Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28978 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32168-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.O.;

– intimato –

sul ricorso 1827-2008 proposto da:

C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SCAVONE MAURIZIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1791/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/12/2006 r.g.n. 558/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito 1’Avvocato ANNA BUTTAPOCO per delega PAROLETTI CAMILLO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con un unico motivo avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino depositata il 20- 12-2006 che ha confermato la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Aosta n. 30 del 2005, con la quale è stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con Orfeo Cannello per il periodo 19-10-1998/31-1-1999, per “esigenze eccezionali..” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. 25-9- 97 e succ., con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato, ed essa società è stata condannata a corrispondere le retribuzioni dal 8-4-2004 (data di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione).

Il Cannello ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, con due motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

Ciò posto, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., con l’unico motivo del ricorso principale la società lamenta che la Corte territoriale, violando la L. n. 56 del 1987, art. 23, gli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’accordo 25-9-97 e ai successivi accordi integrativi, erroneamente ha subordinato la legittimità del termine apposto al contratto de quo alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione, dovendo, invece, ritenersi legittimo il termine “anche in assenza della prova del nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito”.

Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1- 2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

Peraltro la questione, come emerge dalla lettura dei ricorso stesso, risulta già ampiamente trattata nel giudizio di merito, avendo la società con l’appello ribadito chiaramente la natura ricognitiva degli accordi attuativi dell’acc. az. 25-9-97.

In specie la decisione impugnata, nella parte in cui ha affermato la illegittimità del termine apposto al contratto de quo, deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza deve ritenersi parzialmente erronea.

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo.

In tal senso, quindi, va respinto il ricorso principale, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, (così risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato), non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna ulteriore censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 (su cui vedi la recente Corte Cost. n. 303 del 2011).

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto dì censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Infine, in ragione della soccombenza, la società va condannata al pagamento delle spese in favore del C..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna la s.p.a. Poste Italiane a pagare al C. le spese, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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