Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29404 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso (iscritto al n. r.g. 25610/10) proposto da:

D.M.S.M. (c.f. (OMISSIS)); D.M.

L. (c.f. (OMISSIS)); D.M.S. (c.f.

(OMISSIS)) parti tutte rappresentate e difese dall’avv.

Santovito Giovanni, giusta procura a margine del ricorso, ed

elettivamente domiciliate presso lo studio del prof avv. Sabino

Fortunato in Roma, viale Trastevere 78;

– ricorrenti –

contro

R.C. (c.f. (OMISSIS)); C.G.

(c.f. (OMISSIS)) parti tutte rappresentate e difese

dall’avv. Palmiotti Nunzio, giusta procura in calce al controricorso

e con il medesimo elettivamente domiciliate in Roma alla via

Mantegazza n. 24, presso Luigi Gardini.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 880/09 della Corte di Appello di Bari,

pubblicata il 15/09/2009;

Udita la regione della causa svolta nell’adunanza del 06/12/2011 dal

consigliere designato Dott. Bruno Bianchini;

– rilevato che il Consigliere designato ha ritenuto d’avviare la

trattazione in Camera di consiglio redigendo la seguente relazione ex

art. 380 bis c.p.c..

Fatto

OSSERVA IN FATTO

I coniugi R.C. e C.G. citarono innanzi al Tribunale di Trani D.P.C. perchè fosse accertata e dichiarata la proprietà esclusiva di essi attori sul lastrico solare e su due soffitte insistenti al quarto piano di un fabbricato sito in (OMISSIS), accatastate unitamente all’unità abitativa sita al piano sottostante. A sostegno della domanda esposero: di aver acquistato nel marzo 1993 l’appartamento sito al terzo piano del predetto stabile, unitamente alle pertinenze costituite dai lastrici solari e dalle soffitte poste al quarto piano; che a loro volta i diritti di proprietà sul quarto piano erano pervenuti liberi da pesi e vincoli al proprio dante causa D.P.M., che, a sua volta, così li aveva ricevuti da tale Ce.Pa. con rogito dell’aprile 1984 e quest’ultimo a sua volta li aveva, in pari condizioni, acquistati da Ce.

F.; quest’ultimo aveva aperto dal vano scale condominiale una porta di accesso sul proprio lastrico solare e, trasferitosi in altra città, aveva affidato a D.P.C. – proprietaria di un appartamento sito al piano secondo del medesimo stabile – le chiavi del suo appartamento e della porta di accesso al lastrico solare, al fine di mostrarli a possibili acquirenti; che in corso di tempo la D.P. aveva indebitamente trattenuto la chiave dalla porta di accesso al lastrico solare e si era impossessata di una stanzetta ricavata dalle preesistenti soffitte; che la convenuta aveva giustificato la sua condotta in base ad un atto trascritto nel settembre 1950 con il quale il suo dante causa aveva acquistato da tali M. e Sa.Ma. e da Ca.Na. la proprietà dell’appartamento sito al secondo piano, unitamente al “diritto d’uso” sul solaio e sulla “suppenna” posti al quarto piano;

che tale trasferimento del diritto di uso avrebbe rappresentato un errore commesso dal notaio che sarebbe incorso nella violazione del divieto di cessione dei diritti d’uso come stabilito dall’art. 1024 cod. civ.; che dunque la D.P. illegittimamente avrebbe detenuto i lastrici solari e la soffitta in oggetto. La convenuta si costituì, limitandosi ad eccepire l’usucapione della comproprietà dei lastrici solari e della proprietà esclusiva della soffitta e chiedendone in via di riconvenzione l’accertamento.

Interrotto il giudizio per morte della D.P., gli eredi, citati impersonalmente in riassunzione, non si costituirono. L’adito Tribunale accolse la domanda degli attori e respinse quella della convenuta, argomentando dall’esame dei titoli di provenienza che avrebbero attestato il buon diritto della coppia R. – C..

