Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11890 del 18/06/2020

Cassazione civile sez. I, 18/06/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 18/06/2020), n.11890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAZZICONE Loredana – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12616/2018 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., (cod. fisc. e partita Iva (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del liquidatore legale rappresentante pro

tempore M.M., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Matteo

Gianmaria Porta e Fabio Tommasini, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Carso n. 57, presso lo studio dell’Avvocato Tommasini;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. (cod. fisc. e partita Iva (OMISSIS)), con

sede in (OMISSIS), in persona del curatore fallimentare legale

rappresentante pro tempore Dott. C.F. e G. Service

s.r.l., (partita Iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte, depositata in data 28.3.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/3/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino ha rigettato il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 18 L. Fall., da (OMISSIS) s.r.l. nei confronti del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e di G. Service s.r.l. (creditore istante) avverso la sentenza emessa in data 12.11.2017 dal Tribunale di Alessandria, con la quale era stato dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l..

La corte del merito ha in primis ricordato la vicenda processuale oggi qui di nuovo in esame: a) la G. service s.r.l. aveva proposto, innanzi al Tribunale di Alessandria, istanza di fallimento a carico di (OMISSIS), prospettandosi sua creditrice per un importo complessivo di Euro 38.406,14, credito per il quale la società istante aveva chiesto e ottenuto provvedimento monitorio a suo favore non opposto, inutilmente notificato e posto in esecuzione; b) la (OMISSIS) s.r.l. era rimasta contumace nella fase prefallimentare e il tribunale aveva dichiarato il fallimento, evidenziando che: i) la società debitrice, non costituitasi, non aveva dimostrato il mancato superamento delle soglie dimensionali di non fallibilità, indicate dall’art. 1, comma 2 L. Fall., come sarebbe stato invece suo onere; ii) risultava dalla visura CCIAA agli atti che, nonostante l’obbligo di legge, la (OMISSIS) s.r.l. non aveva provveduto al deposito dei bilanci degli ultimi tre esercizi; iii) era emersa altresì la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della società debitrice, che, peraltro, si era resa irreperibile presso la sede legale e non risultava proprietaria di beni immobili nè di altri beni di valore sufficiente a far fronte all’esposizione debitoria.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) la notifica degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare era avvenuta correttamente, giacchè la notifica era stata, in primo luogo, inutilmente tentata presso l’indirizzo pec risultante dal registro delle imprese (indirizzo inattivo) e, dunque, presso la sede legale, ancora senza esito ed, infine, con deposito presso la casa comunale, esattamente come prescritto dall’art. 15, comma 3, L. Fall.; 2) la (OMISSIS) s.r.l. aveva prodotto, in sede di reclamo, tutta una serie di documenti di natura contabile e fiscale, dalla quale era emersa evidente la impossibilità di una ricostruzione attendibile e corretta della situazione economico finanziaria della società per il breve periodo della sua attività imprenditoriale, e ciò anche in ragione della mancanza delle scritture contabili obbligatorie complete e correttamente tenute e della mancanza integrale di bilanci depositati presso il registro delle imprese, 3) la società debitrice era inattiva dal mese di luglio del 2015, allorquando era iniziata la fase liquidatoria, e che pertanto era evidente lo stato di insolvenza, stante l’impossibilità per la debitrice di far fronte ai debiti maturati verso la creditrice istante e financo all’esiguo debito contratto verso l’erario, in ragione della totale assenza di attività patrimoniali di valore economico adeguato a soddisfare la pur non rilevante debitoria; 4) ricorreva anche la condizione di procedibilità della domanda di cui all’art. 15, u.c. L. Fall., già in ragione del credito azionato con l’istanza di fallimento.

2. La sentenza, pubblicata il 28.3.2018, è stata impugnata da (OMISSIS) s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

La curatela del fallimento e la società istante (OMISSIS) s.r.l. non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., comma 6, artt. 131 e 132 c.p.c.. Si osserva da parte della società ricorrente che la sentenza impugnata si limitava a mere enunciazioni incongrue e assolutamente non rispondenti alla realtà documentale, risultando in tal modo la motivazione integralmente omessa e non essendosi premurata la corte territoriale di vagliare, diffusamente e complessivamente, e dunque di correttamente apprezzare i documenti di natura contabile e fiscale offerti alle valutazioni giudiziali in sede di reclamo. Si evidenzia, ancora, che la corte territoriale sarebbe incorsa in vizio di insufficienza motivazionale sulle questioni dedotte in giudizio, non avendo il giudice del reclamo operato un’analisi critica dei predetti dati contabili documentali ed avendo fondato la sua decisione esclusivamente su una generica valutazione di incompletezza documentale.

