Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15123 del 15/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 15/07/2020), n.15123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35239-2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BARTOLO GIUSEPPE SENATORE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2296/25/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 12/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

ANTONIO FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 12 marzo 2018 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da Aniello A. avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), venivano determinate maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA in relazione all’anno 2010. Riteneva la CTR che non sussisteva, nella fattispecie, l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, vertendosi in ipotesi di accertamento c.d. “a tavolino” e, quanto ai tributi “armonizzati”, non avendo il contribuente dedotto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato previamente instaurato, essendosi limitato a proporre un’eccezione chiaramente formale e di stile incentrata sulla violazione della norma. Osservava, inoltre, che l’Ufficio aveva legittimamente presunto l’omessa fatturazione di compensi per l’attività di progettista o direttore dei lavori, determinando l’ammontare del reddito non fatturato sulla base della tariffa per la liquidazione dei compensi per i consulenti tecnici d’ufficio.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 12 ottobre 2018, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle entrate non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e della L. n. 4 del 1929, art. 24. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto valido l’avviso di accertamento anche se emesso in pendenza del termine dilatorio di sessanta giorni previsto a pena di nullità dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

La censura è infondata.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, hanno chiarito che l’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste. Ciò comporta che l’Ufficio, al di fuori di tali ipotesi, “può emettere l’avviso di accertamento anche in assenza di un processo verbale che attesti la chiusura dell’attività istruttoria, in difetto di norme che impongano un obbligo di verbalizzazione e laddove sia prevista una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento” (cfr. anche, tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 26 maggio 2016, n. 10904; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2016, n. 8000; Cass. sez. sez. 6-5, ord. 15 aprile 2016, n. 7600; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20849).

Le stesse Sezioni Unite hanno posto poi la basilare distinzione, riguardo al tema del contraddittorio endoprocedimentale, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione Europea, chiarendo che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (nella successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943).

Tanto premesso, va rilevato che il ricorrente non ha addotto alcun concreto elemento idoneo a dimostrare che, contrariamente a quanto asserito dalla CTR, non si verteva in fattispecie relativa ad accertamento c.d. “a tavolino”, espletato autonomamente dall’Amministrazione finanziaria nei propri uffici, per il quale non sussiste l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale. In relazione all’IVA, il ricorrente non ha in alcun modo prospettato – nel contestare l’assunto della CTR – le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che avrebbero potuto comportare un esito diverso del procedimento.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, nonchè dell’art. 2697 c.c. La censura è così testualmente formulata: “Il ricorrente contribuente, essendo un libero professionista, ha ricollegato il proprio comportamento in conformità alle direttive del suo Ordine Professionale”.

Il motivo è inammissibile.

E’ di tutta evidenza, infatti, che la doglianza, per come formulata, difetta del carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, non consentendo l’esatta individuazione dei passaggi motivazionali della pronuncia gravata ed essendo priva dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le censure addotte (in termini, Cass. n. 21296 del 2016).

Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato.

Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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