Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11408 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. I, 12/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 12/06/2020), n.11408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4536/2019 proposto da:

E.M., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico

38, presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana Roberto, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, ope legis;

– intimato –

avverso la sentenza n. 559/2018 della Corte di appello di Perugia

depositata il 26/07/2018;

udita la relazione della causa svolta ne(la camera di consiglio del

29/01/2020 dal Cons. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.M., cittadino della Nigeria, ricorre in cassazione con cinque motivi avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Perugia, su impugnazione D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35-bis ratione temporis vigente, aveva confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria pronunciato in primo grado dal Tribunale di Perugia con ordinanza in data 07.11.2017.

La Corte territoriale aveva disatteso la domanda di protezione internazionale primaria e sussidiaria e di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ritenendo che la situazione narrata non rientrasse in alcuna delle ipotesi previste.

L’Amministrazione, intimata, non ha articolato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la nullità della sentenza per omessa motivazione o motivazione apparente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per mancanza di ogni esposizione dei fatti ed ogni riferimento ai motivi di appello.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il processo oggetto di discussione tra le parti ovverosia la condizione politico/economica/sociale del Paese di provenienza, la Nigeria, mancando di consultare le fonti informative attualizzate.

La protezione sussidiaria per la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) avrebbe definito una ipotesi di rischio oggettivo e di danno generale non collegata alla persona del richiedente come ritenuto dalla Corte di Giustizia nel caso Elgafaji. La situazione di instabilità e violenza generalizzata accertate avrebbero integrato il richiesto estremo consentendo di riconoscere al richiedente la protezione internazionale sussidiaria o umanitaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione per omesso/erroneo esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate per la valutazione della sua condizione personale di vulnerabilità.

Il richiedente non avrebbe narrato come riportato nell’impugnata sentenza di essersi allontanato dal proprio Paese in ragione di lesioni inferte ai danni di una persona da cui temeva ritorsioni, ma di una situazione che riguardava lo stupro sofferto dalla propria figlia che non aveva ricevuto tutela dallo Stato e di una situazione relativa ai rapporti tra lo stesso richiedente e l’aggressore della figlia.

Il richiedente non avrebbe potuto ricorrere alle autorità locali per riceverne protezione a tanto si sarebbe tradotta la fuga rappresentata nel racconto reso.

Anche ove non credibile la storia personale del richiedente la sua provenienza dalla Nigeria avrebbe meritato un approfondimento sulla situazione generale del Paese per poi valutare quella individuale alla luce della sentenza Egafaji.

Sarebbe poi mancata nella valutazione dei giudici di appello l’integrazione sociale raggiunta dal richiedente in Italia almeno ai fini della protezione umanitaria.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 6, per la mancata concessione della protezione sussidiaria a cui il primo aveva diritto in ragione delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); l’omesso esame di fonti normative e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

La Corte di appello aveva omesso di valutare la condizione del Bangladesh e non avrebbe citato alcuna fonte informativa là dove la norma ne prevede la consultazione per valutare la condizione del Paese attualizzata al momento della decisione.

Ai fini della concessione di una delle forme di protezione internazionale ed umanitaria viene in rilievo non solo una situazione di persecuzione individuale ma anche una situazione generalizzata di violenza e persecuzione e quindi che venga impedito al richiedente nel suo Paese l’effettivo esercizio di libertà democratiche garantite dalla Costituzione.

Fonti accreditate quali note del Ministero degli Esteri e di Amnesty International, il report EASO del giugno 2017 e di Human Right Watch del gennaio 2017, fra gli altri, avrebbero attestato la mancanza di condizioni minime di sicurezza in Nigeria ed una situazione di violenza diffusa ed individuale non controllata dallo Stato legittimanti l’accesso alla protezione sussidiaria.

5. Con il quinto motivo si fa valere la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendosi rifiutare un permesso di soggiorno allo straniero in caso di seri motivi di carattere umanitario, ed all’art. 19 D.Lgs. cit. che vieta l’espulsione, per il principio di non refoulement, dello straniero che possa essere perseguitato nel paese d’origine o ivi correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110 che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU, risultando accertato che il ricorrente ove avesse fatto rientro nel Paese di origine avrebbe potuto essere ingiustamente processato condannato e posto in carcere.

6. Può darsi congiunta trattazione ai motivi di ricorso là dove si pone per gli stessi questione sulla configurabilità del diritto alla protezione internazionale sub specie di quella sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) in caso di una situazione di violenza generalizzata nel Paese di provenienza del richiedente la protezione internazionale e sulla prevalenza giocata dall’estremo indicato, nella valutazione delle situazioni individuali di pericolo sofferte dal singolo in caso di suo rientro.

6.1. Resta certa, sul punto, l’affermazione di principio per la quale “in tema di protezione internazionale sussidiaria, il requisito della individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è subordinato, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente “fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (Cass. 30/07/2015 n. 16202; Cass. 31/05/2018 n. 13858).

6.2. Ferma l’indicata affermazione, la Corte di merito, nella inosservanza del principio, omette ogni valutazione sulla situazione del Paese di provenienza del richiedente, la Nigeria, per poi:

a) scrutinare la sussistenza, o meno, dei presupposti di accesso alla protezione sussidiaria o umanitaria;

b) dare atto di difetti di allegazione di parte che, preclusivi di ogni correlato approfondimento istruttorio ufficioso, sostengano una decisione di rigetto delle indicate domande (in positivo, sul correlarsi tra deduzione di parte ed apporto istruttorio del giudice nella valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente, tra le altre: Cass. 22/05/2019 n. 13897).

6.3. Vero è infatti che la Corte di appello si limita a motivare l’assunta decisione di rigetto rilevando che: “rilevato che l’appello è infondato, in quanto l’appellante si è allontanato dal suo Paese per ragioni legate alla azione di infere lesioni a danno del soggetto da cui ha avuto il timore di ritorsioni. Tutto ciò induce a ritenere in sintonia con la pronuncia appellata che l’appellante sia un migrante economico; ritenuto che per i suindicati motivi non può concedersi la protezione umanitaria non sussistendo alcun “grave motivo” atto a giustificare l’adozione della misura”.

7. La sentenza impugnata in accoglimento dei motivi di ricorso, per il profilo sopra indicato, ed in applicazione dei principi enunciati, va pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Perugia, in altra composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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