2. Il secondo mezzo denuncia, sempre ai dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 3, L. Fall., del D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107, comma 1, nonchè degli artt. 137,138 e 160 c.p.c.. Si osserva che erroneamente la corte territoriale aveva ritenuto perfezionato il procedimento notificatorio di cui all’art. 15, comma 3, L. Fall., della domanda di fallimento e degli atti introduttivi del giudizio, allorquando aveva ritenuto corretto che l’ufficiale giudiziario potesse recarsi presso la sede della società ed esperire un solo tentativo di ricerca del legale rappresentante della società fallenda prima di recarsi presso la casa comunale per effettuare il previsto deposito degli atti.

3. Con il terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 15 L. Fall., nonchè di omesso esame di fatti decisivi. Osserva la società ricorrente come la corte territoriale aveva omesso l’esame di fatti e di atti documentali decisivi, tali da condurre la corte meritale ad un erroneo apprezzamento della sussistenza della condizione di procedibilità della domanda di cui all’art. 15, u.c., L. Fall., nonchè dei parametri dimensionali di fallibilità. Più precisamente, la corte del merito avrebbe omesso di esaminare correttamente la nota di credito allegata in giudizio, il cui corretto scrutinio avrebbe evidenziato una debitoria accertata inferiore alla soglia di procedibilità della domanda, e avrebbe altresì omesso di valutare la documentazione contabile allegata in sede di reclamo, così incorrendo nel denunciato vizio di omesso esame di fatti decisivi. Si osserva ancora che la dimostrazione del mancato superamento delle soglie di non fallibilità può essere fornita dal debitore a ciò onerato anche attraverso documentazione diversa da quella rappresentata dai bilanci approvati e depositati, avendo dunque la corte distrettuale omesso di esaminare la copiosa documentazione contabile e fiscale così prodotta in giudizio.

4. Con il quarto mezzo la società ricorrente declina, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, vizio di omesso esame di fatti decisivi e violazione dell’art. 5 L. Fall., in ordine all’apprezzamento giudiziale dello stato di insolvenza.

5. Il ricorso va rigettato.

5.1 Il primo motivo è in realtà inammissibile.

5.1.1 Va in primo luogo osservato come la parte ricorrente abbia dedotto un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione – peraltro non più declinabile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge articolato nel paradigma applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così rendendo già sotto questo primo peculiare profilo di formulazione, la doglianza non ricevibile in questo giudizio di legittimità.

5.1.2 Ma anche a voler superare questo primo profilo di inammissibilità della doglianza legato alla sua formale formulazione, va osservato come la censura si componga, in realtà, di una generica e non circostanziata richiesta di riesame del materiale probatorio, già correttamente scrutinato dalla corte territoriale e valutato con argomentazioni che risultano scevre da criticità ovvero aporie argomentative.

5.1.3 Sul punto, non è inutile ricordare che – secondo la giurisprudenza (anche di vertice) espressa da questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Sez. 6, Sentenza n. 25216 del 27/11/2014; Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018) – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Detto altrimenti, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, risultando denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

5.1.4 Ciò posto, risulta evidente l’inammissibilità della censura così prospettata sia perchè sollecita (peraltro, genericamente, come sopra evidenziato) una rivisitazione della documentazione allegata per un diverso apprezzamento della condizione di procedibilità della domanda ex art. 15, u.c., L. Fall. e dei requisiti dimensionali di fallibilità sia perchè si risolve, in buona sostanza, nella denuncia di un vizio di insufficiente motivazione che non risulta più deducibile nel giudizio di cassazione.

5.2 Il secondo motivo è invece infondato.

5.2.1 La motivazione impugnata è esente dal denunciato vizio di violazione di legge, in relazione al parametro normativo dettato dall’art. 15, comma 3, L. Fall., posto che – come correttamente rilevato dalla corte piemontese – il procedimento notificatorio degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare è stato correttamente eseguito dal creditore istante.

5.2.1.1 Occorre ricordare che il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 17 (convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221) ha modificato il comma 3 dell’art. 15 L. Fall., valendo tale modifica per i ricorsi di fallimento depositati dopo il 31 dicembre 2013.

