Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12239 del 23/06/2020
Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12239
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9672-2018 proposto da:
DUE ESSE DISTRIBUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORSO D’ITALIA 83,
presso lo studio dell’avvocato CINZIA PASSERO, rappresentata e
difesa dall’avvocato DONATO ANTONIO MUSCHIO SCHIAVONE;
– ricorrente –
contro
THUN SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DI SANT’ANGELA MERICI 96, presso lo studio
dell’avvocato ANDREA PANZAROLA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIOVANNI FRANCESCO CASUCCI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 93/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 12/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA
IOFRIDA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, Sezione specializzata in materia di Impresa, con sentenza n. 93/2018, pubblicata il 12/01/2018, ha confermato, respingendo il gravame proposto dalla DUE ESSE Distribuzioni srl, nei confronti della Thun spa, la decisione di primo grado che, a seguito di provvedimenti ante causam di descrizione, sequestro ed inibitoria, aveva, accertata la contraffazione, rispetto alle opere della Thun, sia registrate come modelli sia non registrate (numero nove articoli), ma aventi i requisiti di carattere creativo ed artistico richiesti dalla L. n. 633 del 1941, art. 2, n. 10, ai fini della tutela secondo la legge sul diritto d’autore come opere del disegno industriale, nonchè la concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., da parte della DUE ESSE in relazione alla produzione e commercializzazione di alcuni articoli (esposti all’edizione (OMISSIS)), inibito alla DUE ESSE la continuazione della condotta illecita, in relazione ai prodotti ritenuti in violazione del diritto d’autore e dei modelli registrati della THUN, con ordine d immediato ritiro dal commercio e dalla distribuzione e condanna della stessa convenuta anche al risarcimento dei danni.
In particolare, la Corte d’appello, per quanto qui ancora interessa, ha respinto il motivo di gravame con il quale si contestava la nullità della sentenza per genericità del dispositivo (riprodotto a pag. 4 della sentenza della Corte di merito), rilevando che: 1) in relazione agli articoli tutelati prodotti dalla Thun, essi dovevano individuarsi sia nei nove prodotti non registrati come modelli, ma tutelati dalla legge sul diritto d’autore, sia nei modelli registrati azionati dalla Thun, elencati in narrativa della sentenza del Tribunale, a pagg. 8 e 9, inclusi gli articoli ((OMISSIS)) inizialmente non specificamente individuati nel ricorso per descrizione ma espressamente ricompresi nella richiesta di tutela, in quanto essa era estesa “ad ogni oggetto avente le medesime caratteristiche della propria produzione”; 2) in riferimento agli articoli della DUE ESSE ritenuti in contraffazione, essi dovevano individuarsi, dal dispositivo e dalla motivazione della decisione di primo grado, in quelli descritti nel procedimento cautelare ed analiticamente elencati nella relazione peritale del Dott. G.N., ad eccezione di quelli per i quali la misura della descrizione era stata revocata con ordinanza cautelare del febbraio 2012 (“fotografie nn. 1, 77, 78 e 79 della relazione CTU – (OMISSIS)”), dei “modelli delle statuette tridimensionali raffiguranti la (OMISSIS)… (OMISSIS)”, stante l’espressa rinuncia alla chiesta tutela da parte della titolare delle privative, e dei prodotti “raffiguranti il (OMISSIS)”, di cui alle fotografie nn. 2-26 e 44 della relazione peritale, alla cui commercializzazione aveva rinunciato la stessa DUE ESSE in sede di merito.
Avverso la suddetta sentenza, la DUE ESSE Distribuzioni srl propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della Thun spa (che resiste con controricorso).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. da 31 a 44 C.P.I., del D.Lgs. n. 30 del 2005, in relazione agli artt. 132 e 161 c.p.c., e, con il secondo motivo, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, circa la mancata esatta individuazione, nel corpo della motivazione e nel dispositivo della sentenza, dei prodotti asseritamente contraffatti, in relazione alla privativa asseritamente violata, essendo stata operata dalla Corte di merito una mera motivazione per relationem alla perizia redatta ai fini della misura cautelare ante causam della descrizione, con conseguente ineseguibilità del provvedimento giudiziale.
2. La prima censura è infondata.
Pur nella confusa prospettazione del ricorso, che contiene una commistione di censure della decisione di primo grado e di quella d’appello, non pronunciata ex art. 348 bis c.p.c., e art. 348 ter c.p.c., e che implica anche contestazioni direttamente azionabili con opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., (come eccepito dalla controricorrente), deve ritenersi che la ricorrente si dolga in ricorso del rigetto del motivo di gravame, con il quale si censurava la nullità della sentenza di primo grado per genericità del dispositivo ed assoluta indeterminatezza, difettando tale atto dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo cui è destinato.
Ora, la Corte d’appello ha statuito correttamente sulla base di consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità.
Anzitutto, come affermato da Cass. S.U. nn. 11066 e 11067 del 2012 (e, poi, da Cass. n. 1027/13 e Cass. n. 24626/14 e Cass. 19641/2015), il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non s’identifica nè si esaurisce nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo invece consentita – contrariamente a quanto suppone la gravata pronuncia – l’interpretazione extratestuale (o c.d. etero – integrazione) del provvedimento in base agli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso s’è formato.
Inoltre, va ribadito il principio secondo cui “la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata, in linea generale, tenendo conto non soltanto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni inserite nella motivazione che si risolvano nello accertamento ex professo dell’esistenza o inesistenza di un diritto o di una situazione giuridica oggetto della controversia, talchè la potestas decidendi sul punto controverso debba considerarsi completamente esercitata” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5796 del 1982; Cass. 10409/2002; Cass. 3336/2007; Cass. 19074/2015; Cass. 5122/2018, in materia di lodo arbitrale).
Nella specie, il dispositivo è stato ritenuto sufficientemente determinato, dovendosi procedere ad una lettura dello stesso unitamente alla motivazione, risultando pertanto chiariti e specificati, sia i prodotti della Thun tutelati, sia i prodotti della ricorrente ritenuti in contraffazione, che in motivazione erano individuati sulla base della perizia redatta in sede di provvedimento ante causam di descrizione, ex artt. 129 e 130 C.P.I., misura diretta ad acquisire la prova della violazione della privativa industriale.
3. Il vizio motivazionale dedotto nel secondo motivo è inammissibile, in quanto non viene lamentato l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma un vizio di insufficiente motivazione, non più sindacabile in sede di legittimità.
4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020