Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9511 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/05/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28096-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO FASANO;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 534/24/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA SEZIONE DISTACCATA di LECCE, depositata il

21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. D’AQUINO

FILIPPO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Dott. F.A., medico convenzionato con il SS.NN., ha impugnato il silenzio rifiuto avverso la domanda di rimborso dell’IRAP versata, dal saldo 2003 al secondo acconto del 2007, eccependo l’illegittimità del prelievo per assenza del presupposto dell’autonoma organizzazione;

la CTP di Lecce ha accolto il ricorso e la CTR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce ha accolto l’appello dell’Ufficio;

la sentenza di appello è stata cassata con sentenza della Cassazione del 25 gennaio 2017, n. 1862;

a seguito di riassunzione del contribuente, la CTR della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, con sentenza in data 21 febbraio 2018, ha rigettato in sede di rinvio la domanda del contribuente, osservando che ai fini dell’autonoma organizzazione assume rilievo l’entità dei beni strumentali impiegati per svolgere l’attività di medico, elemento in fatto rilevabile dal registro dei beni strumentali; ha, pertanto, dedotto il giudice del rinvio che tale elemento incide sull’attività professionale in termini di incremento del numero dei pazienti e del conseguente reddito;

propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato da memoria, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2 e 3, per avere il giudice del rinvio erroneamente affermato che lo svolgimento dell’attività professionale di medico servendosi di ingenti beni strumentali, con dotazione di mezzi eccedente il minimo necessario, lo rendesse soggetto passivo IRAP; ritiene il contribuente che la sentenza contrasta con il principio di diritto enunciato dalla Cassazione con la pronuncia n. 1862/2017, osservando come l’assoggettamento a IRAP presuppone una autonoma organizzazione eccedente il minimo indispensabile per lo svolgimento della professione; deduce come tale assenza di organizzazione sarebbe propria dei medici di Medicina Generale, le cui esigenze organizzative e relative spese non sarebbero state esaminate, laddove non rileverebbero i costi per i beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile;

1.2. con il secondo motivo si lamenta insufficiente motivazione circa un punto decisivo per la controversia, avendo la CTR omesso di valutare che il registro dei beni strumentali indicava la presenza di beni costituenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, nè essendo stata svolta una specifica analisi dei costi di tali beni, come anche della contabilità; deduce come non siano evidenziati i criteri in base ai quali è stato ritenuto sussistente un nesso di causalità tra beni strumentai e incremento dei pazienti;

1.3. va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 10 maggio 2016, n. 9451) hanno specificato che il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive;

1.4. va, inoltre, premesso, benchè non sia stata esplicitata nel parametro normativo la violazione nel giudizio rescissorio del principio di diritto del giudice di legittimità enunciato nella precedente fase rescindente, che questa Corte, con la menzionata pronuncia n. 1862/2017 cit., ha ritenuto che dovesse essere valorizzato in termini probatori, ai fini del rispetto del principio enunciato dalla menzionata pronuncia delle Sezioni Unite, il registro dei beni ammortizzabili, il quale “costituisce indubbio indice rivelatore, sotto il profilo dell’entità dei beni strumentali impiegati nell’attività professionale, dell’esistenza o meno di quell’autonoma organizzazione nei termini delineati dalle sezioni unite”;

1.5. tanto premesso, venendo all’esame del primo motivo del ricorso, lo stesso va rigettato; la CTR ha, difatti, affermato la ricorrenza del presupposto impositivo e del requisito dell’autonoma organizzazione, poggiando il proprio convincimento sul fatto che, alla luce del registro dei beni ammortizzabili, egli utilizzasse una dotazione di beni strumentali “di elevato importo”, “in misura eccedente il minimo necessario (…) per l’esercizio della professione”, con un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, perchè non affetto da aporie argomentative, sulla scorta del principio di diritto indicato dalla pronuncia rescindente;

1.6. il secondo motivo è inammissibile, atteso che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci, come nel caso in esame, l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (cfr. Cass., Sez. V, 21 maggio 2019, n. 13625);

1.7. nel caso di specie il ricorrente si è limitato a indicare i documenti (registro dei beni strumentali) non considerati dal Giudice del merito, senza alcuna specifica trascrizione del contenuto di essi ed in tal modo la censura si risolve in un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, in violazione del principio di specificità, pertanto, non essendo consentito alla Corte compiere generali verifiche degli atti (Cass., Sez. VI, 25 settembre 2019, n. 23834), ovvero indagini integrative (Cass., Sez. III, 10 agosto 2017, n. 19985) sugli atti contenuti nel fascicolo di ufficio o delle parti (Cass., Sez. V, 12 dicembre 2014, n. 26174);

2. per tutto quanto sopra esposto, non essendo ulteriormente rilevanti le argomentazioni contenute in memoria, il ricorso va respinto; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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