Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1554 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. II, 26/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 26/01/2010), n.1554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G. – rappresentata e difesa in virtù di

procura speciale in calce al ricorso dagli avv.ti Rianna Andrea e

Arricale Domenico del Foro di Santa Maria Capua Vetere ed

elettivamente domiciliata in Roma, al viale Castrense, n. 7, presso

l’avv. Placidi Armando;

– ricorrente –

contro

F.O. – rappresentata e difesa in virtù di procura

speciale a margine del controricorso dall’avv. Giovanni Beatrice del

Foro di Benevento ed elettivamente domiciliata in Grottaferrata, alla

piazza Mazzini, n. 3, presso l’avv. Mucciaccio Giancarlo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 3765 del 29

dicembre 2005 – notificata il 20 gennaio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

dicembre 2009 dal Consigliere dott. Massimo Oddo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilità

e, in subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 16 settembre 1996, F.O., all’esito di un procedimento di denuncia di nuova opera, convenne S. G. davanti al Tribunale di Benevento e, premesso che era proprietaria di un fabbricato in Comune di Arpaia e che la confinante convenuta aveva sopraelevato un suo vano terraneo in violazione delle distanze legali dalla veduta da lei esercitata da due preesistenti balconate, domandò la condanna della S. all’abbattimento della parte del fabbricato illegittimamente realizzata ed al risarcimento dei danni.

Resistette la S., negando la violazione delle distanze e deducendo che la sopraelevazione rappresentava la ricostruzione di un preesistente piano del suo immobile, ed il Tribunale con sentenza del 30 luglio 2002 rigettò entrambe le domande della F.. La decisione, gravata dalla F., venne riformata il 29 dicembre 2005 dalla Corte di appello di Napoli, che condannò la S. “ad arretrare la realizzata sopraelevazione ad una distanza non inferiore a tre metri dall’aggetto più esterno del fabbricato della F.”, osservando che “colui che per primo abbia costruito sul confine, esercitando una delle facoltà concessegli dalla legge in tema di distanze, non può modificare tale scelta durante la prosecuzione in altezza della costruzione, operando, nei piani superiori delle rientranze per aprirvi delle vedute e costringere il vicino ad uniformarsi a questa nuova scelta, a meno che non si discosti dal confine di oltre tre metri o di quella maggiore distanza prevista dai regolamenti edilizi”.

La S. è ricorsa per la cassazione della sentenza con un motivo e la F. ha notificato controricorso, illustrato da successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, il ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 905 e 907 c.c. ed omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia:

non avendo valutato che l’opera realizzata costituiva la fedele ricostruzione, ai sensi della L. n. 219 del 1981, di una fabbrica preesistente;

avendo ritenuto, in contrasto con la situazione dei luoghi pacifica ed emergente dai rilievi effettuati dal c.t.u. che gli edifici delle parti si fronteggiassero, anzichè essere uniti o aderenti;

avendo fatto riferimento per valutare l'(inos)servanza della distanza legale della sopraelevazione dalle vedute agli artt. 905 e 873 c.c., che disciplinano l’ipotesi di costruzioni fronteggiatisi.

Il motivo è fondato.

I giudici di secondo grado, premesso in fatto che dalla c.t.u. si evinceva che la convenuta aveva eseguito una costruzione in aderenza, che dal lato nord sporgeva di circa cm 140 e risultava quasi allineata con gli sporti ed i balconi del fabbricato dell’attrice, distanti dal lato più corto cm 75 dal confine, ha affermato, tra l’altro, che:

il proprietario preveniente, ove abbia scelto di costruire sul confine, non può nel sopraelevare l’opera modificare la sua scelta, salvo che non decida di discostarsi dal confine di oltre tre metri o di quella maggiore distanza prevista dai regolamenti edilizi;

la disposizione dell’art. 905 c.c. secondo cui, per l’apertura di vendute, occorre osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con l’art. 873 c.c. che prescrive una distanza non minore di tre metri o quella maggiore stabilita dai regolamenti locali per le costruzioni su fondi finitimi;

nel caso in cui nel realizzare una costruzione non siano state rispettate, come nella specie, tali distanze, non può aprirsi nella stessa una veduta iure proprietatis, la quale, se creata, è illegittima e, in quanto tale, insuscettibile di protezione con riferimento alla distanza delle costruzioni da essa.

Così argomentando i giudici, da un lato, si sono sottratti all’esame della questione se l’intervento edilizio in questione avesse dato luogo, in tutto o in parte, alla ricostruzione di un precedente manufatto distrutto dal sisma del 1980 e, in caso positivo, se potessero trovare applicazione le disposizioni di cui all’art. 907 c.c.. Dall’altro, hanno fatto applicazione delle norme in tema di vedute dirette a fronte di una ricostruzione del tutto equivoca dello stato dei luoghi, che hanno asserito essere stato obbiettivamente reso dal c.t.u. e riscontrato dalle numerose fotografie in atti, e, in particolare, della situazione fattuale (oltre che di diritto) necessaria a qualificare come legittima l’apertura di balconi a distanza dal fondo del vicino inferiore a quella di un metro e mezzo richiesta per le vedute dirette dall’art. 905 c.c. ed a ravvisare un conseguente obbligo del proprietario di quest’ultimo ad osservare nella propria (ri)costruzione quella di tre metri prescritta dall’art. 907 c.c..

Alla fondatezza del motivo per quanto di ragione segue la cassazione della sentenza con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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