Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26597 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 12/12/2011), n.26597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTIO CALVINO

60, presso lo studio dell’avvocato SALVITTI SERGIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONACCI STEFANO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGSM DI VERONA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso

lo studio dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CANTONE LORENZO, DELL’OMARINO ANDREA,

ODAMOLI CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 685/2007 del TRIBUNALE di VERONA, depositata

il 28/12/2007 R.G.N. 2030/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato SALVITTI SERGIO;

udito l’Avvocato MAGRINI SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Verona, con sentenza del 3.1.2008, ha accolto l’opposizione a precetto notificato all’AGSM il 18.12.2006, con il quale C.F. aveva intimato alla società il pagamento di Euro 2.379,73, di cui Euro 2136,49 a titolo di spese legali ed Euro 96,67 a titolo di retribuzione non corrisposta, comprensiva di interessi, trattenuta dalla seconda in esecuzione di sanzione disciplinare dichiarata poi illegittima, rilevando che la società ricorrente aveva corrisposto al C., unitamente alla retribuzione del mese di settembre 2006, la somma di Euro 96,67, provvedendo al saldo integrale dell’importo dovuto al lavoratore a mezzo bonifico e che il legale del C. aveva, ciò nonostante, notificato il precetto. Ha rilevato il Tribunale, nel dichiarare inefficace il precetto, che la malattia del dipendente, documentata per alcuni periodi nel lasso temporale intercorrente tra l’effettuazione del bonifico e la notifica del precetto, non poteva costituire giustificazione per intimare alla società l’adempimento di un’obbligazione già soddisfatta, in quanto, prima di notificare formale diffida ad adempiere, il creditore avrebbe dovuto, secondo correttezza, assicurarsi del mancato adempimento e che, peraltro, neanche poteva attribuirsi rilievo alla circostanza dell’elezione di domicilio del creditore presso lo studio del difensore, spiegando la stessa efficacia ai fini processuali e quindi per la validità di notifiche e comunicazioni inerenti alla fase giudiziaria, ma non quando la vicenda processuale si sia conclusa, onde il debitore correttamente adempie la prestazione dovuta presso il domicilio effettivo del creditore e la violazione dell’art. 1182 c.c., comma 3, è insussistente.

Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione il C., affidando l’impugnazione a tre motivi.

Resiste con controricorso la AGSM s.p.a. ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, e specificamente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 47, 1175 e 1178 c.c., il primo dei quali prevede la possibilità di esprimere la chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti del processo che la riguardino. Ritiene che nella specie il pagamento della resistente, in forza della sentenza di primo grado in favore del C., ai sensi dell’art. 1182 c.c., comma 3, doveva effettuarsi presso il domicilio eletto da quest’ultimo e cioè presso lo studio del suo difensore in forza di mandato a margine del ricorso introduttivo ed, in ogni caso, doveva aversi riguardo, ai sensi degli artt. 1175 e 1176 c.c., alla circostanza che era stato il difensore a quantificare le spese dovute in forza della sentenza, con la conseguenza che quanto meno la comunicazione relativa all’avvenuto saldo delle competenze doveva essere indirizzata dalla società al legale predetto. Sostiene che il pagamento deve intendersi liberatorio solo quando, in mancanza di forma dello stesso diversamente pattuita tra le parti, questo sia effettivamente pervenuto al domicilio del creditorie, in caso contrario il rischio permanendo a carico del debitore.

Con il secondo motivo, il C. denunzia il vizio della motivazione nella parte in cui nella stessa si afferma che la malattia del convenuto non costituisce valida giustificazione per intimare alla società l’adempimento di obbligazione già soddisfatta, non avendo esso creditore potuto curare i propri movimenti bancari.

Rileva l’erroneità della sentenza che ha sancito che i principi di correttezza e diligenza prescrivono al creditore di assicurarsi che l’adempimento non sia già intervenuto prima di notificare la formale diffida ad adempiere e l’erroneità dell’affermazione secondo cui “l’elezione del domicilio presso lo studio del difensore spiega la sua efficacia ai fini processuali, ma non produce effetti quando la vicenda processuale si è conclusa”, atteso che l’obbligatorietà del pagamento da parte di AGSM aveva la propria fonte in un titolo giudiziale, ossia nella sentenza del Tribunale di Verona n. 234/2006 provvisoriamente esecutiva.

