Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24908 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELIE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso la

quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

V.E.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 24/26/06, depositata il 23 marzo 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 ottobre 2011 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Roma (OMISSIS), ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stato disposto il rimborso ad V.E. della ritenuta IRPEF operata, nella misura del 20%, dalla Cassa depositi e prestiti sulla somma percepita nel 1999 a titolo di indennità di espropriazione, avente titolo in un atto di cessione volontaria del febbraio 1983.

Secondo il giudice d’appello, in base ad un’interpretazione conforme alla Costituzione della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 la ritenuta andava applicata non sull’intero ammontare dell’indennità di espropriazione percepita, ma sulla sola plusvalenza realizzata, sicchè correttamente i primi giudici ne hanno dichiarato l’illegittimità disponendone il rimborso a favore dell’appellata.

La contribuente non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso contiene due motivi, che rispondono ai requisiti fissati dall’art. 366 bis cod. proc. civ. Con il primo motivo, denunciando violazione della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 7, l’amministrazione ricorrente assume che l’imposizione ai fini IRPEF vada applicata sull’intera somma percepita a titolo di indennità di esproprio; con il secondo motivo, denunciando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., si duole che il giudice d’appello abbia omesso di pronunciarsi sulla seconda questione sollevata col gravame, relativa all’imponibilità di somme liquidate dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, anche se traenti titolo in un atto del 1983, anteriore quindi al 1988.

Questa Corte ha affermato che “in tema di imposte sui redditi e con riguardo al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla percezione di somme a seguito di procedimenti espropriativi, dettato dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., detto art. 11, comma 7 nella parte in cui prevede che la ritenuta del 20 per cento si applichi sull’intera soma percepita e non sulla sola plusvalenza, atteso che la norma stessa attribuisce al contribuente la facoltà di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione ordinaria, in base alla quale l’ammontare dell’imposta dovuta è determinato tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali:

cfr. Corte cost., ord. n. 395 del 2002” (Cass. n. 2490 del 2005).

Quanto al secondo motivo, dallo svolgimento del processo della sentenza impugnata risulta che l’amministrazione riproponeva in appello, “in quanto rimasta assorbita” in primo grado, la tesi della “infondatezza dell’eccezione circa la violazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, in relazione all’imponibilità della plusvalenza conseguita per effetto di cessione volontaria avvenuta nel 1983”.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui “in tema di imposte dirette sui redditi, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 ogni pagamento che realizzi una plusvalenza, conseguito, dopo la sua entrata in vigore, in dipendenza di procedimenti espropriativi, è assoggettato a tassazione, ancorchè il decreto di esproprio sia intervenuto in epoca anteriore al primo gennaio 1989, in quanto, per un verso, la disciplina transitoria di cui al citato art. 11, comma 9 – che consente, con una parziale retroattività, la tassazione di plusvalenze percepite prima dell’entrata in vigore della legge, purchè nel triennio successivo al 31 dicembre 1988 siano intervenuti sia il titolo, fonte della plusvalenza, sia la percezione della somma – non si riferisce anche alle riscossioni di plusvalenze successive all’entrata in vigore della legge, e, per altro verso, i commi primo, lett. f) (che allarga la previsione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b), assoggettando ad imposta, come redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili), e quinto (che equipara l’espropriazione volontaria a quelle a titolo oneroso) dello stesso art. 11 dispongono per l’avvenire e rendono imponibili anche i redditi realizzati e percepiti in data successiva all’entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data degli atti ablativi che ne abbiano determinato la percezione. Nè tale disciplina confligge con l’art. 42 Cost. (con riferimento all’art. 53 Cost.) in ragione di un preteso effetto doppiamente espropriativo della tassazione dell’indennità determinata secondo la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis in misura sensibilmente inferiore al valore di mercato, occorrendo distinguere gli aspetti fiscali da quelli sostanziali- indennitari, con rigorosa delimitazione dei rispettivi ambiti di riferimento, nel senso che la questione circa la congruità dell’indennizzo è estranea all’area di operatività dell’art. 53 Cost. e, all’inverso, quando sia censurata una misura fiscale alla stregua di provvedimento ablatorio, la denuncia di incostituzionalità è disattesa ove sia rinvenibile una giustificazione economica alla specifica imposizione, indipendentemente dall’incidenza sul patrimonio del soggetto passivo, purchè sussista il collegamento oggettivo del tributo ad un concreto presupposto impositivo” (Cass. n. 12706 del 2004, n. 10218 del 2003, n. 1228 del 2007).

In conclusione, si ritiene che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, e art. 380-bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente fondato”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente;

che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, oltre alle spese prenotate a debito, e dichiara compensate fra le parti le spese per i gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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