Tale decisione, con atto notificato il dicembre 2004, venne appellata dagli eredi della D.P.: D.M.S.M.; D.M. L. e D.M.S. che eccepirono innanzi tutto la nullità o l’inesistenza dell’atto di riassunzione per il mancato rispetto delle formalità di cui agli artt. 140 e 149 c.p.c. per le notifiche a mezzo posta; nel merito contestarono che fosse stata dimostrata l’effettiva appartenenza ai coniugi R. dei beni oggetto di causa, assumendo in contrario che sarebbe stato attestato il possesso ultraventennale a favore della de cujus; evidenziarono altresì di aver venduto a terzi, con atto del dicembre 2002, l’appartamento sito al secondo piano, unitamente ai diritti sul lastrico solare comune ed alla soffitta.

Costituitisi gli appellati a contrastare l’impugnazione, la Corte di Appello di Bari rigettò l’appello e regolò le spese secondo la soccombenza; il giudice del gravame pervenne a tale conclusione osservando: a – che era infondata l’eccezione pregiudiziale di nullità della riassunzione, attesa la produzione: sia dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita dall’ufficiale giudiziario sulla quale era stato annotato il mancato ritiro del piego contenente l’atto di riassunzione decorsi 10 giorni di giacenza presso l’ufficio postale; sia la raccomandata con la quale era stata data comunicazione agli stessi destinatati dell’affissione dell’avviso alla porta di abitazione dell’ultimo domicilio della defunta – a seguito del vano tentativo di recapito della prima raccomandata; sia infine l’avviso di ricevimento di questa seconda raccomandata, anch’esso non recapitata per assenza dei destinatari; evidenziò altresì la Corte distrettuale che le ridette formalità sarebbero state conformi alla pronunzia della Corte Costituzionale 346/1998 che, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 149 c.p.c. nella parte in cui prevedeva solo 10 giorni per la compiuta giacenza prima che il plico venisse rispedito al mittente, avrebbe avuto un contenuto direttamente additivo solo per la parte in cui censurava la mancata previsione della spedizione della seconda raccomandata, limitandosi invece a dichiarare l’inadeguatezza del termine di 10 giorni per la parte attinente al periodo di deposito del piego presso l’ufficio postale, il quale precetto però sarebbe rimasto in vigore sino all’emanazione del nuovo testo disposto con L. n. 80 del 2005; b – che sarebbe stata inammissibile – in quanto nuova – la contestazione del titolo dominicale degli appellati, non fatta valere in primo grado, essendosi limitata, la dante causa degli appellanti, ad opporre un proprio acquisto a titolo originario; e – che non avrebbe potuto affermarsi l’inizio di un periodo di possesso valido ai fini dell’usucapione a partire dall’atto di acquisto con il quale, nel 1950, D.P.D., padre della defunta convenuta, aveva acquistato l’appartamento al secondo piano ed il diritto di uso sul lastrico solare e la “suppenna” poste al quarto piano, proprio perchè il diritto di uso avrebbe presupposto il riconoscimento di un diritto poziore e perchè, comunque, al momento dell’acquisto lo stesso si sarebbe estinto in capo ai venditori, per effetto del disposto dell’art. 1024 cod. civ.; d – che dunque neppure si sarebbe potuto formare un animus possidendi in capo al dante causa della defunta D.P., come pure da parte di quest’ultima; c – che gli elementi presuntivi addotti dalla stessa D.P. in primo grado, a sostegno dell’esercizio di facoltà assimilabili a quelle del proprietario, non sarebbero stati concludenti al fine di dimostrare l’insorgenza di un possesso utile ad usucapire; f – che le prove per testi articolate in appello sarebbero state inammissibili – come tali già dichiarate, con decisione non impugnata sul punto, dal Tribunale – e per altro verso non indispensabili ai fini del decidere.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i D. M., in base a quattro motivi; hanno resistito i R. – C. con controricorso.

Diritto

RILEVA IN DIRITTO

1^ – Con il primo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8; artt. 140 e 149 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, negando innanzitutto validità all’assunto, espresso dalla Corte barese, secondo cui la pronunzia 346/1998 della Corte delle Leggi avrebbe espresso solo un giudizio di inadeguatezza della L. 890 del 1982, art. 8 per la previsione di un termine eccessivamente breve per la giacenza del plico inesitato, affermando in contrario le parti ricorrenti che detta sentenza avrebbe direttamente inciso sulla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 3, espungendo da esso la previsione della legittimità della restituzione al mittente, dopo solo 10 giorni, del plico non esitato, con la conseguente illegittimità della notifica de qua.