Sostiene ulteriormente l’erroneità dell’assunto secondo cui il C. non aveva diritto di procedere ad esecuzione forzata, essendo il suo credito già stato soddisfatto e di conseguenza il precetto doveva essere privato di efficacia.

Infine, con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la errata liquidazione delle spese del giudizio di opposizione all’esecuzione, per non avere il giudice del merito tenuto conto della scarsa attività svolta dall’opponente ed evidenza la sproporzione della quantificazione in rapporto alla reale attività processuale espletata ed alla reale complessità della causa, che avrebbe giustificato la compensazione delle spese.

Le censure vanno dichiarate inammissibili, essendo generiche e non idonee a porre in discussione e ad inficiare la correttezza del ragionamento del giudice del merito e, quanto ai rilievi formulati in relazione alla violazione dell’art. 1182 c.c., comma 3 il quesito, per come enunciato, si presenta inidoneo ad individuare la regola iuris violata e quella ritenuta, al contrario, applicabile, come tale non correttamente formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

In ogni caso l’elezione di domicilio effettuata contestualmente al rilascio della procura speciale, conferita ai sensi dell’art. 83 c.p., deve reputarsi finalizzata al solo compimento delle attività processuali demandate al procuratore e mantiene efficacia fino a quando sussiste tale rappresentanza, a meno che non via sia, da parte del cliente, una specifica manifestazione di volontà in senso più ampio, che valga a svincolarla dal conferimento della procura, consentendo il suo autonomo permanere in vita ad onta della cessazione del rapporto di rappresentanza processuale (Cass. 16 marzo 1981 n. 1461).

L’elezione di domicilio speciale deve, invero, effettuarsi per iscritto e risultare in modo espresso, esplicito ed inequivoco, di modo che se ne possa desumere in modo univoco la chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti del processo che la riguardino, trattandosi di una deroga alle regole generali sul domicilio ed una rinunzia ad essere citati nel proprio domicilio (cfr. Cass 19.11.2003 n. 17519). Ciò in forza della considerazione che il domicilio speciale o eletto è un domicilio non esclusivo, ma si aggiunge a quello generale.

Con riguardo al dedotto vizio di motivazione, deve rilevarsi che, con accertamento non sindacabile in questa sede, il Tribunale ha ritenuto che la condotta non della società ma del C. abbia disatteso i principi di correttezza e buona fede e che la censura, nella sua triplice articolazione, contiene una prospettazione di una diversa valutazione di merito, non giustificata dalla deduzione di precisi e puntuali vizi motivazionali, laddove il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione, (cfr. Cass. 2272/2007, nonchè alla stesa conformi, Cass. 14084/2007 e 15264/2007). In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr. Cass. 2272/2007 cit).

In ordine al motivo di ricorso riguardante la liquidazione delle spese, risulta omessa l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, le norme del tariffario, e peraltro, quanto alla censura con la quale si ritiene che, per la peculiarità della vicenda, il giudice del merito avrebbe dovuto disporre la compensazione quanto meno parziale delle spese, si osserva che rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito la valutazione dell’opportunità della compensazione, nella ricorrenza di giusti motivi, ritenuti evidentemente, nella specie, per il contesto motivazionale, inesistenti. E’, invero, giurisprudenza consolidata di questa Corte quella secondo la quale la parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè l’eventuale violazione della suddetta tariffa integra un’ipotesi di “error in iudicando” e non “in procedendo” (cfr. Cass. 16.2.2007 n. 3651 e Cass., Ord. Sez 6, 2.12.2010 n. 24531).

Alla complessiva inammissibilità del ricorso consegue, per il principio della soccombenza, la condanna del C. alla rifusione delle spese dei presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il C. al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi, Euro 2000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in ROMA, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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