Venendo ora ad esaminare nel dettaglio la nuova normativa, va ricordato, in primo luogo, che l’udienza deve essere fissata dal presidente del tribunale o, come di regola accade, dal giudice delegato all’istruttoria, non oltre 45 giorni dopo il deposito del ricorso.

E’ poi previsto che alla notifica del ricorso e del decreto debba procedere la cancelleria mediante l’invio di copia, ovviamente in formato digitale, all’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) del debitore. Peraltro, è previsto che l’esito di questo primo tentativo di notifica deve essere comunicato con modalità automatica all’indirizzo Pec del ricorrente.

Nel caso in cui, poi, la notifica a mezzo Pec non risulti possibile, per qualunque ragione, è il ricorrente che deve provvedere al nuovo tentativo di notificazione. Invero, la notifica in tal caso deve essere effettuata “esclusivamente di persona” a norma del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 107, comma 1, ossia “a mani proprie” mediante accesso diretto dell’ufficiale giudiziario alla sede dell’impresa risultante dal registro delle imprese. Inoltre, quando la notificazione presso la sede risultante dal registro delle imprese non è possibile, ossia quando l’impresa non è reperibile all’indirizzo della sede, l’ufficiale giudiziario esegue deposito dell’atto alla casa comunale dello stesso comune ove ha indirizzo la sede dell’impresa e la notifica “si perfeziona nel momento del deposito stesso”.

E’ di tutta evidenza che lo scopo perseguito dal legislatore, con la introduzione di questa nuova disciplina, è chiaramente quello di accelerare i tempi del procedimento per la dichiarazione di fallimento e di alleggerire, nel contempo, gli adempimenti posti a carico del creditore ovvero del pubblico ministero ricorrente.

5.2.1.3 Sul punto, giova ricordare, per una migliore comprensione della genesi dell’intervento legislativo in esame, che prima della riforma la frequenza del fenomeno della irreperibilità dell’impresa debitrice all’indirizzo della sede, seguita in molti casi dalla irreperibilità dello stesso legale rappresentante della società, aveva determinato, per la necessità di disporre più rinvii d’udienza, un abnorme dilatazione dei tempi occorrenti per la pronuncia della sentenza di fallimento, con grave pregiudizio per i creditori, determinato, in primo luogo, dal consolidamento di atti revocabili, e ciò anche in considerazione del dimezzamento dei termini di irrevocabilità intervenuto con la riforma del 2006, con conseguente quasi integrale svuotamento dell’ambito di tutela legato all’esperimento della revocatoria fallimentare.

Pertanto, l’introduzione di un termine massimo per la fissazione dell’udienza e l’estrema semplificazione delle modalità della notificazione, incentrata come tale sulla notifica all’indirizzo Pec dell’impresa debitrice a cura della cancelleria, devono essere considerati come due interventi normativi sinergici ed efficaci, giacchè solo il varo di una disciplina speciale per la notificazione, nell’ambito del procedimento per la dichiarazione di fallimento, rende ragionevolmente possibile l’instaurazione del contraddittorio nei termini previsti dall’art. 15 L. Fall..

5.2.1.4 Quanto al procedimento notificatorio, giova ricordare che il procedimento per la notificazione all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore vale per tutte le imprese iscritte nel registro delle imprese e dunque sia per le società, di capitali e di persone, sia per gli imprenditori individuali.

5.2.1.5 La nuova disciplina, applicabile a tutti procedimenti introdotti successivamente al 31 dicembre 2013, è stata esaminata dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 146 del 2016 e, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., il Giudice delle leggi ha puntualizzato che – a differenza della disposizione di cui all’evocato art. 145 c.p.c. (esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati ad alle connesse procedure) – il riformulato art. 15 della legge fallimentare si propone di “coniugare” quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore “con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale”. E, a tal fine appunto, prevede che “il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo”.

La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 c.p.c. (così, sempre C. Cost. n. 146 del 2016, cit. supra).

Ha aggiunto la Corte costituzionale che il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla norma denunciata, proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società. Questa, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di Pec, del quale è obbligata a dotarsi, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ex art. 16 ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa. E dunque tutto ciò avviene, in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale) (così, sempre C. Cost. n. 146 del 2016, cit. supra).

Solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da comunicare obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2196 c.c., al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili – e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore – i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano.