1^/a – Assumono poi le stesse parti ricorrenti anche l’invalidità dell’avviso di ricevimento della seconda raccomandata ( che avvisava il destinatario del tentativo di notifica), a cagione del fatto che in esso non sarebbero stati riportati i motivi del mancato recapito e che esso sarebbe anche stato privo di data e sottoscrizione dell’ufficiale postale.

2^ – Il motivo è fondato.

2^/a – La sentenza n. 348/1998 della Corte delle Leggi, in merito alla insufficienza del termine di compiuta giacenza di 10 giorni, non aveva contenuto meramente esortativo di una riforma legislativa – che intervenne con la L. n. 80 del 2005, portante il periodo di deposito prima della restituzione al mittente da 10 a 60 giorni – bensì chiaramente sostitutivo della norma juris, disciplinante il periodo di deposito del plico in maniera eccessivamente restrittiva per il destinatario.

2^/b – A ciò si aggiunga la mancanza dell’indicazione dei motivi per i quali non potè essere effettuata la notifica a mani di persone diverse di uno qualsiasi degli eredi dell’originaria parte. (per l’incidenza di tale omissione sulla regolarità della notifica: cfr.

Cass. 10998/2011; Cass. 25031/2008; Cass. 28856/2005).

3^ – Ne consegue la nullità della notifica dell’atto di riassunzione e della conseguente sentenza ma non, come invece opinato nel 4^ motivo, l’estinzione del giudizio, dal momento che dalla lettura della sentenza di appello risulta che gli eredi della D.P., nel proporre impugnazione, non dedussero anche l’estinzione del giudizio medesimo, formulando la relativa eccezione (in senso proprio e quindi non rilevabile ex officio), solo nella comparsa illustrativa delle conclusioni.

4^ – Gli altri motivi, attinenti al merito, risultano assorbiti.

Se le considerazioni in precedenza espresse verranno condivise dal Collegio, il ricorso è idoneo ad essere trattato in camera di consiglio per quivi essere accolto, per quanto di ragione, il primo motivo, respinto il secondo ed assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza di secondo grado e declaratoria di nullità della pronunzia di primo grado.” La relazione è stata ritualmente comunicata alla parte ricorrente, che ha depositato memoria, ed al P.M..

5^ – Il Collegio preliminarmente da atto dell’evidente errore materiale in cui è incorso il relatore allorchè, pur dichiarando assorbiti i motivi da 2^ a 4^, nella proposta di definizione suggerisce il rigetto del quarto motivo.

6^ – Nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 3 – sostanzialmente adesiva alle conclusioni della relazione – le parti ricorrenti contestano peraltro, con riferimento al quarto motivo, l’assunto di tardività in merito alla dedotta eccezione di estinzione del giudizio (sostenuta in ricorso dalla considerazione che l’atto di riassunzione non avrebbe avuto i contenuti minimi di cui all’art. 125 disp. att. C.p.c.): l’indicata censura deve però dirsi inammissibile in quanto non dedotta quale espressione della violazione del principio della domanda – art. 112 c.p.c. – ma solo come falsa applicazione delle norme presidianti il procedimento di riassunzione;

con ciò rimane superata l’ulteriore questione attinente al momento in cui la detta eccezione sarebbe stata sollevata (secondo il 4^ motivo di ricorso: in sede di udienza di precisazione delle conclusioni in appello; secondo la memoria: già nell’atto di appello) e l’oggetto della medesima (secondo la sentenza di appello:

involgente l’illegittimità della notifica dell’atto di riassunzione e l’inosservanza del termine semestrale per la stessa; secondo il ricorso: relativa ai requisiti di contenuto dell’atto di riassunzione).

7^- Alla luce delle conclusioni che precedono va accolto il primo motivo; dichiarati assorbiti il secondo ed il terzo; dichiarato inammissibile il quarto; la censurata sentenza va dunque cassata e la causa rinviata alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo; dichiara l’inammissibilità del quarto e l’assorbimento del secondo e del terzo; cassa e rinvia alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ sezione della Suprema Corte di Cassazione, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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