Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9929 del 27/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/05/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 27/05/2020), n.9929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28126-2017 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI

CLEMENTINA, CAPANNOLO EMANUELA, MASSA MANUELA, VALENTE NICOLA;

– ricorrente –

contro

B.E., R.A., B.L., nella qualità di

eredi di C.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DELL’AMBA ARADAM 24, presso lo studio dell’avvocato DI PUMPO MATTEO,

rappresentati e difesi dall’avvocato BIUSO BARTOLOMEO EMILIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4485/2017 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 25/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza pubblicata in data 25/5/2017, il Tribunale di Foggia, all’esito del giudizio di opposizione alle risultanze della CTU espletata in sede di accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c., dichiarava il diritto di C.N. alla pensione di inabilità ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 12, a decorrere dal 1/12/2014, nonchè il diritto della stessa all’indennità di accompagnamento per periodi determinati, nonchè dal 19/10/2016; condannava altresì l’Inps al pagamento delle prestazioni;

per la cassazione di tale pronuncia, ricorre l’INPS, affidando l’impugnazione a due motivi;

il Presidente disponeva la rinnovazione della notificazione del ricorso, essendo pervenuta alla cancelleria di questa Corte notizia del decesso della parte intimata, prima della notifica del ricorso per cassazione, e risultando la notifica effettuata nelle mani del procuratore che la rappresentava nel giudizio dinanzi al Tribunale;

rinnovata dall’Inps la notificazione agli eredi della parte intimata, questi hanno resistito al ricorso con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. va in primo luogo verificata e dichiarata la regolarità della notificazione del ricorso per cassazione agli eredi di C.N., eseguita dall’Inps conformemente al decreto presidenziale depositato in data 23/10/2018;

2. non può essere accolta l’istanza presentata dall’avvocato Biuso in data 16/7/2018, con cui si chiede dichiararsi l’estinzione del procedimento in conseguenza della morte della C., trovando applicazione l’art. 110 c.p.c., in forza del quale, quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto; la notificazione eseguita nei confronti degli eredi della C. ha instaurato regolarmente il contraddittorio, non trovando applicazione al giudizio di cassazione le norme sull’interruzione del processo (Cass. 29/1/2016, n. 1757);

3. con il primo motivo l’Inps denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 12 e dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 414 e 416 c.p.c., in relazione all’art. 445-bis c.p.c., e assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha condannato esso Istituto al pagamento delle prestazioni, senza accertare la sussistenza del requisito reddituale; nell’illustrazione del motivo, si duole che il giudice in sede di accertamento tecnico preventivo non si sia limitato, come avrebbe dovuto, a pronunciare sulla sussistenza del solo requisito sanitario, ma ha inammissibilmente dichiarato il diritto alle prestazioni e condannato l’istituto a pagarle sulla base dell’accertamento del solo stato invalidante;

4. con il secondo motivo, l’istituto denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè della L. n. 118 del 1971, art. 12, per aver ritenuto provato il requisito reddituale sulla base della sola autocertificazione e della “non contestazione”, senza considerare, per un verso, l’insufficienza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio e, per altro verso, l’irrilevanza della non contestazione, essendo il requisito reddituale elemento costitutivo del diritto;

5. il primo motivo è fondato;

con sentenza del 9/4/2019, n. 9876 (v. pure Cass. 9755/2019), questa Corte ha delimitato l’oggetto del giudizio instaurato a seguito di opposizione alle conclusioni del CTU, ai sensi dell’art. 445-bis c.p.c., u.c., precisando che la pronuncia è, per legge, destinata a riguardare solo un elemento della fattispecie costitutiva – il requisito sanitario – per beneficiare di una prestazione previdenziale o assistenziale, sicchè quanto in essa deciso non può contenere un’efficace declaratoria sul diritto alla prestazione, destinata a sopravvenire solo in esito ad ulteriori accertamenti, per quanto relativi a fatti antecedenti o concomitanti rispetto ad essa (v. in termini, Cass. n. 27010 del 2018);

consequenzialmente, nelle suddette pronunce si è affermato che la sentenza non può contenere una condanna dell’ente previdenziale all’erogazione del beneficio, il cui compendio di elementi costitutivi, extrasanitari e sanitari, non sia stato ancora integralmente accertato, per essere avulso dal thema decidendum il vaglio di elementi extrasanitari, neanche verificati, in sede amministrativa, prima della proposizione dell’accertamento tecnico preventivo (punto 44 sent. n. 9876/2019, cit.);

nella specie, in difformità con quanto fin qui illustrato, il Tribunale ha condannato l’ente previdenziale all’erogazione del beneficio, anzichè limitarsi alla mera affermazione della sussistenza del requisito sanitario; nè può convenirsi con la tesi difensiva dei controricorrenti secondo cui “è ormai da ritenersi accertata l’ammissibilità della domanda di condanna proposta dal ricorrente in primo grado”, non avendo l’Inps proposto gravame contro il capo della sentenza con cui il giudice ha ritenuto ammissibile la detta domanda;

come si è su rilevato, nell’atto di impugnazione l’Inps si è doluto non solo del mancato accertamento dei requisiti extra sanitari, bensì anche dell’errore in cui è incorso il giudice dell’accertamento tecnico preventivo, nella parte in cui ha ecceduto dall’ambito della sua cognizione, limitata alla pronuncia sulla sussistenza del solo requisito sanitario (v. pagina 8 e 9 del ricorso per cassazione);

sulla statuizione di condanna, pertanto, non si è formato alcun giudicato, dovendo peraltro ribadirsi che il giudicato si determina unicamente su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia; con la conseguenza che il gravame motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 8/10/2018, 24783; Cass. 19/12/2019, n. 34017, ed ivi ulteriori richiami);

nel caso di specie, la pacifica impugnazione da parte dell’Inps della statuizione del Tribunale nella parte in cui ha condannato al pagamento delle prestazioni ha impedito il formarsi del giudicato anche sulla ammissibilità astratta della pronuncia di condanna;

in conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso e, dichiarata assorbita l’ulteriore censura, la sentenza impugnata deve essere cassata nella parte in cui ha dichiarato la sussistenza del diritto e condannato l’Inps al pagamento delle relative prestazioni in favore della dante causa degli odierni controricorrenti; rimangono invece fermi l’accertamento della sussistenza dei requisiti sanitari e la regolamentazione delle spese del giudizio di merito, che ha comunque visto la C. vittoriosa, nei limiti del giudizio di accertamento tecnico preventivo come su delineati;

la novità della questione, non preceduta da un consolidato orientamento di legittimità e oggetto di oscillazioni giurisprudenziali di merito, consiglia la compensazione delle spese del presente giudizio;

in ragione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari a quello previsto per il contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato il diritto della C. e condannato l’Inps al pagamento delle prestazioni richieste; conferma l’impugnata sentenza anche nella parte in cui ha condannato l’Inps al pagamento delle spese di quel giudizio; compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020

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