanza di rapporto, sia pure
3 1996, art. 1, comma 187 il regolamento concernente i criteri e le modalità da applicare ai pubblici trasformato, con lo stesso datore di lavoro. Da tali considerazioni deve discendere pertanto
l'intangibilità di una disciplina eccezionale, che sicuramente risulta derogatoria rispetto ai principi
in materia pensionistica quanto al conseguimento del diritto alla prestazione, da parte di normativa
generale successiva che abolisce il divieto di cumulo, ma comunque mantiene fermo il principio
dalla necessità di interruzione del rapporto lavorativo.
6. Ciò si desume anche da quanto previsto testualmente dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 44,
forme di previdenza di cui al comma 1, già pensionati di anzianità alla data del 1 dicembre 2002 e
nei cui confronti trovino applicazione i regimi di divieto parziale o totale di cumulo (art. 44, comma
2, 1^ parte, L. citata) - anche agli iscritti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di
anzianità, hanno interrotto il rapporto di lavoro e presentato domanda di pensionamento entro il 30
novembre 2002.
Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata.
Non essendovi necessità di ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito con il rigetto della
domanda di cui al ricorso introduttivo.
Il formarsi dell'orientamento di legittimità ben dopo l'inizio del giudizio di merito, giustifica la
compensazione delle spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda di cui al ricorso introduttivo.
Compensa le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2013. Il presidente comma 2, parte seconda laddove è previsto che la disposizione si applica - oltre che agli iscritti alle