Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9487 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/05/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 22/05/2020), n.9487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12367-2016 proposto da:

T.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 2,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO LUCCHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO TRUGLIO;

– ricorrente –

e contro

AIMERI AMBIENTE S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1473/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/12/2015, R.G.N. 184/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia del giudice di prima istanza, rigettava la domanda proposta da T.C. nei confronti della s.r.l. Aimeri Ambiente, intesa a conseguire l’inquadramento contrattuale nella qualifica di operaio specializzato livello 4 B dell’area operativa-funzionale Impianti e Laboratori c.c.n.l. Fise Ambiente, superiore rispetto a quella posseduta di operaio 1 livello.

La Corte distrettuale, nel pervenire a tale convincimento, osservava come requisito fondante per l’inquadramento nella categoria rivendicata, fosse costituito dalla elevata professionalità nello svolgere le funzioni descritte in seno al c.c.n.l. di categoria; in tale ambito erano individuabili i profili di operaio addetto alle discariche, agli impianti di smaltimento ed alle piattaforme ecologiche, le cui mansioni – oltre che inerenti alla pesatura e verifica – erano riferite anche ad attività di registrazione carico e scarico dei rifiuti in appositi registri o modulistica previsti dalle normative in vigore.

Rimarcava, quindi, come alla stregua dei dati istruttori acquisiti; fosse emersa la carenza, quanto al contenuto delle mansioni in concreto esplicate dal lavoratore, dell’indefettibile requisito di professionalità contemplato dalla norma contrattuale per il riconoscimento della superiore qualifica rivendicata, posto che sia la pesatura dei rifiuti – svolta in maniera forfettaria – sia l’annotazione dei dati, non restituivano il responso di una reale operazione tecnico-matematica, ma si limitavano ad una valutazione approssimativa svuotata dei contenuti di competenze richieste.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il T. sulla base di due motivi.

La società intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115-116 c.p.c. , artt. 2103 -2697 c.c., artt. 15 e 16 c.c.n.l. FISE ambiente, D.M. 8 aprile 2008 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole che la Corte di merito abbia reso una inadeguata valutazione delle risultanze istruttorie e delle norme collettive, disponendo rigida applicazione del ragionamento logico-giuridico sotteso all’art. 2103 c.c. in violazione delle prerogative del prestatore di lavoro.

Si deduce che ritenere le mansioni del ricorrente professionalmente non elevate per il solo dato della pesatura “forfettaria”, a fronte del provato svolgimento di tutte le attività caratterizzanti il livello rivendicato, vuoi dire avallare una lettura del dato normativo e delle risultanze istruttorie slegata, dalla reale ed effettiva portata della declaratoria contrattuale relativa al 4 livello c.c.n.l. di settore.

Si prospetta altresì l’erroneità della statuizione con la quale i giudici del merito hanno accertato che il CCR di Marsala, cui era addetto il lavoratore, configurava un centro di stoccaggio provvisorio dei rifiuti ma non un impianto destinato al trattamento, allo smaltimento o una discarica propriamente detta, destinati alle operazioni tipizzate nella declaratoria contrattuale.

Si osserva invece che il CCR in oggetto rientra nella nozione di impianti definita dal ccnl di riferimento essendo una struttura fissa adibita alla mobilizzazione dei rifiuti a seguito della selezione delle tipologie dei rifiuti ammessi presso il centro di raccolta, non assimilabile ad una mera discarica.

2. Il motivo palesa plurimi, concorrenti profili di inammissibilità.

Laddove attinge la regolamentazione offerta al rapporto controverso dal contratto collettivo nazionale di cui si denuncia la violazione e falsa applicazione ad opera dei giudici d’appello, la censura va disattesa, in applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi sancito dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c., non potendo a tal fine considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (cfr. Cass. 4/3/2019 n. 6255, Cass. 4/3/2015 n. 4350).

Nella fattispecie parte ricorrente non ha specificato nel ricorso per cassazione, come prescritto dall’insegnamento innanzi ricordato, l’avvenuta produzione integrale dei contratti collettivi sui quali fonda il motivo di censura così non sottraendosi la censura ad un giudizio di improcedibilità.