Per cui, in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale, ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge (cfr. anche Cass. 8 febbraio 2011, n. 3062; Cass. 7 gennaio 2008, n. 32).

5.2.1.6 Ciò detto e venendo, più in particolare, ad esaminare la questione devoluta nel presente giudizio, occorre evidenziare come la corte territoriale, con accertamento in fatto (non censurabile in questa sede), abbia evidenziato che, dopo il primo infruttuoso tentativo di notificazione da parte della cancelleria tramite l’indirizzo pec della società debitrice (tentativo reso vano della disattivazione del predetto indirizzo), il creditore aveva avviato la notifica degli atti introduttivi del giudizio di primo grado tramite ufficiale giudiziario che, secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 15 L. Fall., aveva tentato l’accesso presso la dichiarata sede della società debitrice per la notifica “personale” al legale rappresentante della società convenuta, trovando tuttavia “chiusa” la sede (con dichiarazione riportata nella relata di notifica ed impugnabile invero solo con la procedura di querela di falso, non azionata, invece, da parte dell’odierna ricorrente). E, poi, il procedimento notificatorio si era concluso correttamente con il deposito presso la casa comunale.

Come già correttamente rilevato dal giudice del reclamo, il procedimento notificatorio è avvenuto in stretta aderenza a quanto disposto dal sopra ricordato art. 15, comma 3, L. Fall..

Nè valgono in senso contrario le diverse osservazioni sollevate della ricorrente. Ed invero, non assume rilevanza dirimente, in tal senso, la denunciata mancanza di un secondo accesso presso la sede della società debitrice da parte dell’ufficiale giudiziario che, invece, correttamente ha tentato l’accesso presso la sede sociale, trovandola “chiusa” e dandone atto nella relativa relata di notifica, con dichiarazione che non è stata neanche denunciata di falsità con le forme sopra ricordate.

5.3 Il terzo motivo è anch’esso infondato.

5.3.1 Non corrisponde al vero l’affermazione secondo cui la corte territoriale non avrebbe esaminato la documentazione allegata dalla società debitrice al reclamo, posto che – anche a voler ritenere ammissibile una denuncia in tal senso declinabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la corte torinese ha invece esaminato tale documentazione di matrice contabile e fiscale, ritenendola non completa e non probante, per le valutazioni da apprezzarsi ai sensi dell’art. 15, u.c., L. Fall. e per il giudizio di non fallibilità soggettiva dell’impresa debitrice.

5.3.2 Sotto altro profilo di riflessione, è pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che in tema di dichiarazione di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, L. Fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, comma 4, L. Fall., costituiscono mezzo di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere tuttavia a prova legale, sicchè in mancanza dei detti bilanci il debitore può dimostrare la sua non fallibilità con strumenti probatori alternativi (Sez. 6, Ordinanza n. 24138 del 27/09/2019; Sez. 1, Ordinanza 30541 del 26/11/2018); tuttavia, va anche osservato come, nel caso in esame, in assenza di bilanci regolarmente depositati presso il registro delle imprese, la corte abbia preso in esame la documentazione “alternativa” versata in atti dalla debitrice, ritenendola però non probante e non completa, con valutazione in fatto qui non censurabile.

5.3.3 Del resto, come già sopra ricordato, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (Sez. 6, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018). Detto altrimenti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017).

3.4 Il quarto motivo è invece inammissibile.

Va premesso che la società, di cui si contesta qui lo stato di insolvenza, era in stato di liquidazione al momento della dichiarazione di fallimento.

3.4.1 Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo cui – quando la società è in liquidazione – la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 L. Fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13644 del 30/05/2013; Cass. n. 21834-2009; cfr. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25167 del 07/12/2016; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19414 del 03/08/2017).

3.4.2 Ciò posto, va osservato come la corte territoriale avesse correttamente valutato lo stato di insolvenza, rappresentando lo stato di incapacità della debitrice a soddisfare con le sue risorse patrimoniali la pur esigua esposizione debitoria, con apprezzamento in fatto, conforme peraltro al principio di diritto qui riaffermato di nuovo e sopra ricordato.

Ebbene, la ricorrente propone ora nuovi apprezzamenti versati in fatto e volti ad un nuovo scrutinio del materiale probatorio documentale già esaminato dai giudici del merito, avanzando doglianze che si pongono ben al di là del perimetro delimitante la cognizione del giudizio di legittimità. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa delle intimate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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