Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14518 del 09/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 09/07/2020), n.14518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26652-2018 proposto da:

B.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA STANISCIA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO

PREDEN, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4554/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da B.J., nella qualità di erede di B.S., avverso la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda di riconoscimento del diritto alla maggiorazione del trattamento pensionistico, ai sensi della L. n. 140 del 1985, art. 6, riguardante i benefici degli ex combattenti, e la condanna dell’INPS al pagamento dei ratei relativi;

per quanto di rilievo in questa sede, la Corte di appello ha escluso la nullità della pronuncia di primo grado, resa in presenza di un’istanza di ricusazione; la Corte territoriale ha ritenuto che l’evidente inammissibilità della richiesta di ricusazione (fondata, nella prospettiva di parte, per aver il Tribunale di Roma dichiarato la propria incompetenza territoriale invece affermata in sede di regolamento di competenza) escludesse l’automatismo dell’effetto sospensivo e giustificasse la prosecuzione del giudizio nel merito; a tale riguardo, la Corte di merito ha osservato come non vi fosse traccia di un’istanza di ricusazione presentata secondo le indicazioni del codice di rito (art. 52 c.p.c.) se non un inciso nelle conclusioni formulate a pag 2 del ricorso in riassunzione con cui genericamente si afferma(va) quanto segue: “In via istruttoria si insta per l’assegnazione del presente fascicolo a magistrato diverso dal Dott. (…) ai sensi e per gli effetti dell’art. 51 c.p.c., n. 4”;

la Corte di appello ha escluso, inoltre, che, a seguito della riassunzione dinanzi al Tribunale di Roma, si fosse formato un giudicato interno in merito alla sussistenza di una valida procura ad litem al difensore, come invece sostenuto dall’appellante sull’assunto che il Tribunale, spogliandosi della competenza, avesse implicitamente dato atto della rituale costituzione delle parti; ha, quindi, ritenuto nulla la procura ad litem del difensore; in giudizio, risultava acquisita la prova contraria al rilascio della stessa in Italia, per essere stata la procura data senza indicazione del luogo e della data, da persona residente in Croazia che non si presentava all’udienza per rendere l’interrogatorio formale sulla relativa circostanza e che, dell’assenza, non rendeva alcuna giustificazione;

ha proposto ricorso per cassazione B.J. nella qualità, articolato in tre motivi;

ha resistito con controricorso l’INPS è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e 158 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia sull’istanza di ricusazione da parte del giudice di primo grado;

il motivo è infondato;

come in sintesi innanzi esposto, nel riportare la ratio decidendi della sentenza, il giudice, proseguendo il giudizio, ha implicitamente provveduto in merito alla istanza di ricusazione, giudicando la stessa “ictu oculi” inammissibile per insussistenza dei requisiti formale (v. Cass. n. 25709 del 2014);

a tale riguardo, la Corte territoriale ha osservato come non vi fosse “traccia di un’istanza di ricusazione presentata secondo le indicazioni del codice di rito (art. 52 c.p.c.)”;

il ricorrente, a fronte di una tale argomentazione (corretta in relazione ai passaggi del ricorso in riassunzione riportati nella decisione impugnata) avrebbe dovuto modulare diversamente le censure in modo da incrinare il fondamento giustificativo delle argomentazioni svolte dai giudici di merito; come prospettato, il motivo va sicuramente respinto;

è, peraltro, solo il caso di aggiungere che: “L’obbligo di astensione di cui all’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere circoscritto alla sola ipotesi in cui il giudice abbia partecipato alla decisione del merito della controversia in un precedente grado di giudizio e non può estendersi al caso in cui, avendo partecipato ad una decisione dichiarativa dell’incompetenza annullata dalla Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza, egli sia nuovamente investito del giudizio in primo grado (ex plurimis, Cass. 5753 del 2009);

con il secondo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 232 e 324 c.p.c.;

le censure riguardano:

1. la statuizione secondo cui l’INPS avrebbe offerto la prova contraria del rilascio della procura in Italia; per la parte ricorrente, detta prova non poteva ritenersi raggiunta sulla base della sola mancata risposta all’interrogatorio formale;

2. la decisione in punto di insussistenza di un giudicato in ordine alla legittimità della procura alle liti; assume il ricorrente che il giudice dichiarato competente (id est: il Tribunale di Roma) non avrebbe potuto pronunciarsi sulla relativa questione, in quanto formatosi il giudicato per effetto della sentenza della Cass. n. 28748 del 2011 pronunciatasi sul regolamento di competenza;

il motivo è, nel complesso, da rigettare;

quanto al primo profilo, i rilievi non considerano che la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una pluralità di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica residenza del ricorrente in un paese non facente parte della Comunità Europea, il suo comportamento processuale e, in particolare, la mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitole proprio sulla circostanza del rilascio all’estero della procura in contestazione;

in tal modo, ha fatto corretta applicazione dei principi di questa Corte (v. Cass. n. 15397 del 2017; Cass. n. 13482 del 2016) in tema di superamento della presunzione circa il rilascio, in Italia, della procura ad litem;

quanto al profilo del giudicato, la Corte di cassazione, adita in sede di competenza, ha statuito solo in merito alla competenza del Tribunale di Roma; la pronuncia n. 28748 cit. non contiene alcuna decisione, nè esplicita nè implicita, idonea a passare in giudicato, in relazione alla questione della legitimatio ad processum, il cui esame è rimasto oggetto di valutazione del giudice dichiarato competente;

con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. dovendosi ritenere vigente, ma non applicato dalla Corte territoriale, il principio della sanabilità del difetto di procura alle liti oggetto di eccezione da parte dell’Inps; per la parte ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella violazione della norma processuale per la mancata applicazione del disposto dell’art. 182 c.p.c. con l’effetto di sanare la carenza accertata dai giudici di merito;

il motivo è infondato, essendosi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, anche successivamente alla novella apportata agli artt. 83 e 182 c.p.c. dalla L. n. 69 del 2009, la procura alle liti continua a costituire il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale, di talchè nei suoi riguardi – e fatta salva la previsione di cui all’art. 125 c.p.c. non opera il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva, salvi i diritti dei terzi (v. Cass., sez.un., n. 13431 del 2014; Cass. nn. 25023 e 30237 del 2017; Cass. nn. 336 e 14023 del 2018); del tutto irrilevante è, dunque, la documentazione esibita, unitamente al ricorso in cassazione, a dimostrazione di una asserita ratifica del mandato per i precedenti gradi di merito;

nè risulta che parte ricorrente abbia devoluto al giudice di appello la diversa questione della violazione dell’obbligo, da parte del Tribunale, di consentire la regolarizzazione della procura invalida (ai sensi dell’art. 182 c.p.c., comma 2, nella formulazione ratione temporis applicabile); in difetto, deve escludersi che la medesima parte possa invocare, in questa sede di legittimità e quale vizio della sentenza d’appello, la violazione di tale articolo in virtù del principio contenuto nell’art. 161 c.p.c., comma l, secondo il quale la nullità della sentenza si converte necessariamente in motivi impugnazione (nei termini, Cass. n. 30245 del 2017, in motiv. p. 3).

conclusivamente, in base alle svolte argomentazioni, il ricorso va rigettato, con le spese liquidate, secondo soccombenza, come da dispositivo, in favore della parte controricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della parte controricorrente, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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