3. Non può sottacersi peraltro che, anche al di là di ogni pur assorbente considerazione in ordine alla omessa allegazione relativa alla produzione in forma integrale del c.c.n.l. di riferimento, il motivo prospetta, per il tramite di una denuncia di error in judicando, una mera diversa valorizzazione dei dati probatori acquisiti in giudizio non consentita nella presente sede di legittimità.

Occorre al riguardo rammentare che in tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi Cass. 13/3/2018 n. 6035).

Secondo il condiviso orientamento espresso da questa Corte, è infatti inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi Cass. 4/4/2017 n. 8758).

Una questione quale quella prospettata in questa sede, di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può, infatti, porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (vedi Cass. 27/12/2016 n. 27000); ipotesi queste non riscontrabili nella fattispecie scrutinata.

Nello specifico, non può sottacersi che il ricorso sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile nella presente sede, posto che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (ex plurimis, vedi Cass. 7/12/2017 n. 29404).

Deve infatti rilevarsi che la Corte di appello, con accertamento che investe pienamente la quaestio facti, ha dato conto delle fonti del proprio convincimento ed ha argomentato in modo logicamente congruo in. ordine all’inquadramento contrattuale del lavoratore, seguendo l’iter logico giuridico definito da questa Corte secondo cui nelle controversie concernenti la determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (Cass. 28/4/2015 n. 8589, Cass. 30/10/2008 n. 26234).

Era emerso, pervero, alla stregua della espletata attività istruttoria, che il T., nell’espletamento delle proprie mansioni, si limitava a ricevere il pubblico che portava i rifiuti ingombranti; procedeva a pesatura “ad occhio” stante il guasto della bilancia elettronica; verificava l’idoneità del centro alla raccolta; consegnava agli utenti l’apposito kit; annotava il peso e la registrazione dei rifiuti su moduli predisposti dall’azienda non conformi con la normativa vigente.

Si trattava di mansioni che non risultavano congruamente ascrivibili alla categoria invocata, in relazione alla quale era richiesta una professionalità adeguata secondo le previsioni di cui al quarto livello c.c.n.l. di settore, per l’applicazione di procedure e metodi operativi prestabiliti, nonchè specifiche conoscenze tecnico-pratiche, non ravvisabili nello specifico, dovendo ritenersi fittizie sia l’attività di pesatura che quella di registrazione dei dati sugli appositi registri.

A fronte di ciò, il ricorrente si è limitato ad opporre altra soluzione interpretativa, rispondente ad una diversa interpretazione dei dati istruttori acquisiti che non appare idonea, per quanto sinora detto, a scalfire la pronuncia impugnata.

5. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,342,346, 414 e 434 c.p.c.

Il ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata intesa a conseguire l’accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti per la collocazione nel terzo livello c.c.n.l. di settore.

6. Anche in relazione a questo motivo si prospettano ragioni di inammissibilità.

Ed invero, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle ragioni di impugnazione ivi stabilite, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Ne deriva che, ove il ricorrente lamenti un errore processuale che si sostanzi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo alla norma processuale violata, purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il ricorso allorchè si riferisca esclusivamente alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ovvero puramente e semplicemente alla “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore (sulla legge) processuale comporta (vedi Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931, Cass. 28/9/2015 n. 19124, Cass. 29/11/2016 n. 24247).

I vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono infatti posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato “error in procedendo”, con conseguente onere dell’impugnante di indicare il danno concreto arrecatogli dall’invocata nullità processuale (vedi Cass. 9/7/2014 n. 15676).

Nello specifico il ricorrente ha denunciato un asserito error in procedendo che sarebbe stato commesso dal giudice del gravame, senza denunciare la nullità del procedimento ed il pregiudizio da tale nullità derivatogli, in contrasto con il ricordato insegnamento.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione va infine emessa in ordine alle spese inerenti al presente giudizio di legittimità, non avendo la parte intimata svolto alcuna attività difensiva.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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