Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9163 del 19/05/2020
Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 19/05/2020), n.9163
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35636/2018 proposto da:
S.L., elettivamente domiciliato in Roma V.le Angelico 97,
presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e
difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1059/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,
depositata il 26/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
15/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata in data 26.06.2018, ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Genova ha rigettato la domanda di S.L., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, di quella umanitaria.
Il giudice di merito ha ritenuto, in primo luogo, insussistenti i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato per l’inattendibilità del racconto del richiedente (costui aveva riferito di essersi allontanato dal Senegal, essendo ricercato in quel paese per essere fuggito dai ribelli che lo avevano catturato e costretto ad arruolarsi nelle loro schiere).
Il giudice d’appello ha, inoltre, ritenuto inesistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione dell’insussistenza di una situazione di violenza diffusa e generalizzata nel paese di provenienza del ricorrente.
Il ricorrente non è stato, altresì, ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, difettando in capo allo stesso i presupposti per il riconoscimento di una sua condizione di vulnerabilità.
Ha proposto ricorso per cassazione S.L. affidandolo ad un unico articolato motivo.
Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio al solo fine di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. E’ stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, anche in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 e alla L. n. 110 del 2017.
Espone il ricorrente che il principio di non refoulement impone allo Stato il divieto assoluto di esporre, direttamente o indirettamente, qualsiasi individuo al rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti o comunque altre minacce alla vita ed alla libertà personale, estradando o respingendo il cittadino straniero in un paese dove rischierebbe di subire simili condotte.
Espone, altresì, il ricorrente che tra gli obblighi costituzionali che impongono il rilascio del permesso umanitario vi è la tutela della salute, da intendersi non solo come l’assenza di malattie o infermità, ma anche uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale.
2. Il ricorso è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non è sufficiente la generica deduzione della
violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine. Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini, Cass. n. 4455 del 23/02/2018).
Nel caso di specie, il ricorrente non solo non ha neppure dedotto la violazione dei diritti fondamentali in Senegal, limitandosi ad una lunga dissertazione in astratto in ordine alle situazioni in cui il cittadino straniero al diritto al rilascio del permesso umanitario, ma non ha nemmeno correlato l’eventuale lesione dei diritti fondamentali alla propria condizione personale.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in ragione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero dell’Interno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020