Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14823 del 10/07/2020

Cassazione civile sez. I, 10/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 10/07/2020), n.14823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9023/19 proposto da:

-) B.L., elettivamente domiciliato in Roma, v.le Regina

Margherita n. 239 (c/o avv. Valentina Valeri), difeso dall’avvocato

Giacomo Cainarca in virtù di procura speciale apposta in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 19 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

B.L., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio paese per timore di essere arrestato, dopo che aveva ferito con un sasso la propria matrigna;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento B.L. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che la rigettò con ordinanza 24.7.2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza 19.11.2018; la Corte d’appello ritenne che il racconto del richiedente non era credibile; che comunque in Gambia non esiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; che nel caso di specie non esisteva alcuna situazione di vulnerabilità; che il richiedente non aveva alcuna stabile occupazione in Italia; che la congiuntivite dalla quale aveva dichiarato (solo con l’atto d’appello) di essere affetto non costituiva una patologia di gravità tale da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da B.L. con ricorso fondato su due motivi; ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno;

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente censura il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

nella illustrazione del motivo, dopo un’ampia trattazione sulla portata e sull’efficacia dell’art. 10 Cost. e del concetto di “protezione umanitaria”, il ricorrente conclude (a pagina 10, terz’ultimo capoverso, del ricorso) che nel caso di specie la protezione umanitaria si sarebbe dovuta concedere perchè “è nota la difficile condizione in cui vivono i cittadini del (OMISSIS)”; che in quel Paese vi è una dittatura; che i diritti umani vengono ivi violati; che vi è una forte censura sulla stampa; che in ogni caso vi è in quel Paese un generale clima di instabilità ed insicurezza; che nel caso di rientro nel Paese di origine verrebbero pregiudicati il diritto alla salute ed il diritto all’alimentazione del richiedente asilo, dal momento che il (OMISSIS) è un paese estremamente povero (così il ricorso, pagine 16-17);

il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata;

la Corte d’appello di Milano, infatti, in primo luogo ha dichiarato la domanda infondata a causa della inattendibilità soggettiva del richiedente, e di conseguenza di tutta la narrazione del suo vissuto (così la sentenza impugnata, p. 5, terzo capoverso);

giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa costituisce una ratio decidendi di per sè idonea a sorreggere la sentenza, e che pertanto si sarebbe dovuta impugnare con un autonomo motivo di ricorso, che invece non è stato proposto;

il primo motivo di ricorso invece (la cui illustrazione, segnatamente alle pp. 15-20, costituisce l’integrale trascrizione da un provvedimento di merito, ovvero una ordinanza del Tribunale di Milano datata 31 marzo 2016, e già solo per questo ben difficilmente poteva considerarsi una “impugnazione” in senso tecnico) si sofferma a disquisire sulla situazione del (OMISSIS) e sulla condizione del ricorrente, trascurando di spiegare per quali ragioni di diritto o di logica la statuizione sull’inattendibilità del richiedente asilo sarebbe erronea;

il primo motivo di ricorso, lo si rileva solo ad abundantiam, ove se ne fosse potuto esaminare il merito, sarebbe stato comunque infondato, dal momento che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le generali condizioni di povertà del Paese di provenienza del richiedente asilo, da sole, non costituiscono una circostanza idonea a giustificare il permesso di soggiorno per motivi umanitari (da ultimo in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 1051 del 17.1.2020; così pure Sez. 1, Ordinanza n. 864 del 17.1.2020, ove si afferma che la situazione concreta di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari “non può tout court identificarsi in ragioni di natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione”);

col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; deduce che la Corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria senza aver acquisito le necessarie informazioni sulla situazione del paese di origine;

il motivo – anch’esso costruito trascrivendo alla lettera, alle pp. 23-24, la motivazione di una sentenza di questa Corte, la n. 2079 del 2018 è, in primo luogo, inammissibile, perchè non censura la ratio decidendi con cui la Corte d’appello hà ritenuto inattendibile il racconto del richiedente;

anche esso tuttavia, così come il primo motivo di ricorso, sarebbe comunque infondato nel merito, se il merito si fosse potuto esaminare; il ricorrente lamenta infatti la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte della Corte d’appello: ma la Corte d’appello non ha affatto rigettato la domanda di protezione ritenendola non provata senza previamente ricorrere ai propri poteri istruttori officiosi (nel qual caso soltanto si sarebbe potuto dire sussistente il vizio denunciato dall’odierno ricorrente);

la Corte d’appello ha piuttosto ritenuto in facto l’insussistenza d’una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di provenienza del richiedente asilo, citando COI aggiornate ed attendibili;

la manifesta infondatezza delle proprie pretese, del resto, sarebbe dovuta essere ben nota al difensore del ricorrente, dal momento che identici ricorsi da quest’ultimo proposti, vertenti su identiche fattispecie e fondati su identici motivi sono stati ripetutamente dichiarati inammissibili da questa Corte (Sez. 1, Ordinanza n. 2130 del 30.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 2128 del 30.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 2127 del 30.1.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 30950 del 27.11.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 28969 del 8.11.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 28899 del 8.11.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 25895 del 14.10.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 25875 del 14.10.2019, quest’ultima avente ad oggetto proprio la domanda di protezione formulata da un cittadino (OMISSIS));

le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna B.L. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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